Coraggio, diritti, dignità, scandisce a pugno chiuso Aboubakar Soumahoro, per tutti Abou, mentre inizia il suo intervento in una sala di Foggia, troppo piccola per contenere tutte le lavoratrici e i lavoratori presenti. Essi hanno volti con tutti i colori dell’Africa e sono lì per ricordare Giuseppe Di Vittorio a 60 anni dalla morte. Sono lì con la USB e con la Federazione Sindacale Mondiale, di cui Di Vittorio è stato fondatore e presidente. L’USB ha messo la sua baracca e il suo cuore nel ghetto di Rignano, dove quei lavoratori vivono in condizioni disumane, vergognose, indegne, come ha detto uno di loro, non solo dell’Italia e dell’Europa, ma del terzo mondo da cui provengono.
Quella di Rignano e San Severo non è semplicemente una delle tante vicende infami di oppressione e persecuzione dei migranti, è prima di tutto una storia di sfruttamento del lavoro. Coloro che vivono nello spaventoso ghetto a cavallo tra i due comuni del foggiano sono lavoratrici e lavoratori agricoli, braccianti, che con santa ragione come tali esigono di essere considerati. L’olio, i pomodori, le verdure e la frutta che giungono nelle nostre mense vengono dalle loro mani. I profitti enormi che si accumulano nella catena del guadagno che parte dai caporali, passa per i proprietari terrieri e arriva alle multinazionali, sono tutti frutto della loro fatica quotidiana, dalla luce alla notte.
I braccianti di Rignano sono lì da venti anni a produrre valore e ancora non vedono riconosciuti i loro elementari diritti di lavoratori. Quei diritti per i quali Giuseppe Di Vittorio si è battuto per tutta la vita, fin da quando a otto anni dovette abbandonare la scuola e lavorare nei campi per contribuire al misero reddito della famiglia.
Casa, servizi sociali, paga dignitosa, questo chiedono, questo non hanno i braccianti. Molti di loro parlano con intercalari dei dialetti del Nord Italia, perché sono stati operai di fabbriche che hanno chiuso o che li hanno costretti a lavori precari stagionali, che essi compensano con il lavoro agricolo. Sono lavoratrici e lavoratori e la loro condizione è una vergogna per l’Italia, per chi si ingrassa con il loro sfruttamento e per tutte le istituzioni, dalla Regione Puglia al Governo, alle autorità varie, che dopo venti anni sono ancora lì a parlare di migranti.
La colpa comune di tutto il mondo politico e istituzionale è di considerare quella infamia sociale un problema d’immigrazione, mentre è una questione di diritti del lavoro, di lavoratori italiani sottoposti ad un indegno supersfruttamento. Così il ghetto viene affrontato dalle autorità con la polizia, invece che con gli ispettori del lavoro e i servizi sociali. E non si risolve nulla. Un anno e mezzo fa il ministro della Giustizia visitò il foggiano e lanciò le solite dichiarazioni d’impegno. Ora è tutto come sempre.
La USB, con l’infaticabile Abou e con tutti i suoi militanti della Capitanata, è entrata nel ghetto e sta con i braccianti, li organizza, fa sì che essi rispondano alle loro tremende condizioni, con orgoglio e coraggio.
I braccianti di Rignano e San Severo stanno organizzando con il sindacato la loro sacrosanta lotta di classe, e questo li mette in connessione immediata e profonda con Di Vittorio; non sapevano nulla di lui, ma in breve hanno capito che era uno di loro.
Da un lato c’è la vergogna dell’Italia, degli sfruttatori e dei loro complici, dall’altro il coraggio dei braccianti. Come hanno detto George Mavrikos e Paolo Leonardi alle lavoratrici e ai lavoratori di Rignano e San Severo va tutto il nostro ringraziamento. Grazie per il coraggio, la forza, l’affetto che ci hanno mostrato. Bisogna che essi vincano, per la dignità di tutti noi.
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