Le condizioni materiali di vita incidono profondamente sulla percezione della realtà. E questo è evidentissimo dentro la pandemia. In chi ha un reddito non influenzato o danneggiato dal Covid la paura della morte è l’elemento dominante, portandolo ad essere tendenzialmente favorevole a tutte le restrizioni tese a limitare la diffusione del virus. Cosa diversa è per chi ha già pagato un prezzo altissimo sul piano economico e rischia, con le restrizioni in corso e quelle che saranno probabilmente ulteriormente decise, di non rialzarsi più. In questo caso prevale uno stato di ribellione, disperazione, frustrazione o rassegnazione più che comprensibile. Con questo non sto affermando che, a questo punto, non devono essere attuate misure di contenimento anche dure contro la diffusione del virus ma sottolineo uno stato di fatto da alcuni eccessivamente sottovalutato.
Va premesso che questa crisi ha un effetto sulla struttura economica molto simile a quello di una guerra, in primo luogo con la distruzione di capitale variabile e costante (chiusure di attività ed espulsione di manodopera avanzano in tutto il mondo) oltreché ad una spinta verso la concentrazione di capitali. Come in una guerra guerreggiata sul piano globale usciranno vinti e vincitori e se così non sarà lo scontro continuerà con altri mezzi. Il tintinnar di sciabole non smette mai di far rumore: basti pensare alle tensioni tra Francia, Turchia e Grecia per il controllo del gas sotto i fondali marini del Mediterraneo orientale di cui, almeno indirettamente, i fatti di Nizza sono una conseguenza. Finita la pandemia, insomma, non avremo di fronte un mondo né migliore né con meno tensioni. Anzi.
Detto questo, tali effetti ora cominciano a mordere ferocemente anche sulla carne viva della società italiana. Mentre a marzo c’era una disponibilità a rispondere positivamente a tutte le restrizioni per fermare il virus oggi questa disponibilità vacilla ogni giorno di più, nonostante sia oggettivamente più vicina la meta di una cura e di un vaccino.
In questi mesi sono stati consumati moltissimi risparmi e una fetta della popolazione non ne ha più. La cassa integrazione Covid-19 è stata elargita con una lentezza assolutamente incapace di rispondere alle esigenze di chi doveva riceverla. In particolare, i dipendenti delle piccole aziende, che non hanno la liquidità per anticipare la cassa integrazione, sono stati lasciati senza reddito per 4 mesi e i ritardi di erogazione si sono cumulati. Ad oggi per moltissimi lavoratori è stata pagata la cassa integrazione fino al mese di giugno. Molti sono fermi a quella di maggio e per alcuni ancora deve arrivare marzo e aprile. Parliamo di un sostegno al reddito che è circa la metà dello stipendio netto di un lavoratore dipendente. Nella sostanza chi ha uno stipendio netto di 1200/1300 euro al mese sta ricevendo circa 700 Euro, per giunta con quattro mesi di ritardo. Questo, senza tenere conto della larga fascia di lavoratori precari che hanno perso il reddito e basta. Insieme a loro c’è una larga fascia di piccoli commercianti ed esercenti (spesso assimilati da certa sinistra ad una uniforme banda di evasori senza distinguere le micro-attività semi-familiari da quelle legate a logiche speculative e di sfruttamento) che hanno subito danni ingenti e fino a ottobre ben poco è stato il sostegno che hanno ricevuto.
Nella sostanza una fascia rilevante della popolazione vede dinnanzi a sé lo spettro del fallimento e della disoccupazione di lunga durata e questo è il dato che suscita uno spontaneo stato di insofferenza di massa. Con il nuovo decreto economico il Governo sta cercando di correre ai ripari per depotenziare le proteste rispondendo ad alcune fasce ma, in ogni modo, lasciando indietro chi indietro era già. In primo luogo, per la parte più povera e precaria della popolazione non si va oltre un contributo una tantum.
Ma ciò che rende complicato il quadro di sostegno alle misure è la percezione che ci sia stata una totale assenza di programmazione. Nel periodo tra giugno e ottobre in particolare sul sistema del trasporto pubblico locale e sulla sanità, in cui è a rischio complessivamente l’intero sistema di cure dei prossimi mesi, gli interventi sono stati largamente insufficienti. Vedere i mezzi pubblici pieni senza alcun distanziamento fa ancora di più mal digerire misure di restrizione e chiusure parziali che colpiscono alcuni piuttosto che altri.
Sul piano politico, quello che rende pericoloso il clima che stiamo vivendo è anche la delegittimazione martellante di qualsiasi contestazione alle decisioni del governo. Senza coprire, neanche per un attimo, la teppaglia fascista che ha bruciato quattro cassonetti a Roma, è inaccettabile il tentativo di criminalizzare ogni protesta o comunque riassumere in “fascista” qualunque contestazione al modo in cui si sta gestendo la pandemia.
Infine, va sottolineato un aspetto. Molti sminuiscono i limiti nella gestione del Governo coprendoli con il fatto che “in tutti i Paesi è così”. È proprio il caso di dire che in questo caso “mal comune” non è “mezzo gaudio”. Semplicemente il sistema capitalistico a livello mondiale ha manifestato di essere fragilissimo di fronte a questo shock evidenziandone i limiti di fondo. Ma, c’è anche da aggiungere, che non tutti hanno affrontato la pandemia in maniera disastrosa come in Europa e negli Stati Uniti. Senza fare apologia sulla Cina le cui contraddizioni mi sono ben presenti, alcuni nodi come la capacità di tracciamento, una diffusione di massa dei tamponi assieme ad una chiusura totale delle zone colpite dal virus hanno avuto effetti sul contenimento e, soprattutto, dopo i tre/quattro mesi di lockdown non c’è stata alcuna ricaduta. Allo stesso tempo, non ho notizie dirette in merito, da quanto emerge da più fonti le aree più colpite dal lockdown hanno avuto un sostegno economico poderoso. In questo senso ciò che va rivendicato con forza è che accanto ad ogni restrizione deve essere garantito un sostegno al reddito adeguato vero e duraturo fino a che gli effetti di questo periodo non saranno superati. Non credo che su questo ci sia spazio per non essere d’accordo. Il problema è dare la stessa scala di priorità ai due aspetti.
In ogni caso quando la polvere del virus si sarà posata e la paura sarà passata forse sarà il caso di rispondere alla domanda sul perché una società sovrabbondante di ricchezza come la nostra, in particolare nella parte occidentale del mondo, si faccia mettere sotto scacco da un’epidemia e non riesca a gestire un anno di riduzione della produzione senza dare una prospettiva di fame per una parte rilevante della popolazione. Questo è importante domandarselo perché, mentre il vaccino e le cure del Covid sono vicine e con esse anche la fine della pandemia, tutto il resto, cioè i rapporti di produzione capitalistici, invece resterà e bisognerà prima o poi farci i conti.
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