Mentre le vie di Roma sono percorse da cortei che chiedono investimenti
pubblici per il lavoro, la casa, i servizi sociali, nelle stanze di
palazzo Montecitorio si sta varando il decreto-legge che stanzia altro
denaro pubblico per le missioni militari internazionali. Denaro che va
ad aggiungersi a quello per le forze armate e gli armamenti, ponendo
l'Italia (documenta il Sipri) al decimo posto mondiale con una spesa
militare reale di 26 miliardi di euro nel 2012, equivalente a 70 milioni
al giorno.
Su cosa si stia decidendo a palazzo Montecitorio c'è assoluto silenzio
mediatico. Peccato. Altrimenti i cittadini italiani in crescenti
difficoltà economiche avrebbero perlomeno la soddisfazione di sapere
che, solo per il trimestre ottobre-dicembre 2013, vengono stanziati 125
milioni di euro per la missione militare in Afghanistan, oltre 40 per
quella in Libano, 24 per quelle nei Balcani, 15 per il «contrasto alla
pirateria» nell'Oceano Indiano (più la spesa, ancora segreta, per la
nuova base militare italiana a Gibuti).
Si spendono in soli tre
mesi 5 milioni per partecipare alla missione Nato nel Mediterraneo (cui
si aggiunge la spesa, ancora da quantificare, per quella Mare Nostrum),
altri 5 per mantenere personale militare italiano a Tampa in Florida
(sede del Comando centrale Usa), in Bahrain, Qatar ed Emirati arabi
uniti.
Oltre 5 milioni in tre mesi vengono stanziati per i
militari e gli agenti di polizia che in Libia aiutano a «fronteggiare
l'immigrazione clandestina» e a mantenere e usare «le unità navali
cedute dal governo italiano a quello libico». Altro denaro pubblico
viene sborsato per inviare militari in Sudan, Sud Sudan, Mali, Niger,
Congo e altri paesi, pagando alte indennità di missione incrementate del
30% se il personale non usufruisce di cibo e alloggio gratuiti.
Alle
spese per le missioni militari si aggiungono quelle per il «sostegno ai
processi di ricostruzione» e il «consolidamento dei processi di pace e
stabilizzazione»: 23,6 milioni di euro in tre mesi, ai quali il ministro
degli esteri può aggiungere con proprio decreto altre risorse. Già la
Bonino ha annunciato che a dicembre saranno disponibili altri 10 milioni
per gli «aiuti umanitari». Come lo «sminamento umanitario» in paesi che
prima la Nato (Italia compresa) ha attaccato anche con bombe a grappolo
che lasciano sul terreno ordigni inesplosi, o in paesi al cui interno
la Nato ha fomentato la guerra. Come gli interventi di «stabilizzazione
dei paesi in situazione di conflitto o post-conflitto», tipo la Libia
che, demolita dalla Nato con la guerra, si trova in una caotica
situazione di post-conflitto.
Tra gli «aiuti umanitari» figurano
anche gli interventi «a tutela degli interessi italiani nei paesi di
conflitto e post-conflitto», tipo quelli dell'Eni in Libia. Per coprire
tali spese si attinge anche ai «fondi di riserva e speciali» del
ministero dell'Economia e delle finanze, che così mancheranno quando si
dovranno affrontare situazioni di emergenza sociale in Italia. Il
ministro dell'economia è inoltre «autorizzato ad apportare le occorrenti
variazioni di bilancio», cioè ad accrescere i fondi per le missioni
militari. I primi a sostenere il decreto-legge sono i deputati Pd,
seguiti da quelli Pdl.
L'opposizione (Sel e M5S) si limita in
genere a emendamenti che non intaccano la sostanza e a criticare «il
fatto che il contributo italiano alla sicurezza internazionale sia di
natura esclusivamente militare». Ignorando che, con il suo «contributo
militare», l'Italia non rafforza ma mina la sicurezza internazionale, e
che quello «civile» è spesso il grimaldello dell'intervento militare.
Fonte
E' un classico: più un paese ha le pezze al culo, più la sua classe dirigente spende e spande in "sicurezza" e forze armate. Gli USA sono come da copione i primi della classe in questo.
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