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12/07/2020

La fame del capitale reale

La formazione di capitali dipende dal saggio di profitto e dalla massa di profitto. Nello sviluppo capitalistico, mentre il saggio di profitto tende a diminuire, la massa di profitto tende a crescere con l'accumulazione del capitale.

Se un capitale di 100 con un saggio di profitto del 20% produce una massa di profitto di 20, con la caduta del saggio di profitto al 10% per produrre la stessa massa di profitto deve essere investito un capitale di 200.

L’’esistenza stessa del capitale è legata alla sua costante accumulazione.

E quando un saggio di accumulazione non è più sufficiente ad accrescere il capitale reale per fornire una massa di profitto uguale o maggiore della precedente composizione, allora il grande capitale si alimenta espropriando i capitali minori presenti sul mercato interno ed estero.

Questa legge della accumulazione riveste un grande ruolo nella situazione odierna e porta a una vera e propria guerra globale di capitali, resa necessaria dalla “rivoluzione” delle tecnologie della produzione e dai costi di produzione delle tecnologie stesse. La produzione di ricerca tecnologica impiega un vasto numero di operatori e l’’impiego di considerevole capitale fisso.

In questa guerra di capitali ci saranno vincenti e perdenti, e la cosa in qualche modo ci riguarda direttamente, visto che coinvolge tre modelli capitalistici: quello americano, quello cinese e quello europeo.

Il modello americano si basa sulla forza e resistenza del dollaro come moneta di scambio e di riserva internazionali, conquistato con la sconfitta del capitalismo europeo negli anni quaranta.

La Federal Reserve si fonda su questa forza e stampa carta moneta illimitatamente secondo la situazione: crea una massa monetaria, senza corrispettivo, che tramite la borsa integra i consumi della classe media, nonostante il calo dei redditi, salariali e anche renditizi.

D’’altro canto assicura la tenuta finanziaria delle grandissime imprese. Le grandi società quotate si finanziano con l’emissione di titoli e gli investitori si rifinanziano cedendoli alla Fed e ricostituendo il proprio capitale speculativo; un ciclo a suo modo funzionale ma dagli esiti gravemente negativi.

A parte la crescita inarrestabile del debito pubblico interno e del debito verso l'’estero, si assiste ad una crescita abnorme della ricchezza di un ristretto centile della popolazione statunitense e un'espansione dell’’immiserimento e della povertà che coinvolge oltre 60 milioni di abitanti.

Il modello cinese si fonda sulla crescita produttiva e su una ingente accumulazione di risorse – auree, creditizie, ecc. – sulla espansione dei consumi interni, sulla grandi disponibilità per la formazione e per le ricerche avanzate in campo scientifico e tecnologico.

Il mercato cinese poggia su un numero di consumatori che ancora non conosce limiti, che si espande segnatamente in Asia e in tutte le aree emergenti. Per dirla con Marx un continente che cresce perché è orientato più a produrre che a consumare.

Il modello europeo, ma sarebbe più corrispondente alla realtà dire “modello germanico”, si fonda al contrario sull'austerità.

Non potendo competere con la potenza economico finanziaria e produttiva degli Stati Uniti e della Cina, si scommette sul ridimensionamento salariale.

La Germania ritiene che per stare al passo con le due economie subcontinentali deve poter disporre di un area subcontinentale chiamata Unione Europea, una unione tenuta inseme dalla sua forte presa sulla burocrazia di Bruxelles e sulla soggezione finanziaria e industriale degli altri 26 paesi.

Il problema della Germania – non ha senso parlare di “Europa” – è nella sua intima essenza l’accumulazione di capitale necessaria per far fronte alle immanenti sfide che si affacciano nella concorrenza internazionale, tra le quali particolarmente rilevanti sono quelle dell’’auto elettrica, dell’intelligenza artificiale e della rete 5g.

Per fornirsi di capitali in una misura superiore alle sue capacità di accumulazione la Germania, dipingendo gli altri paesi come sull’’orlo del fallimento, spinge i capitali di questi stessi paesi a rifugiarsi presso le sue banche e i suoi titoli pubblici.

La persistente e strisciante crisi politica, economica e sociale in varie parti del mondo favorisce questa politica predatoria, al punto che i capitali in fuga ricevono un interesse negativo ovvero pagano la sicurezza che la Germania garantisce.

Il degrado economico e sociale dell’Europa, in questa corsa all’’accumulazione di capitali e al regime di austerità imposto persino in Germania, ha portato alla esplosione di movimenti popolari (oggi tutti spregiati come “populistici”) che, quantomeno, imbarazzano la ex funzionaria della SED.

Ma il modello non può essere né messo in discussione, né riformato. Tutto il gran discorso che si fa su Fondi o Mes o Sure o altro, non è che una sceneggiata per far credere alle popolazioni che l’’Europa unita esiste e promette progresso e benessere.

Il cerchio di ferro tedesco non permette che l’’economia italiana o altre economie possano affrancarsi da una condizione di perenne debito e ricatto: ne va, ad esempio, della possibilità di sottrarre in continuazione il sangue del capitale che l’’Italia produce in abbondanza e magari, un domani, attraverso le “condizionalità”, che secondo Gentiloni non ci sono, di mettere le mani sul grande risparmio degli italiani.

Lasciate ogni speranza voi che entrate nel cerchio di ferro di Deutschland uber alles...

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