di Guido Salerno Aletta
Che Alitalia sia stata spolpata, è dire poco. La scusa era sempre una ed una sola: il personale di volo sindacalizzato e troppo costoso, e soprattutto con la élite dei piloti che facevano il bello ed il cattivo tempo.
Diversi fattori hanno determinato questa deriva.
In primo luogo, in Italia la liberalizzazione del trasporto aereo è stata selvaggia, così come è accaduto nel settore televisivo, con la apertura di aeroporti di secondo e terzo livello un po' dappertutto, soprattutto nelle aree ricche della Lombardia e del Veneto.
C'è stato poi il cambiamento epocale determinato sul piano degli aeroporti internazionali dall'avvento di velivoli bimotore a grande capacità, al posto dei precedenti quadrimotori, abilitati all'attraversamento degli oceani che hanno reso obsoleta la strategia degli "hub and spike" che aveva dominato fino agli anni Ottanta. Malpensa, per nulla collegata con Milano neppure per ferrovia, era stata pensata per essere raggiunta solo in aereo da altri scali italiani e di altri Paesi vicini come l'Austria e la stessa Germania, per essere la rampa verso oltre Atlantico, negli Usa ed in Sud America. Se l'aeroporto di Monaco di Baviera fu più veloce nel diventare un hub, Malpensa fu realizzata quando l'idea stessa di hub era diventata commercialmente "inutile": al massimo, poteva prendere il posto di Fiumicino, con l'area di quest'ultimo aeroporto che era pronta per essere trasformata in una nuova periferia alle porte di Roma, usando anche il gigantesco polmone verde di Maccarese, un'area a nord che era stata mantenuta ad uso esclusivamente agricolo per via dei vincoli posti in relazione alle piste.
L'idea di spostare la base di armamento di Alitalia a Malpensa, per farne l'unico aeroporto internazionale riducendo Linate al solo traffico nazionale, fu costosissima e disfunzionale: Malpensa non era ben collegata a Milano e al sistema autostradale e ferroviario. Era assai meglio partire direttamente dagli altri aeroporti: da Brescia a Verona, da Treviso a Parma, è stato tutto un fiorire.
L'alternativa tra Malpensa e Fiumicino è stata devastante, anche perché, mentre Linate era oggettivamente una sede troppo piccola e priva di spazi liberi per l'espansione al fine di concentrarvi uno sviluppo del traffico adeguato per l'intero bacino lombardo, il più ricco d'Italia dal punto di vista del business, Fiumicino era un aeroporto assolutamente troppo lontano.
Vittima di questa incertezza strategica interna, Alitalia è stata fatta a brandelli: tutti alla ricerca dei suoi pezzi migliori, dagli slot più appetibili alle attività di manutenzione in conto terzi che fruttavano ricchi proventi, con una flotta di lungo raggio sempre più striminzita, focalizzatasi inutilmente ai tempi di CAI sulla tratta Roma Fiumicino-Milano Linate che in breve è stata sostituita dall'Alta velocità ferroviaria.
È stata assai triste l'agonia di Alitalia, con tutte le gestioni che si sono susseguite: fatta eccezione per CAI, tutta italiana ma che ne ha zavorrato subito la gestione con gli aeromobili ceduti da AirOne vendendo pezzi dell'azienda a destra ed a manca, ciascuna con un partner estero o con una alleanza commerciale internazionale di riferimento, da KLM ad Air France, passando per Etihad, hanno cercato di sifonare il traffico con destinazione intercontinentale dell'Italia per riversarlo sui propri aeroporti. L'alternativa, è rappresentata dai voli che vanno dall'Italia verso gli aeroporti principali di Spagna, Gran Bretagna e Germania, da dove partono voli intercontinentali a prezzo competitivo.
Il dato cruciale è dunque il traffico intercontinentale, assai profittevole per la linea aerea che lo gestisce: in Italia, ci sono sostanzialmente ancora solo Fiumicino e Malpensa. Ma Alitalia, essendo stata controllata in modo indiretto da partner stranieri e concentrata sulla tratta Fiumicino-Linate ai tempi di CAI, non ha una flotta di aerei idonei al lungo raggio che le consenta di sfruttare questo bacino di traffico molto redditizio.
Per di più, i voli internazionali in partenza ed in arrivo in Italia sono stati gestiti da Alitalia in sharing commerciale con i partner, ma con i posti venduti all'ingrosso a prezzo di costo, "vuoto per pieno": ha gli aerei sempre pieni, ma incassa poco. La politica commerciale è tutto: non basta riempire i posti.
Inutile parlare del traffico aereo interno: è tutto nelle mani delle compagnie low-cost, che fanno come vogliono. Incassano i contributi erogati dalle amministrazioni locali che vogliono alimentare i flussi turistici, aumentano i prezzi a seconda delle stagioni, dei giorni della settimana e delle ore per riempire al meglio i velivoli. Ottimizzano tutto, al massimo: quando la domanda sale, aumentano i prezzi. Quando langue, li abbassano e chiudono le tratte: questo è il mercato.
Neppure le ultime vicende di ITA suscitano molto entusiasmo: se si è trattato della cessione del ramo di azienda "Aviation", che lo Stato italiano ha rilevato dall'amministrazione straordinaria di Alitalia senza accollarsi gli altri debiti e le numerosissime pendenze aziendali, non potrebbe limitarsi a prendere in carico solo gli aeromobili e gli slot di traffico, lasciando al futuro cessionario Lufthansa la possibilità di scegliersi il solo personale della ex-Alitalia che serve alla gestione della nuova compagnia denominata ITA.
Lo Stato italiano, che ha fondato ITA e che ne è attualmente l'unico proprietario, deve accollarsi tutto il personale ex-Alitalia: questa è la regola europea per la cessione del ramo di azienda. Per questo si è fermata la cessione a Lufthansa, che vuole vederci chiaro.
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