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05/09/2019

Tensione e destabilizzazione perenne nel Golfo

Non passa quasi giorno senza problemi o operazioni di sicurezza nello stretto di Hormuz o in uno dei paesi circostanti, come abbattimento di droni, aggressioni navali, sequestro di petroliere, ecc. Se aggiungiamo la crescente competizione militare nella regione, i preparativi per i combattimenti reciproci e gli accordi sulle armi, sembrerebbe che la guerra in Medio Oriente sia inevitabile, ma nessuno sa quando. Sarà vero?

I dati precedenti sono cambiati e la tensione si è spostata da semplici pressioni e minacce mediatiche a una seria possibilità di un feroce confronto tra l’Iran e i suoi alleati da un lato e gli Stati Uniti e i loro alleati dall’altro, andando oltre tutte le linee rosse: è così?

Ancora una volta, la risposta è no, e tutta l’escalation che sta avvenendo nel contesto di “scenari” reciproci studiati non porterà in alcun modo a una guerra totale. Significativamente alta, ma, qualunque sia l’azione, la reazione sarà controllata ed entro un margine di movimento che non supera le linee rosse.

La domanda è: fintanto che né l’Iran né gli Stati Uniti vogliono la guerra, perché allora questa tensione continua nella regione, e perché non ci si adopera per un nuovo accordo?

La crescente tensione è il risultato dell’intensificarsi delle pressioni economiche, politiche e mediatiche americane sull’Iran. Ma è anche il risultato del fatto che Teheran continua a cercare di mantenere l’attenzione mondiale sulla regione, attraverso azioni o operazioni svolte direttamente e indirettamente da alcuni suoi alleati.

Se l’obiettivo di Washington, con il continuare la sua pressione sulla Repubblica islamica, è portare quest’ultima a fare concessioni in diversi ambiti quando arriva il momento dei negoziati, lo scopo della Repubblica Islamica è quello di continuare ciò che può essere descritto come schermaglie o provocazioni deliberate, per non rimanere solo sotto pressione, attrarre interventi regionali e internazionali, e convincere Washington a interrompere la sua attuale politica nei confronti di Teheran.

Sembra che l’incapacità di entrare in trattative per raggiungere un nuovo accordo sia dovuta alla mancanza di prontezza di entrambe le parti, e al loro reciproco sforzo di innalzare il tetto di richieste e condizioni per un eventuale negoziato. Soprattutto, la questione iraniana è collegata a una serie di questioni regionali spinose, che rendono non semplice un compromesso tra le parti; ad esempio, per quanto riguarda la navigazione nello stretto di Hormuz, o l’esportazione di petrolio iraniano, o anche i dettagli dell’accordo nucleare e i livelli di arricchimento dell’uranio. È tutto associato ad altri problemi più complessi, tra cui lo Yemen, l’Arabia Saudita, l’Iraq, la Siria, Israele, ecc. Vi è grande attenzione ai missili balistici iraniani, che sono diventati una preoccupazione per una vasta gamma di paesi della regione, in particolare Israele, che ha portato Washington a mettere sul tavolo anche la questione di questi vettori; ciò è fortemente contrastato da Teheran, perché la rinuncia a questi missili significherebbe praticamente privarsi di una delle armi più importanti, indirettamente usata negli attuali conflitti nella regione. Si può, quindi, affermare che tornare al tavolo delle trattative non sarà facile, e non ci sono soluzioni magiche o rapide a questi questioni; anche se si iniziasse a negoziare, ogni questione richiederebbe un lungo periodo di tempo, preceduto da numerosi preparativi e atti di mediazione,

Sulla base di quanto precede, per i nuovi negoziati tra Washington e Teheran, l’amministrazione Trump continuerà la politica di pesanti pressioni, che si sono dimostrate efficaci in più di un posto nel mondo, compreso l’Iran; in particolare, più la tensione aumenta nella regione, più aumenta la presenza militare delle forze USA-Occidente in Medio Oriente e nel Golfo: sono state confermate la ridistribuzione delle forze statunitensi in Arabia Saudita (1), nonché la firma di nuovi contratti di vendita di armi (2). D’altra parte, l’Iran continuerà le varie scaramucce che ha precedentemente concepito e progettato per mantenere alto l’interesse globale per le sanzioni contro la propria economia. Non è disposto ad abbandonare le sue politiche nella regione – almeno a breve termine- sapendo che si sta tentando di aggirare le sanzioni statunitensi e quindi di vendere il suo petrolio, segretamente, con la conseguenza di prolungare il più possibile lo scontro con Washington.

