Alla vigilia dell’anniversario di uno degli atti terroristici più infami e sanguinosi commessi dalle bande cecene, allorché il 1 settembre 2004 una trentina di terroristi (ma, per i media occidentali, si tratta sempre e comunque di “combattenti separatisti”) della formazione di Šamil Basaev tenne in ostaggio per tre giorni oltre mille tra bambini, genitori e insegnati della scuola №1 di Beslan, la cui liberazione costò la vita a più 350 ostaggi, altri terroristi hanno assassinato a Donetsk Aleksandr Zakharčenko, Presidente della Repubblica popolare di Donetsk.
Se la scia di sangue di civili inermi, di bambini, di anziani, che l’aggressione ucraina si porta dietro da oltre quattro anni sta continuando a terrorizzare il Donbass; se l’uccisione di tanti comandanti delle milizie – solo alcuni, dal 2015: Aleksandr Bednov, Roman Voznik, Aleksej Mozgovoj, Eduard Ghilazov, Pavel Dremov, Evgenij Kononov, Armen Baghirjan, Aleksandr Pavlov “Motorola”, Oleg Anaščenko, Mikhail Tolstykh “Givi”, in agguati dietro le linee del fronte o addirittura sulla porta di casa, lascia dietro di sé lo sgomento per la perdita di compagni valorosi e capaci; l’assassinio di Zakharčenko sembra dover coinvolgere lo spirito stesso della Novorossija. Da quasi quattro anni, dal novembre 2014, la sua figura ha costituito quasi il simbolo della resistenza dell’intero Donbass; più di quelle dei presidenti dell’altra Repubblica popolare, quella di Lugansk, che si sono succeduti nel tempo. Zakharčenko ha rappresentato la “continuità”, la stabilità di ambedue le Repubbliche popolari, la loro determinazione a resistere all’aggressione golpista.
A Mosca già ieri – la notizia dell’esplosione nel centro di Donetsk e della morte in ospedale di Zakharčenko, per le lesioni riportate, insieme al ferimento di altre dieci persone, è stata diffusa dopo le 17 – si è parlato di “superamento di ogni limite”, come se il soggetto che quasi sicuramente è il mandante dell’atto terroristico, cioè la junta nazigolpista di Kiev, voglia arrivare proprio a questo: dimostrare la propria “potenza”, portando il terrore nel cuore della capitale della DNR, falciando l’uomo simbolo della DNR e con ciò mandare a monte ogni tentativo di soluzione del conflitto. In questo senso si è espresso, ad esempio, il maresciallo dei cosacchi del Kuban e deputato della Duma russa, Konstantin Zatulin: “La morte di Alexander Zakharčenko” ha detto, “è la dimostrazione della natura terroristica e di odio antiumano delle autorità di Kiev. In ogni crisi, scontro, persino azione militare, c’è una soglia che non può essere valicata. Kiev oggi ha oltrepassato questa linea. L’Ucraina di Porošenko è uno stato di gangster. L’attacco terroristico a Donetsk non resterà senza conseguenze".
Il presidente del Consiglio del popolo della DNR e principale delegato ai colloqui di Minsk, Denis Pušilin, ha dichiarato che questa “è un’altra aggressione dell’Ucraina. Donetsk vendicherà questo crimine”.
Da Mosca, Vladimir Putin ha dichiarato che “il vile omicidio di Alexandr Zakharčenko costituisce un’ulteriore prova del fatto che chi ha scelto la via del terrore non vuol trovare una soluzione politica al conflitto, non vuol condurre un vero dialogo con gli abitanti del sud-est. Puntano pericolosamente sulla destabilizzazione della situazione, per mettere in ginocchio il popolo del Donbass. Ma non ce la faranno”.
Per parte nostra, possiamo azzardare che Kiev non possa essersi arrischiata a puntare a un obiettivo così in alto senza un benestare da oltreoceano, con la consapevolezza, prima di tutto, di dover saggiare ulteriormente, per interposta persona, le reazioni di Mosca. Reazioni che, al momento, perlomeno ufficialmente, appaiono abbastanza misurate. Lo speaker della Duma, Vjačeslav Volodin ha detto che l’atto terroristico annulla di fatto gli accordi di Minsk e ha esortato l’Assemblea Parlamentare dell’OSCE a fornire una propria valutazione dell’attacco. Più deciso e diretto, come sua abitudine, il leader ceceno Ramzan Kadyrov, il quale ha dichiarato che Grozny è pronta a prestare qualsiasi aiuto e sostegno alla DNR, sotto qualunque forma lo si voglia intendere.
