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01/11/2015

Turchia. Voto truccato, trionfa il ‘sultano’

Dopo la cocente e storica sconfitta dello scorso 7 giugno, il ‘sultano’ Erdogan e il suo Akp non hanno certo indetto nuove elezioni per la giornata odierna, evitando accuratamente di trovare un accordo con i nazionalisti di destra o con i repubblicani laicisti, per perderle di nuovo.

E quello di oggi del partito islamista e liberista turco può e deve essere considerato un trionfo annunciato.
D’altronde il governo ‘ad interim’ guidato dal premier Davutoglu – ne facevano parte pure due ministri ‘curdi’ prima che la recrudescenza della repressione contro la loro comunità e la complicità con gli stragisti “dell’Isis’ li obbligasse a lasciare il loro incarico dopo poche settimane di imbarazzante permanenza nell’esecutivo elettorale – aveva preparato nelle ultime settimane uno scenario che, se non avesse portato al risultato di oggi, sarebbe risultato quanto mai paradossale.

In pochi mesi, a partire da luglio, due stragi hanno colpito le sinistre e il partito Hdp, diffondendo nel paese la paura e dando così forza e legittimità alle pulsioni autoritarie incarnate dal presidente che ha tentato di accreditarsi in tutti i modi come l'unico in grado di contrastare il caos e di riportare l'ordine. Gli attentati – attribuiti al jihadismo di Daesh al quale Ankara ha sempre concesso sostegno, e quasi sicuramente condotti a Suruc, Diyarbakir e Ankara con la copertura o addirittura la collaborazione dell’intelligence locale – hanno in realtà permesso a Erdogan di scatenare una guerra senza precedenti contro la guerriglia del Pkk mandando a monte un negoziato in corso, tra alti (pochi) e bassi (molti) da alcuni anni. Mentre i caccia bombardavano le postazioni della guerriglia sui monti, l’esercito turco assediava e bombardava città e villaggi abitati dai curdi in numerose zone del paese, dove sono stati uccisi decine di civili – manifestanti e non – attizzando una reazione popolare che ha permesso alle autorità di proclamare di fatto la legge marziale. Nel frattempo migliaia di attivisti del Partito Democratico dei Popoli e di varie formazioni della sinistra rivoluzionaria turca sono finiti in galera in ondate continue di arresti, giustificati dal clima eccezionale creato nel paese dagli attentati che, come è evidente, hanno colpito solo nemici del regime. Come se non bastasse, il governo ha impresso una ulteriore stretta alla libertà di stampa e alla libertà di espressione, chiudendo manu militari tv e giornali, denunciando per gravi reati noti e influenti opinionisti, facendo arrestare qualche reporter straniero troppo curioso.

Che in un quadro del genere il partito islamista potesse fare flop era davvero assurdo. I turchi hanno votato in un clima di paura, di allarme, di sospensione delle più elementari norma democratiche, di imbavagliamento della stampa critica, di paralisi imposta alle sinistre e alle organizzazioni sociali più combattive.

Ed infatti i dati diffusi dalla commissione elettorale nazionale di Ankara mentre sono state scrutinate il 97% delle schede votate oggi (l'affluenza sarebbe stata intorno all'85% anche grazie ad un massiccio aumento del voto dei residenti all'estero) dicono che il partito Giustizia e Sviluppo è improvvisamente tornato a quota 49.4% – quasi dieci punti in più in pochi mesi, un vero e proprio 'miracolo' – ottenendo così una ampia maggioranza assoluta che gli permetterà di governare in solitaria. E di tentare di cambiare senza grandi ostacoli la Costituzione, trasformando la Turchia in una repubblica iper-presidenziale e probabilmente accentuando l’islamizzazione del paese e il carattere autoritario e repressivo di istituzioni già soffocanti. In realtà servono 367 deputati per approvare modifiche costituzionali direttamente e 330 per indire un referendum popolare su una modifica costituzionale promossa dal governo, ma in un parlamento normalizzato Erdogan può sperare di allargare la propria maggioranza, magari attingendo agli ex 'lupi grigi'.

Il molte province – quelle a maggioranza curda dove l’Hdp lo scorso 7 giugno aveva raggiunto quote superiori all’80% – gli elettori non sono potuti andare a votare perché i seggi erano stati spostati in territori lontani decine di chilometri a causa dello stato di eccezione proclamato dopo l’inizio della repressione militare e la conseguente reazione popolare. E comunque molto spesso sono stati quei militari e quei poliziotti che da mesi sparano sugli abitanti delle città curde a controllare ‘la regolarità’ del voto, a custodire le schede e le urne e poi a vigilare sullo spoglio. Anche ad Istanbul, dove l'Hdp aveva ottenuto pochi mesi fa un ottimo risultato, questa volta non sembra aver neanche superato la quota del 10%.

E guarda caso, nonostante praticamente tutti i sondaggi della vigilia avessero sostanzialmente previsto una riconferma delle percentuali ottenute dai vari partiti all’inizio di giugno, con forse un leggerissimo aumento per la Fratellanza Musulmana al potere, l’Akp ha registrato un formidabile balzo mentre i suoi contendenti hanno visto volatilizzarsi milioni di voti. In particolare i nazionalisti di destra dell’Mhp, crollati al 12%, il cui discorso sciovinista e ultranazionalista è stato d’altronde completamente 'cooptato' e riprodotto da Erdogan e dai suoi negli ultimi mesi. E naturalmente i curdi e le sinistre radicali turche coalizzati nell’Hdp, che le elezioni truccate di oggi hanno ribassato dal 13% del 7 giugno ad un 10.6%. Una quota sufficiente a portare in parlamento alcune decine di deputati, che forse Erdogan potrà ostentare, a mo' di foglia di fico, come segno della 'democraticità' del voto e del sistema turco, rintuzzando le in verità flebili critiche dell'Ue e degli Stati Uniti contro i recenti "eccessi" erdoganiani. Nonostante il massiccio condizionamento del voto, comunque, i curdi e le sinistre sono riusciti a sopravvivere e a superare la soglia di sbarramento.

Gli unici a non essere stati ridimensionati sono i nazionalisti socialdemocratici del Partito Repubblicano del Popolo che ottiene una riconferma col 25.4% dei voti. Che però non gli servirà a granché visto che all’Akp andrebbero circa 316 seggi, assai più di quei 276 che garantiscono ad Erdogan di poter dominare incontrastato il prossimo parlamento.


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