In conclusione, è probabile che gli scornacchi tra Washington e Teheran continueranno nella fase successiva, ma le cose non raggiungeranno lo stadio di un confronto militare diretto, anche se ci sono provocazioni reciproche o piccole scaramucce occasionali. Il processo di “inasprimento delle corde” tra le due parti sarà concluso solo da un nuovo accordo transattivo, che comprenda diverse questioni regionali. Il problema è che i tempi per un tale accordo non sono ancora maturi, il che manterrà inalterata la situazione nella regione, con il Libano che sarà influenzato da una parte dell’attuale tensione.

Nei conti del presidente Trump non ci sono guerre militari; egli è solo un commerciante che cerca profitto e apertura di mercati: questa è la sua forza per gli americani, e il segreto del suo successo sta nel portare più investimenti e aggiungere più posti di lavoro. Questo è ciò che cerca e ciò che ha ottenuto con alcuni buoni risultati. Inoltre non ci sono pressioni che inducano le istituzioni decisionali militari e di sicurezza statunitensi a rispondere all’escalation militare, purché gli interessi degli Stati Uniti non siano danneggiati.

Le politiche e le manovre di Trump contro l’Iran possono essere sintetizzate cosi: egli vuole raggiungere quattro obiettivi in un solo colpo:

- in primo luogo, lavorare per raggiungere un nuovo accordo con l’Iran legato al suo nome e ai repubblicani dopo il suo ritiro, a partire dall’accordo firmato da Obama, e intitolato a lui e alla sua amministrazione;

- in secondo luogo, cercare di raggiungere un accordo a beneficio delle imprese statunitensi, a cui è vietato lavorare in Iran a causa della legge statunitense che vieta gli investimenti in un paese “sponsor” del terrorismo; cosa che ha favorito le società europee che hanno beneficiato della firma dell’accordo nucleare con l’Iran. Quindi Trump cerca un accordo globale con l’Iran, che includa tre questione, comprese quelle non raggiunte dall’accordo nucleare del 2015, che sono: 1 – le capacità nucleari dell’Iran, 2 – i missili balistici, 3 – il ruolo regionale dell’Iran; in definitiva, Trump cerca un accordo globale che apra i mercati iraniani alle società statunitensi;

- in terzo luogo, un accordo che soddisfi le condizioni e i desideri della influente lobby sionista, invocato nell’interesse del progetto coloniale espansionista israeliano, i cui progetti aggressivi si scontrano con le aspirazioni regionali dell’Iran in Iraq, Siria e Libano;

- quarto: lavorare per ricattare i vicini dell’Iran e vendere loro quante più armi e competenze possibili, e perpetuare l’orrore del “boogeyman iraniano”, che gli porta miliardi con eccellente risultato. (3)

Infine, Trump sta creando problemi, mettendo in apprensione e spostando il mercato per trarne vantaggi, e poi riesce a i rimane l’attore principale sulla scena, sfruttando le capacità degli Stati Uniti, e i problemi della Russia e dell’Europa, per competere con la Cina e creare ostilità con l’Iran.

Note
(1) Oltre alle portaerei statunitensi e britanniche, navi da guerra e navi della regione, sono stati completati i preparativi per l’avvio di un’operazione navale multinazionale denominata “Ranger” per garantire la libertà di navigazione nel Golfo.

(2) Il re saudita Salman bin Abdul Aziz ha accettato di ospitare le forze statunitensi sul suo territorio.

(3) Lockheed Martin ha vinto un contratto da $ 1,48 miliardi per vendere un sistema di difesa antimissile in Arabia Saudita, portando il valore totale del contratto missilistico “THAD” a $ 5,36 miliardi.

Fonte

Analisi molto interessante quella appena riportata.
In alcuni passaggi relativi alla strategia trumpiana, tuttavia, ravviso qualche contraddizione. Nello specifico i punti 3 e 4 mi sembrano in netta antitesi con una "normalizzazione"dei rapporti con l'Iran che apra i mercati sciiti alle multinazionali statunitensi.
La tutela degli interessi dell'espansionismo israeliano, così come la vendita di ingenti quantitativi di armi alle monarchie sunnite del Golfo in funzione "difensiva" implicano necessariamente la compressione delle aspirazioni iraniane e la perpetuazione della Repubblica Islamica nel novero degli "stati canaglia".

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