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03/10/2018

Il Governo e i numeri del DEF: altro che affronto all’Europa, è la solita austerità

Giovedì scorso il Governo ha partorito la Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (NADEF), un importante documento che mette nero su bianco i paletti delle scelte dell’esecutivo in materia economica, scelte che saranno definite nel dettaglio solo a partire dalla predisposizione della Legge di Bilancio, tra qualche settimana.

Il dato fondamentale che viene ratificato da questa NADEF è l’entità della manovra fiscale, ovverosia il segno e la dimensione dell’intervento pubblico sull’economia italiana, che si caratterizza per un disavanzo di bilancio del 2,4%. Disavanzo significa eccedenza delle spese sulle entrate, quindi maggiore debito pubblico: a prima vista sembrerebbe una manovra espansiva, che alimenta la spesa complessiva per stimolare l’economia. Tuttavia, come sappiamo, non tutta la spesa pubblica stimola l’economia: la spesa per interessi sul debito, ad esempio, ha un impatto trascurabile sulla crescita perché finisce in gran parte nei profitti di banche e altre istituzioni finanziarie piuttosto che in consumi. Una volta depurata la spesa pubblica complessiva dalla spesa per interessi, la quale si aggira intorno al 3,8% del PIL, veniamo a scoprire che la manovra di questo governo – in perfetta continuità con un passato ormai lungo decenni – produrrà un avanzo primario (cioè al netto degli interessi) di circa 1,4 punti di PIL: il governo populista, esattamente come i governi tecnici – sottrae più risorse all’economia con le tasse di quante ne aggiunge con la spesa. Questo governo ha dunque scelto di proseguire lungo la strada dell’austerità che ci chiede l’Europa: la manovra ha indubbiamente segno recessivo, ovvero un impatto macroeconomico complessivo negativo.

Risulta completamente fuorviante, da questo punto di vista, il paragone con la Francia suggerito da Di Maio, che ha twittato: “La Francia per finanziare la sua manovra economica farà un deficit del 2,8%. Siamo un Paese sovrano esattamente come la Francia. I soldi ci sono e si possono finalmente spendere a favore dei cittadini. In Italia come in Francia.” Peccato che la Francia, a fronte di una spesa per interessi pari a circa l’1,8% del PIL, con un disavanzo complessivo del 2,8% realizzi un disavanzo primario di circa un punto percentuale: esattamente al contrario del governo italiano, dunque, quello francese aggiunge all’economia con la spesa più di quanto sottrae con le tasse. Un dato che la dice lunga sulle premesse del tweet circa la sovranità di Italia e Francia, sebbene sia evidente come il governo Macron utilizzi il maggiore spazio di manovra per aiutare le sue imprese e mai i suoi lavoratori.

Il dissenso con l’Europa, dunque, non è sul segno della politica fiscale, che si conferma in linea con la stagione dell’austerità, ma semplicemente sull’entità della stretta che il Governo deve dare all’economia e allo Stato Sociale: l’Europa sogna lacrime e sangue mentre un governo appena eletto prova ad abbassare i toni della macelleria sociale – senza mai metterne in discussione le premesse. Lo testimonia una bozza del documento redatto dal Governo già in circolazione: “il programma qui descritto condivide l’enfasi sulla riduzione del debito ma opta per un miglioramento del saldo strutturale più graduale sulla base della considerazione che un aggiustamento di 0,6 punti percentuali di PIL all’anno, unito all’effetto della chiusura dell’output gap, implicherebbe un’eccessiva stretta fiscale (quasi un punto di PIL nel 2019).” La stretta fiscale che ci chiede l’Europa sarà fatta: purché non sia eccessiva, implora il ‘governo del cambiamento’. Inoltre, tra le raccomandazioni troviamo che al Governo preme “assicurare che il tasso di crescita nominale della spesa pubblica primaria netta non superi lo 0,1% nel 2019, corrispondente a un aggiustamento strutturale annuo dello 0,6% del PIL”: si certifica la volontà politica di frenare la spesa pubblica, altro che manovra espansiva!

