di Francesca La Bella
Nella Libia divisa un
accordo tra le parti sembra essere un obiettivo impossibile da
raggiungere. Tralasciando per qualche minuto la miriade di componenti
del panorama politico libico e prendendo in considerazione solo i due
schieramenti maggiori facenti capo al governo di Tripoli e a quello di
Tobruk, possiamo vedere come le prospettive di pacificazione siano
incerte. Il Parlamento di Tripoli avrebbe, infatti, respinto la
proposta di risoluzione delle Nazioni Unite. Nonostante il
canale non sia definitivamente chiuso data la disponibilità espressa dal
portavoce del Congresso Nazionale Generale di Tripoli, Omar Hamidan, a
riaprire il dialogo, la bocciatura dell’accordo nato dai negoziati di
Skhirat e Berlino di giugno sembra aver messo un freno all’entusiasmo
per una possibile riconciliazione libica. Il compromesso non
avrebbe dovuto portare solo alla creazione di un’amministrazione
condivisa tra i due governi, ma avrebbe dovuto essere anche veicolo di
politiche comuni contro i movimenti jihadisti in generale e contro le
diramazioni locali dello Stato Islamico in particolare. I gruppi che
guardano con favore al progetto di Califfato in tutta l’area sono,
infatti, sempre più incisivi nelle dinamiche interne alla Libia.
Il pericolo islamista libico è tale che alcuni provvedimenti
sono stati o saranno messi in atto dai Paesi limitrofi per cercare di
arginare il problema degli sconfinamenti e della propagazione del
fenomeno. Se negli scorsi mesi Egitto ed Algeria si erano posti
in prima linea per trovare una soluzione alla crisi libica
sovvenzionando e sostenendo una o l’altra parte e fornendo armamenti per
combattere la minaccia jihadista, dopo l’attentato di Sousse, anche la
Tunisia ha deciso di aumentare la protezione dei propri confini. E’
notizia di questi giorni il progetto di un muro di circa 160 km che dovrebbe dividere Tunisia e Libia
la cui costruzione dovrebbe già essere iniziata e dovrebbe completarsi
entro fine 2015. In un intervento televisivo, il primo ministro tunisino
Habib Essid avrebbe, a tal proposito, dichiarato
che la minaccia libica necessita di un prioritario intervento per tutelare la
sicurezza interna del suo Paese.
In un contesto di fallimento statuale e di frammentazione politica e
sociale, lo Stato Islamico ha, infatti, trovato in Libia un terreno
fertile sia per la propria propaganda sia per l’addestramento di
militanti diretti verso l’estero. Mentre l’attenzione di media
occidentali è rivolta principalmente verso il pericolo di infiltrazione
in Europa, i flussi di movimento e di espansione dei gruppi islamisti
sono perlopiù diretti verso altri Paesi del mondo arabo con la carica di
destabilizzazione che questo comporta. A livello interno,
invece, l’espansione dello Stato Islamico e dei gruppi affiliati si
scontra con un panorama variegato di attori. In questa situazione, il
livello di conflitto non è necessariamente proporzionale alla distanza
politica e ideologica tra gli oppositori: in città come Derna, da molti
identificata come perno centrale dell’avanzata dello Stato Islamico
insieme a Sirte, la contrapposizione tra militanti dell’IS e affiliati
del Consiglio della Shura è sempre maggiore.
E’ di pochi giorni fa la notizia dell’esecuzione di 8 membri dello
Stato Islamico ad opera del gruppo facente riferimento ad Al-Qaeda e del
sostegno espresso da Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) al Consiglio
della Shura per la tutela della città dall’avanzata dell’IS dopo lo
scoppio di alcune autobombe. Questo non deve far pensare ad una
condizione di debolezza dei fedeli del Califfato che pochi giorni fa
hanno annunciato di aver preso il completo controllo di Sirte e del suo
porto. Deve, però, far riflettere sulla molteplicità di linee di
frattura che attraversano il Paese.
Anche laddove si sono create le condizioni necessarie per dar vita a
delle alleanze, queste sono ogni giorno messe alla prova dagli eventi e
dai mutamenti del contesto e, così, lo stesso generale Khalifa Haftar
che viene, da occidente, considerato un referente politico centrale per
la ricostruzione libica, cerca, dentro e fuori dal Paese, nuovi assi di
coordinamento per il futuro. In questo senso, probabilmente, devono
essere letti il viaggio del Generale in Serbia all’inizio di questa
settimana e quello al Cairo programmato per la settimana prossima.
L’aiuto internazionale, diplomatico e militare, potrebbe, infatti, sia
aiutare Haftar a vincere qualche battaglia sul campo sia consentire al
Generale di rendersi indispensabile per ogni futuro progetto di
transizione.
La situazione, in continuo divenire, non sembra presentare nel breve
periodo prospettive di miglioramento e la crisi libica, per quanto sia
difficile immaginarlo, potrebbe aggravarsi ulteriormente ponendo serie
questioni di sicurezza e di contagio per i Paesi limitrofi.
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