Qualche giorno fa il governo si è vantato dei risultati raggiunti sull’occupazione, anche se è stato piuttosto facile smontare la sua spicciola propaganda che nasconde un modello dilagante di lavoro precario e sottopagato. Ieri, invece, l’Istat ha diffuso dei dati non sorprendentemente passati sotto silenzio.
Infatti, l’istituto di statistica ha certificato che la pressione fiscale nell’ultimo quadrimestre del 2024 è stata pari al 50,6% del PIL, in aumento dell’1,5% rispetto allo stesso periodo del 2023. Calcolandola su tutto l’anno appena trascorso, la pressione fiscale si attesta al 42,6%, rispetto al 41,4% del 2023.
Il dato è dello 0,3% più alto rispetto a quanto scritto nel Piano Strutturale di Bilancio. Qualcosa di cui andrà contenta Bruxelles, ma di certo non qualcosa di cui può andare fiero un governo in cui un po’ tutti non fanno che ribadire la necessità di ridurre le tasse per far ripartire l’economia.
Inoltre, non possono nemmeno giustifica questo aumento della pressione fiscale con l’erogazione di nuovi servizi e l’aumento della spesa pubblica, perché è avvenuto esattamente il contrario. Le entrate del quarto trimestre del 2024 ammontano al 55,4% del PIL, in leggero aumento rispetto allo stesso periodo del 2023.
Eppure, come scrive l’Istat, “per la prima volta dal quarto trimestre del 2019, nel quarto trimestre 2024 le AP [Amministrazioni Pubbliche, ndr] hanno registrato un accreditamento netto a seguito di un sostanziale contenimento della spesa rispetto all’incremento delle entrate”.
Sia il saldo primario (al netto degli interessi passivi) sia quello corrente sono in positivo negli ultimi tre mesi dello scorso anno: segnano un’incidenza sul PIL rispettivamente del 4,1% e del 5,9%. Insomma, piena austerità, mentre l’incertezza e le difficoltà continuano a macinare terreno nella vita di tutti i giorni della maggioranza della popolazione.
Il reddito disponibile delle famiglie è diminuito dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e il potere d’acquisto dello 0,6%. Anche la propensione al risparmio è passata dal 9,1% del terzo trimestre all’8,5% del quarto trimestre 2024. Tale riduzione deriva dalla crescita della spesa per consumi finali e dalla flessione del reddito disponibile.
“Il reddito disponibile delle famiglie – scrive l’Istat sul suo sito – è diminuito rispetto al trimestre precedente sia in termini nominali (non succedeva dall’ultimo trimestre del 2020) sia, più marcatamente, in termini reali”. Ci stiamo impoverendo, e ciò impatta pesantemente anche nel momento della spesa.
Infatti, per quanto riguarda i consumi, i dati sulle vendite al dettaglio di febbraio parlano di una stima di un leggero aumento delle vendite in valore (+0,1%), rimaste stazionarie per quanto riguarda il volume. Il che significa che, sostanzialmente, si è speso di più per comprare le stesse cose. Su base annua sono addirittura diminuite, sia in valore sia in volume.
Al solito, l’Unione nazionale consumatori ha denunciato la “cura dimagrante” a cui sono sottoposti gli italiani, soprattutto per quanto riguarda il crollo delle vendite alimentari. Di questo, ovviamente, il governo non fa menzione.
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