Sono passati appena poco più di sei mesi dalle elezioni parlamentari venezuelane del 6 Dicembre 2015, la prima vera sconfitta elettorale
in oltre 17 anni di “rivoluzione bolivariana”, e si approfondisce lo
scontro e la crisi politica dentro il paese. Sull’esito del cruciale
appuntamento elettorale di dicembre, rimando ad un altro contributo da
me pubblicato su questo blog poco dopo. Mi limito solo a ricordare che il chavismo raccolse allora poco meno del 41% dei voti validi, mentre l’opposizione raccolse oltre il 56%. La situazione che ne è scaturita, è piuttosto complicata.
La crisi politica ed istituzionale.
Sì è aperto come previsto un conflitto permanente fra i maggiori poteri
del paese, cioè da un lato la nuova Assemblea Nazionale a larga
maggioranza antichavista, e dall’altro il TSJ (Tribunale Supremo di
Giustizia), il CNE (Consiglio Nazionale Elettorale), ed ovviamente la
stessa Presidenza della Repubblica. Oggetti principali del conflitto
sono anzitutto l’attività legislativa della nuova Assemblea Nazionale.
Diversi provvedimenti legislativi, alcuni dei quali davvero indecenti
come la cosiddetta “Amnistia a favore dei prigionieri politici” (fra i
quali la opposizione ha inserito anche i responsabili di gravissimi
fatti di sangue per i quali in Italia sarebbero stati comminati
ergastoli su ergastoli), son stati bloccati dal TSJ, dove tuttora
prevale una attitudine tendenzialmente favorevole alle tesi del governo,
il quale proprio al TSJ si è rivolto attraverso ricorsi per
incostituzionalità delle leggi in oggetto.
Altro nodo cruciale dello scontro è la
promozione da parte della opposizione antichavista del referendum
revocatorio nei confronti del presidente Nicolas Maduro, strumento
previsto dalla CRBV (Costituzione della Repubblica Bolivariana del
Venezuela, art. 72), e che consente di sottoporre a referendum tutte le
cariche istituzionali elettive una volta giunte a metà del loro mandato,
scadenza che nel caso di Maduro si è compiuta lo scorso mese di Aprile.
Anche qui lo scontro si presenta nella forma di contenzioso politico e
giuridico sulle procedure e soprattutto i tempi di svolgimento del
referendum. L’opposizione preme perché esso si svolga entro l’anno in
corso. Il governo sostiene che non ci sono i tempi per farlo entro
l’anno, appellandosi sia alla necessità prioritaria per il paese di far
fronte alla crisi economica e sociale, sia ai ritardi dell’opposizione
nell’attivare la richiesta di referendum, sia alla complessità delle
stesse procedure referendarie: le firme da raccogliere per l’attivazione
del referendum sono circa 4 milioni (il 20% del corpo elettorale), ed
il governo ha già annunciato di volerle “verificare una ad una”.
Lo scontro sul referendum è
fondamentale. Esso infatti è lo strumento legale è costituzionale più
facilmente attivabile dal blocco antichavista, per capitalizzare il suo
successo alle elezioni parlamentari, defenestrando Maduro ed imponendo
nuove elezioni presidenziali e quindi il possibile pieno ritorno al
potere.
In questo quadro anche la questione dei
tempi è assolutamente centrale: se il referendum dovesse svolgersi
quando alla scadenza del mandato di Maduro mancassero meno di due anni,
non si andrebbe a nuove elezioni presidenziali, ma il mandato verrebbe
completato dall’attuale Vicepresidente della Repubblica Aristobulo
Isturiz, anch’egli esponente di primo piano del chavismo. In altri
termini, se il governo attuale riesce ad allungare il brodo ed a far
svolgere il referendum dalla seconda metà di Aprile 2017 in poi, gli
effetti politici della probabile vittoria antichavista al referendum,
verrebbero di fatto quasi azzerati, ed il chavismo guadagnerebbe altro
tempo sino alla primavera del 2019. Senza entrar troppo in tecnicismi,
va aggiunto che la tesi del governo si fonda su una forzatura di quanto
previsto dall’art. 72 della CRBV, il quale stabilisce chiaramente date
certe condizioni la possibilità di sottoporre a referendum revocatorio
il Presidente giunto a metà del suo mandato: in particolare il governo
si appella sia ad un altro art. della CRBV, il 233 che regola i casi di
“mancanza assoluta” del Presidente, che ad altre fonti di rango
chiaramente inferiore come due risoluzioni emanate nel Marzo e Settembre
2007 dal CNE (si veda a riguardo il contributo dell’avvocato costituzionalista chavista Jesùs Silva).