Ieri, il Ministero degli esteri russo aveva diffuso una nota in cui si dichiara che “scopo dell’azione terroristica è l’interruzione del processo di soluzione politica pacifica della situazione nel Donbass, l’attuazione degli accordi di Minsk. L’assassinio di uno dei firmatari del complesso di misure di Minsk è perfettamente nella logica della soluzione di Kiev della crisi interna ucraina”.
Ancora Volodin ha espresso forti dubbi che le autorità di Kiev entrino ora in contatto con il nuovo leader della DNR, chiunque sia, considerandolo “due volte illegittimo”: non riconosciuto da Kiev e non eletto dal popolo della DNR, come lo era stato Zakharčenko.
Comunque, se pochi dubbi rimangono sui committenti, sin da subito i sospetti su esecutori e complici si sono appuntati, come già in altre occasioni, sulla cerchia più stretta di Zakharčenko e le notizie di stamane sembrano confermare queste ipotesi. Il locale in cui è avvenuta l’esplosione, a due passi dalla residenza presidenziale, è di proprietà del capo della scorta Zakharčenko e viene spesso utilizzato come sede di ricevimenti ad alto livello. Per l’appunto, ieri, vi si commemorava Iosif Kobzon, “la voce” dell’URSS, originario di Donetsk e morto di tumore il giorno precedente. Le prime indagini parlano di una bomba posta dietro un lampadario e fatta detonare con uno squillo di cellulare; per potere accedere e piazzare l’ordigno, in un locale tanto controllato, è impossibile fare a meno di complicità “interne”.
Proprio su questo ferma l’attenzione il politologo Eduard Popov: “Sfortunatamente, la difesa delle repubbliche del Donbass zoppica; è risultato evidente già con l’omicidio di Motorola, in seguito a un tradimento interno. Ho visto personalmente come fosse protetto Zakharčenko. Se i terroristi ucraini sono arrivati fino a lui, la sicurezza della DNR funziona molto male. Interi dipartimenti sono pieni zeppi di uomini di Kiev”. Inoltre, l’omicidio di Zakharčenko, tra gli altri obiettivi, ha anche quello di “indurre un’atmosfera di paura e insicurezza. E’ tempo di iniziare al più presto una pulizia di massa dell’apparato statale dagli agenti ucraini. Il successore deve essere un militare, dello stampo di Zakharčenko; ogni altra candidatura non potrebbe che ricadere su personaggi pronti a tradire”: forse Kiev punta proprio su questo.
Al momento, mentre la Repubblica ha proclamato lo stato d’emergenza e rafforzato al massimo le misure di sicurezza (nella stessa LNR le milizie sono state poste in stato di massima allerta) il Consiglio dei Ministri della DNR ha nominato facente funzioni di capo della Repubblica Dmitrij Trapeznikov, sinora vice presidente del Consiglio. E Trapeznikov, in una conferenza stampa congiunta con Denis Pušilin, ha detto di attendere provocazioni alle frontiere della DNR, mentre la ricognizione delle milizie già registra movimenti di truppe e veicoli corazzati ucraini in direzione di Volnovaha-Dokučaevsk.
Aleksandr Zakharčenko, nato a Donetsk 43 anni fa, dopo il referendum sull’indipendenza della DNR del 11 maggio 2014, era stato nominato comandante militare di Donetsk, ricoprendo l’incarico fino al luglio successivo e nominato poi vice Ministro degli interni. In quel periodo, ha preso parte ai combattimenti nell’area di Donetsk. L’8 agosto, il Consiglio Supremo della DNR lo aveva nominato Presidente del Consiglio dei Ministri. Eletto Presidente della DNR il 2 novembre 2014 con il 77,51% dei voti, il 12 febbraio 2015, con le consultazioni del cosiddetto “formato normanno” tra i leader di Russia, Francia, Germania e Ucraina, a Minsk, insieme ai partecipanti al “gruppo di contatto” e al capo della LNR, Igor Plotnitskij, aveva firmato il complesso di misure del cosiddetto “Minsk-2”.
Un primo attentato contro Zakharčenko era stato compiuto già nell’agosto 2014. Nel febbraio 2015, un cecchino ucraino lo aveva colpito a una gamba a Debaltsevo; due settimane prima, un altro cecchino lo aveva mancato a Uglegorsk e aveva ucciso una sua guardia del corpo.
I funerali si terranno domani. La Repubblica ha proclamato tre giorni di lutto. L’inizio dell’anno scolastico è rimandato dal 1 al 4 settembre.
PS. Non merita dar conto degli schiamazzi di gioia dei nazisti ucraini per l’assassinio di Zakharčenko, se non per rimarcare una volta di più a chi facciano da putrido megafono gli italici piddini e “leu-isti” vari.
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