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02/08/2017

Ericsson Genova. Quello che la vertenza non dice

Mentre scrivo queste righe è in corso un presidio/sciopero da parte dei lavoratori della multinazionale svedese, sostenuto da alcune ore di astensione dal lavoro da parte dei dipendenti delle restanti realtà stanziate a Erzelli, più Leonardo (ex-Finmeccanica).

Archiviata la cronaca, penso vada riconosciuto che sussistono una serie di omissioni che pesano come un macigno sulla vertenza che i licenziati Ericsson di Genova stanno sostenendo in questi giorni e sul modo in cui viene “narrata” da tutte le parti in causa.

Il ritardo. Per quanto sia comprensibile lo stato di smarrimento di chi vive sotto costante minaccia di perdere il posto di lavoro, trovo difficilmente giustificabile che i lavoratori abbiano tentato una reazione più strutturata (al momento soltanto più rumorosa) ai padroni solo dopo il 14esimo taglio del personale eseguito da Ericsson, che in un decennio, di fatto ha dimezzato la forza lavoro rispetto a quando mise il proprio marchio su una parte dello spezzatino di quella che una volta si chiamava Marconi.

Gli interlocutori. A fronte di un destino “segnato” da tempo, chi ha perso il posto di lavoro e chi teme di perderlo nel prossimo futuro viene ancora una volta rappresentato da sigle sindacali – CGIL e CISL – che in 30 anni hanno firmato esclusivamente contratti a perdere e che non hanno alcuna visione sistemica alternativa identificandosi, quindi, come tecnicamente esclusi da qualsivoglia credibilità e condivisione dei percorsi di mobilitazione scelti.

La “classe dirigente” e l’informazione. Se da una parte l’affare Ericsson pone l’ennesima pietra tombale sul mantra del mercato fonte di magnifiche e progressive sorti di sviluppo per la società, dall’altro va registrata l’insipienza di una classe dirigente che non sa e non vuole uscire dal supporto – ideologico e materiale – al privato come unico soggetto economico accreditato e accreditabile. L’informazione, purtroppo ma scontatamente segue a ruota, forte anche della precedentemente citata squalifica delle organizzazioni sindacali in campo che, nel caso specifico, al posto di strepitare nei megafoni adesso, avrebbero dovuto porre in essere una critica radicale e strutturata a tutto il progetto del polo Erzelli, che ormai da anni appare un’operazione scricchiolante, per altro perfettamente inserita nel solco di una totale assenza di pianificazione generale a livello di sistema paese, che affonda le proprie radici nelle grandi dismissioni industriali degli anni ’80, propedeutiche all’allineamento dell’Italia alle “dinamiche di mercato” che condussero nefastamente il paese nelle braccia comunitarie.

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