La crisi economica e quella sociale.
Basti citare due numeri. L’inflazione nel 2015 in Venezuela ha
raggiunto il 180% circa, e nel 2016 si prevede un ulteriore
significativo aumento. Il numero di omicidi nel paese nel primo
trimestre del 2016, secondo dati resi noti dal TSJ, ha superato le 4700
unità. A questo si aggiungano varie altre problematiche citate anche di
recente dai media italiani: carenza di generi di prima necessità e
medicine, lunghe code davanti ai centri di distribuzione, problemi di
approvvigionamento nel sistema sanitario ed ospedaliero, razionamento
della energia elettrica (dovuto anche alla siccità). Permane irrisolto,
nonostante la chiusura della frontiera terrestre, il problema del
massiccio accaparramento e del contrabbando verso la Colombia di beni
primari e carburanti venduti in Venezuela a prezzi calmierati e
controllati. Altrettanto irrisolto permane il problema di quello che in
Venezuela viene definito come “sicariato”, ovvero gli omicidi mirati ai
danni, nella prima fase del chavismo, soprattutto di attivisti e
dirigenti delle lotte contadine, ma ora e sempre più anche ai danni di
esponenti politici del campo bolivariano, spesso militanti molto
giovani, attivi in contesti di fabbrica o urbani, ed anche di esponenti
istituzionali sia nazionali che locali. Anche in Venezuela quindi, così
come storicamente avvenuto in forme ancora più drammatiche nella
confinante Colombia, si tende ad imporre il ruolo attivo e letale di
gruppi paramilitari e di settori della stessa criminalità, dentro lo
scontro politico, sociale e sindacale.
Il governo chavista attribuisce, con
molte ragioni, parte significativa dei gravi problemi economici, e
quindi dei conseguenti contraccolpi nella vita sociale più in generale,
ad un preciso piano golpista di boicottaggio e sabotaggio peraltro non
nuovo in America Latina (si veda il Cile di Allende), il quale ha
l’obiettivo di dimostrare che “il socialismo non funziona” anzitutto
economicamente, che non garantisce stabilità e benessere, l’obiettivo di
indebolire il governo minandone le basi popolari di consenso, spianando
così la strada al ritorno al potere della destra liberista variamente
camuffata. Questo piano ha diversi attori, politici, economici e
sociali, parte dei quali operano nel segreto ed in incognito, perché lo
stesso piano si avvale di un altrettanto ampio ventaglio di strumenti,
alcuni legali ed altri no, ma tutti mirati allo stesso obiettivo:
cancellare il processo bolivariano.
Dove il governo ha meno ragione invece è quando attribuisce quasi esclusivamente le proprie difficoltà alla “guerra economica” scatenata dalle varie articolazioni delle opposizioni antichaviste, oppure al calo dei prezzi del petrolio, notoriamente centrale nella economia del paese, glissando sul fatto che la crisi non sarebbe arrivata a questo stadio se non avessero concorso alcuni limiti e contraddizioni interne al processo bolivariano, limiti i quali tanto per intenderci erano già emersi prima della morte di Hugo Chavez: inefficienza, sprechi, corruzione sia civile che militare, difficoltà a far decollare un modello economico e produttivo più autonomo e meno incentrato sulla rendita derivante dalle esportazioni energetiche (e quindi sull’utilizzo di parte rilevante di questa rendita per promuovere il consenso attraverso politiche di tipo sociale ed assistenziale).
La crisi politica continentale.
Forse pochi governi come quello Venezuelano dall’avvento alla
Presidenza di Hugo Chavez in poi, hanno goduto della ostilità concorde
di tutte le amministrazioni USA, sia repubblicane che democratiche, ma
anche della ostilità delle classi dirigenti europee, incluse anche qui
quelle della “sinistra neo-liberale”. La ragione è evidente: il chavismo
ha rappresentato un tentativo di riproporre in una logica di governo le
ragioni di una sinistra che pone il problema della costruzione di
alternative al capitalismo, lo ha fatto in modo socialmente e
politicamente sostenibile e presentabile, e soprattutto su questo ha
creato alleanze nel continente contribuendo a spostarne verso sinistra
gli assetti politici. E’ evidente che proprio su questo piano gli
equilibri si stanno spostando nuovamente. Ai primi cupi segnali
rappresentati dai golpe contro i governi progressisti in paesi
relativamente minori come Honduras e Paraguay, si aggiungono ora il
ritorno al potere della destra in Argentina, e soprattutto ed ancora di
più le recenti vicende in un paese chiave come il Brasile. E’
altrettanto evidente che questo mutamento degli equilibri continentali
rappresenta un altro essenziale fattore problematico e di indebolimento
per il governo di Maduro, il quale appare chiaramente come il prossimo
obiettivo nel mirino del potere globale in quell’area del mondo.