Una volta scelto di restare dentro ai vincoli europei, il Governo potrà finanziare le principali misure previste solo attraverso massicci tagli alla spesa. Non lo nasconde il Ministro Tria, che anticipa al Sole 24 Ore di domenica una “operazione veramente drastica di spending review”: meno sanità, meno istruzione, meno servizi pubblici, meno infrastrutture, come prospettavamo prima dell’estate. Per finanziare cosa? Un finto reddito di cittadinanza ed una flat tax che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Come confessa lo stesso Tria nella medesima intervista: “Sul piano fiscale tutti gli interventi che stiamo preparando sono a favore delle imprese e delle partite IVA. Purtroppo abbiamo dovuto rimandare, con rammarico, l’alleggerimento della pressione fiscale sui redditi personali”, cioè sul lavoro. L’unica misura che potrebbe favorire i redditi da lavoro è un eventuale superamento di quella sciagura della riforma Fornero: si moltiplicano però le ipotesi di “superamento” che prevedono varie penalità per chi anticipasse la pensione rispetto ai termini della Fornero, una vera e propria trappola per i futuri pensionati. E a proposito di trappole, Tria adombra la presenza di un nuovo tipo di clausole di salvaguardia che sarebbe presente nella manovra.

Queste clausole sono meccanismi che scattano in automatico se il Governo non riesce a rispettare gli obiettivi messi nero su bianco nel DEF (Documento di Economia e Finanza) e sfora il deficit in esso prefissato. Negli ultimi anni, in questi casi si prevedeva un aumento dell’IVA, che doveva poi di anno in anno essere scongiurato nella manovra. Ora invece Tria promette, o forse minaccia, un salto di qualità. Se, per una qualsiasi ragione, il quadro finanziario complessivo si evolverà in maniera differente da quella messa in preventivo nel DEF e ci saranno meno entrate per lo Stato, scatterà una tagliola automatica sulla spesa. Come a dire: noi ci abbiamo provato, a far crescere il Paese. Se le cose non vanno bene, pazienza, tagliamo immediatamente le spese che abbiamo messo in campo. Si tratta di un vero e proprio salto di qualità nell’implementazione delle politiche di austerità: le clausole di salvaguardia erano disegnate in maniera talmente goffa da essere quasi inattuabili, perché nessun Governo ha mai avuto il coraggio di avallare un impopolare aumento dell’IVA; i tagli alla spesa, invece, sono molto più facili da far passare sebbene abbiano un impatto ancora più nefasto sulla crescita e sull’occupazione. Prepariamoci dunque ad ulteriori riduzioni della spesa sociale che saranno nascosti nel meccanismo automatico e impersonale delle clausole di salvaguardia

Dovrebbe apparire chiaro che questo governo fa la guerra all’Europa solo su twitter, mentre nei fatti si presenta come un solerte esecutore delle politiche di austerità che l’Europa ci impone. Una storia già tristemente e abbondantemente vista. Mentre l’opposizione parlamentare critica da destra l’operato del Governo, unendosi al coro dei grigi burocrati europei che vorrebbero ancora più austerità, noi dobbiamo porci il problema di come rispondere alla guerra al lavoro dichiarata con questa manovra finanziaria dall’ennesimo governo dell’austerità. Un buon inizio potrebbe essere sgomberare il campo da equivoci circa la natura di questa maggioranza giallo-verde: come i numeri della manovra finanziaria appena pubblicati ci rivelano, quelli che hanno festeggiato dal balcone di Palazzo Chigi giovedì sera sono un mero restyling della classe dirigente che l’Europa utilizza per distruggere lo Stato Sociale e schiacciare occupazione e salari; Di Maio e Salvini sono parte integrante della restaurazione neoliberista che, con il morso della crisi, intende riprendersi tutto quello che i lavoratori hanno conquistato dal dopoguerra agli anni Settanta. Contro questo Governo, dunque, bisogna tenere la guardia alta come e più di prima.

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