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13/06/2022

Fuga dall'Euro?

di Guido Salerno Aletta

Non basta aumentare i tassi, se rimangono le incertezze sui debiti pubblici

La BCE ha deluso i mercati: basta vedere l'andamento del cambio euro/dollaro del 9 giugno: poco prima del Comunicato del Consiglio, alle 14,30, aveva raggiunto quota 1,076 in risalita rispetto al livello di 1,069 delle ore 10. Alle 21:30 era precipitato a 1,061. Rispetto ad un anno fa, a giugno 2021, quando il cambio era a 1,21 c'era stato un crollo, e la ripresa rispetto al minimo di 1,04 registrato ai primi di maggio scorso dipendeva dalle attese che si stavano consolidando circa le iniziative volte a tutelare la stabilità dei debiti pubblici.

Attese che sono andate deluse.

Non è uscito fuori niente più di quanto non fosse scontato, sia la conclusione al 1° luglio prossimo del APP, il nome tecnico con cui si definisce il Qe, che l'aumento di un quarto di punto a luglio del tasso di riferimento principale, che sarà seguito a settembre da un altro aumento.

Sia nel Comunicato che nella conferenza stampa ci sono accenni vaghi sugli interventi che potranno essere assunti nel caso di frammentazione finanziaria e di mancata trasmissione delle decisioni di politica monetaria, senza anticipare né i livelli, né le soglie di divaricazione degli spread che daranno vita ad interventi sul mercato per evitare ulteriori tensioni.

Per di più, l'armamentario disponibile è limitato alle sole risorse del PEPP, che verranno reinvestite alla scadenza dei titoli in portafoglio, modulando gli interventi per tipologie di attività e per Paesi a seconda delle necessità.

In pratica, la BCE ha detto che non userà il "bazooka", che non immetterà altra liquidità per comprare i titoli di Stato che dovessero mostrare andamenti eccessivamente alti di spread, derivanti dalle vendite sul mercato secondario. Effettuerà una sorta di swap, offrendo in vendita i titoli di migliore qualità e dunque quelli con i tassi più moderati (come i Bund tedeschi) per acquistare quelli di qualità inferiore e con i rendimenti troppo elevati (come i BTP italiani).

Il motivo della insoddisfazione è chiaro: i rendimenti dei Bund a 10 anni sono oggi ad un livello sideralmente più basso rispetto ai corrispondenti titoli del Tesoro statunitense: sia in termini nominali, ma soprattutto in termini reali, non vale assolutamente la pena acquistarli.

Al contrario, i titoli di Stato italiani, pur tenendo conto del rischio implicato, hanno almeno un rendimento nominale accettabile.

E quindi si è arrivati al paradosso: la decisione della BCE ha determinato sia un aumento dello spread dei titoli italiani rispetto a quelli tedeschi che una flessione del cambio dell'euro sul dollaro.

In pratica, i mercati hanno dimostrato di non fidarsi né della tenuta dei titoli italiani né del vantaggio degli investimenti in euro rispetto a quelli in dollari.

Di fronte ad una forte inflazione da costi all'importazione da mercati esteri, l'aumento dei tassi di interesse serve solo a ridurre la tosatura dei risparmi. E' ovvio, infatti, che gli attuali tassi reali negativi favoriscono il debitore a danno del creditore: ma in una situazione post-crisi pandemica, quale stiamo vivendo, e con tutte le incertezze derivanti dalla guerra in Ucraina, decidere solo un aumento dei tassi può scoraggiare definitivamente le imprese e le famiglie, già taglieggiate nei costi e nei redditi dagli aumenti dei prezzi.

I mercati non si sentono sicuri: si attendevano invece una posizione forte sulla stabilità dei Paesi che hanno i debiti pubblici più elevati e sui tassi di interesse considerati sostenibili.

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