Riflessioni finali.
Non penso sia qui il caso di rifare tutta la riflessione già fatta sul
tema del rapporto fra la “Revoluciòn Bonita” venezuelana, la questione
della democrazia e quella del consenso. Su questo rimando a quanto
contenuto nelle conclusioni del libro “La Revoluciòn Bonita” ed in quelle del relativo Opuscolo di Aggiornamento.
Qui mi limito a ribadire che se la crisi del Processo Bolivariano
è arrivata a questo punto, è anzitutto perché l’opposizione ha giocato e
tuttora gioca molto sporco e su molti tavoli e senza disdegnare nessun
mezzo pur di tornare al potere, ma è avvenuto anche per errori e limiti
tutti interni al processo. Se tutto questo ha condotto ad una riduzione o
crisi di consenso, peraltro già emersa negli ultimi anni con Chavez
presidente, ed esplosa in modo plateale con la sconfitta elettorale
dello scorso Dicembre, la risposta non penso sia quella di ricorrere ad
artifizi ed arzigogoli giuridico-procedurali, per sottrarsi di fatto
all’appuntamento col referendum revocatorio vanificandone gli eventuali
effetti.
Il referendum revocatorio è uno dei
fiori all’occhiello della Costituzione Bolivariana e di un intero
progetto politico fondato sui principi della democrazia dal basso e
della promozione del potere popolare, un fiore ispirato addirittura alla
Comune di Parigi la quale come noto prevedeva l’ampia revocabilità di
tutti i funzionari pubblici. Ricordiamo inoltre che Hugo Chavez,
all’apice del suo prestigio ma in un momento di crisi politica non certo
meno cruenta di quella attuale, nell’Agosto del 2004 si sottopose al
referendum revocatorio, e lo vinse.
Il fatto che l’opposizione giochi sporco
quindi non mi pare ragione sufficiente per rinnegare nei fatti gli
stessi principi politici ed etici fondativi di tutto il processo
bolivariano. Questo sia detto nella massima consapevolezza di quanto
sporco sia il gioco della destra e di quanto esso venga giocato su
tavoli che vanno ben oltre il Venezuela: si vedano le recenti
dichiarazioni dell’ex presidente colombiano Alvaro Uribe, il quale nei
giorni scorsi durante una conferenza a Miami in Florida, ha chiesto che
“fuerzas armadas democráticas internacionales sean puestas al servicio
de la protecciòn de la oposición en Venezuela”.
Infine penso che sottrarsi ai possibili effetti del referendum
revocatorio facendolo slittare, non risolverebbe la crisi politica del
chavismo ma rischierebbe anzi di approfondirla, tanto più in vista di
altri appuntamenti elettorali importanti, che incombono sul governo al
di là di come evolverà la vicenda del referendum: si vedano le elezioni
dei governatori dei singoli stati, previste per Dicembre 2016.
Affrontare questa crisi vuol dire quindi non solo contrastare le
strategie di sabotaggio e golpiste di settori importanti della
opposizione, cosa che in qualche modo il governo di Maduro sta pure
tentando di fare, ma vuol dire anche aggredire i propri limiti interni e
quindi ricostruire l’appoggio ed il radicamento sociale in parte
perduti.
Queste mie riflessioni non son del resto
così originali, ma del tutto interne alla discussione in corso oggi in
Venezuela fra le varie anime del chavismo: si vedano le recenti
posizioni di Marea Socialista ed il dibattito sul sito www.aporrea.org.
Di tutto questo discuteremo Mercoledi 25 Maggio alle 18,30 a Milano,
nella Libreria Les Mots in Via Carmagnola angolo Via Pepe (MM
Garibaldi), in occasione della presentazione degli “Aggiornamenti” al
libro “La Revoluciòn Bonita”.
Angelo Zaccaria, Milano, 16 Maggio 2016
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