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07/10/2018

La droga come spettacolo: alcuni spunti a partire da “Fare di tutta l’erba un fascio” di A. Kaveh

Nell’interessantissimo libro “Fare di tutta l’erba un fascio” (ed. Sensibili alle foglie) del compagno Afshin Kaveh, viene dibattuto un tema, quello della droga, spesso discusso attraverso logiche binarie: proibizionismo, antiproibizionismo, legalizzazione, penalizzazione; queste dicotomie però non ci aiutano a comprendere il ruolo che la droga assume all’interno della nostra società. Partendo dal suo stato di merce, seguendo una coerente lettura marxista e situazionista, possiamo comprendere che essa non è meramente un oggetto inerte, ma è intrecciata nei rapporti sociali di produzione che la imbrigliano e la rendono una merce spettacolare tra le tante, in quell’immensa accumulazione di merci che caratterizza il modo di produzione capitalistico. Essa si nutre, prende forma a partire dai miti, dalle narrazioni che la rendono appetibile, candidandola a soddisfare un bisogno, non importa se sorto “dallo stomaco o dalla fantasia”. Elemento arcano è la merce, svelarne le sue logiche è compito ingrato e difficoltoso, ma necessario se si vuole portare una critica coerente alla sua struttura e alla società dalla cui logica prende forma. Vi è un potere immaginifico nella merce, di seduzione, che sorge dall’attribuzione di valore di cui essa è oggetto, in cui l’immaginario e gli status simbol che incarna hanno un ruolo preponderante; il suo ruolo è quello di un feticcio che rende gli uomini che l’hanno prodotta attraverso il loro lavoro materiale e simbolico degli spettatori passivi, che finiscono per esserne sovrastati e consumati.

Una possibile strada per disallinearsi dalla droga e dalle sue rappresentazioni è quella di cogliere il suo carattere di merce spettacolare e capire che la sua funzione all’interno della società è di fatto in linea con la logica di performance e con le routine che caratterizzano l’alienazione del tempo di lavoro come del tempo libero, ormai entrambi colonizzati dal consumo di sostanze. Come suggerisce l’autore vi è infatti una drogofilia nella società, i suoi meccanismi ci inducono al suo consumo per i più disparati scopi: per rimanere prestanti e performativi vi è una vasta gamma di eccitanti, anfetamine, smart drugs; per eliminare ogni intoppo nella vita lavorativa e personale si fa un uso massiccio di antibiotici; per affrontare la vita sociale vi è quel collante universale e inibitorio che è l’alcool; come antistress quotidiano ci si può rifugiare nel fumo di sigarette, per non parlare dell’universo degli psicofarmaci. Dall’altro lato vi è una drogofobia che si incarna negli apparati repressivi e legislativi, cosi come in quelli morali, che ci suggeriscono quali droghe dobbiamo assumere e quali no, e avviano poi tutti i percorsi che stabiliscono cosa deve essere normale e cosa deve essere invece patologico, cosi come quale droga è lecita e invece quale non lo è. Ci troviamo perciò di fronte ad una società che da un lato incentiva il consumo di sostanze e dall’altro perseguita chi le consuma.

Viene inoltre affrontata l’annosa questione del mercato della droga, attraverso un excursus storico, dalla storia dell’oppio e le sue guerre condotte dalla Gran Bretagna in nome di Adam Smith e del libero scambio contro i tentavi di regolazione del consumo di oppiacei da parte dell’Impero Cinese, passando per la commercializzazione dell’eroina da parte della Bayern, che fu diffusa inizialmente come farmaco, poi sostituita dall’aspirina e usata nel trattamento della morfinomania, aiutandoci a capire quanto sia assurdo immaginarsi un mercato illegale separato da quello legale, e quanto piuttosto occorra invece rendersi conto della loro contiguità. Non viene scordato nemmeno l’uso repressivo, rispetto ai movimenti politici, che venne fatto della stessa eroina, in Italia con l’operazione Blue Moon e negli Stati Uniti con l’operazione Chaos: ovvero la deliberata messa in circolazione, con l’avvallo dei servizi, di ingenti quantità di sostanze volte a decapitare la spinta propulsiva delle organizzazioni politiche del post-sessantotto.

Le dicotomie con cui viene trattata abitualmente l’analisi della droga risultano perciò in conclusione fallaci, e si rivelano essere due lati della stessa medaglia. Solo le armi della critica e la prassi possono aiutarci a sciogliere questi nodi, non isolando una merce, certo del tutto particolare, dalle logiche di sistema che l’hanno prodotta.

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