Anche quest'anno ci ritroviamo a dover leggere le solite polemiche sulle aperture dei negozi nei festivi e, lo diciamo francamente, ci siamo veramente stancati di dover assistere alle recite di chi scarica le responsabilità su altri senza prendersi le proprie. Anche perché su questo tema sbagliano un po' tutti: l'amministrazione, i sindacati concertativi, ovviamente le insegne che decidono di stare aperte, chiaramente i clienti, ma anche i lavoratori.
Sbagliano amministrazione e sindacati, perché la polemica fra di loro (sul Tirreno di oggi) è tutta sul "cosa" fa l'amministrazione e non sul "come e quanto". In che senso? Nel senso che è inutile discutere se l'amministrazione ha emesso o no un'ordinanza di chiusura e se farà applicare questa ordinanza facendo le multe, perché il problema sta invece tutto nell'entità della multa stessa (mille euro circa). Si tratta di una cifra che, come è evidente, non spaventa affatto chi decide di aprire, che fa ogni volta un semplice calcolo e valuta la cifra della multa come una voce da mettere in preventivo ma che non rende comunque sconveniente aprire visto che l'incasso è di gran lunga maggiore (stiamo parlando ovviamente delle grandi insegne, visto che per i piccoli negozi invece è una cifra che pesa, infatti siamo anche qui in presenza dell'ennesima misura che colpisce solo il piccolo e fa appena il solletico al grande). E allora di cosa parlano Bernardo (assessore) e Franceschini (Cgil)? Del nulla. Basterebbe, per rendere intanto almeno utile la loro discussione, che il centro del problema fosse quello del "quantum", ossia ad esempio: facciamo chiudere un mese, specialmente se recidivi, i grandi negozi che non rispettano l'ordinanza. Oppure leghiamo la sanzione agli incassi di tale giornata.
Sbagliano ovviamente le grandi insegne che decidono di aprire, dimostrando totale disinteresse per chi lavora e rimarcando ancora una volta che in Italia la responsabilità sociale dell'impresa prevista dall'articolo 41 della Costituzione conta meno di zero. E sbagliano chiaramente tutti quei clienti che non trovano di meglio da fare che legittimare queste aperture andando a fare la spesa il Primo Maggio. Sono probabilmente gli stessi che se avessero un parente o un affetto che lavora nei festivi si lamenterebbero all'infinito perché non possono passare la giornata insieme.
E infine, vogliamo dirlo, sbagliano anche i lavoratori. I mezzi per non lavorare il Primo Maggio e in generale nelle festività importanti ci sono, basta avere la voglia e il coraggio di usarli. Nei posti di lavoro dove i dipendenti si organizzano sindacalmente, anche in maniera autonoma dalle grandi organizzazioni, i risultati arrivano perché i rapporti di forza si spostano pesantemente. Spesso i piagnistei sui "sindacati che non fanno niente" servono solo a mascherare la propria pigrizia, tipica di chi non vuole prendere in mano il proprio destino mettendosi in prima linea. Nessun lavoratore fisso viene licenziato perché non si è presentato al lavoro il Primo Maggio in presenza di uno sciopero, e se questo avviene i mezzi per difendersi ci sono tutti.
Esistono molti esempi e dimostrazioni, a Livorno e in tutta Italia, di posti di lavoro grandi e piccoli dove una azione sindacale efficace (sembra difficile, ma a volte è sufficiente anche una semplicissima presenza "di vigilanza") fa desistere i datori di lavoro dalla volontà di aprire, anche solo per evitare grane e cattivi ritorni di immagine. Basta un po' di volontà e l'orgoglio di non abbassare la testa, almeno per quella che è la nostra festa, quella dei lavoratori.
Redazione
30 aprile 2013
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