di Vincenzo Morvillo
Mario Vargas Llosa ci ha lasciati due giorni or sono a Lima, nel suo Perù, dove aveva fatto ritorno nel 2022 dopo aver vissuto ben trentadue anni all’estero e in particolar modo in Spagna.
Vargas Llosa è stato senza dubbio un brillante scrittore. Dalla penna rapida ed intensa, ironica ma al tempo stesso malinconica. Formalmente raffinata nel suo ruvido realismo, benché capace di sperimentazioni linguistiche audaci.
Una penna che scava tra le umane ambiguità morali tratteggiandone psicologie e mettendone a nudo anime. Uno stile dal carattere europeo il suo e poco latinoamericano.
Straordinari risultano i primi romanzi: La città e i cani, La casa verde, Conversazione nella cattedrale, Zia Julia e lo scribacchino.
Ciò detto, Vargas Llosa è stato anche uno degli intellettuali sudamericani più controversi e spregevoli sul piano etico, politico ed umano.
Figlio della buona borghesia peruviana aveva coltivato idee marxiste in giovane età. Fu vicino ai movimenti comunisti in difesa delle comunità indigene, agricole e più povere del suo paese, appoggiò la rivoluzione cubana e sostenne addirittura la lotta armata come strumento per cambiare la società.
Una passione giovanile e passeggera, probabilmente dettata dai tempi e influenzata da quel vento rivoluzionario che per tutti gli anni Sessanta e Settanta spirò non solo in America Latina – dove non si è mai sopito – ma in tutto il mondo.
Si trattava tuttavia, evidentemente, di mera inclinazione modaiola, mentre il suo pedigree borghese prevalse nel corso del tempo.
Già durante la seconda metà del decennio Settanta, Vargas Llosa aveva infatti cominciato quella revisione politico-ideologica che lo portò, fin dal 1980, ad abbracciare la più radicale forma di capitalismo antipopolare, individualista e predatorio.
Quel capitalismo neoliberista che trovava allora la sua incarnazione più feroce in Margaret Thatcher e Ronald Reagan.
Lasciò persino il Perù e il Sudamerica per trasferirsi in Spagna, dopo essersi presentato alle elezioni peruviane del 1990 come candidato della destra liberista, proponendo un programma di privatizzazioni selvagge e tagli al welfare da far impallidire Draghi, Monti e Junker messi insieme.
Nel dibattito pubblico si dichiarò contrario all’indipendentismo catalano, attaccò la rivoluzione bolivariana di Hugo Chavez e finì con l’appoggiare addirittura politici di destra come Jair Bolsonaro in Brasile, Javier Milei in Argentina e Keiko Fujimori, figlia del dittatore del Perù, definiti in più occasioni «il male minore».
E avrebbe persino preferito José Antonio Kast, di estrema destra, nell’elezione poi vinta da Gabriel Boric in Cile.
In famiglia la sua ossessione per il liberismo era causa di scherno: «Se vede un elicottero, ti spiega il modo in cui il liberismo ha permesso che i pezzi provenienti da diversi paesi siano stati uniti in un qualcosa di funzionante».
Peccato caro Mario che quei pezzi provenienti da tanti paesi diversi siano il frutto del neocolonialismo occidentale e di quel neoliberismo imperialista ed euroatlantico che ha delocalizzato fabbriche e produzione in paesi la cui manodopera a basso costo ha permesso a multinazionali e aziende, a padroni, azionisti e amministratori delegati di realizzare profitti immensi sulla pelle di quei poveri che un tempo difendevi.
Anche la tua letteratura ha subito la stessa torsione delle tue idee politiche, declinando lentamente verso il basso. Una cometa che ha progressivamente oscurato la propria luce.
Ciao Mario. Continueremo a leggere i tuoi libri giovanili. Disprezzando sentitamente, ci perdonerai, ciò che divenisti in età matura.
E speriamo che l’immenso Gabo (Gabriel Garcia Marquez) incontrandoti nell’aldilà ti restituisca quel pugno che gli tirasti nel 1976, si vocifera per questioni di donne.
Sarebbe un gesto di giustizia metafisica. Nel nome dei dannati dellaTerra!
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