di Michele Giorgio – Il Manifesto
Suha Jarrar ci racconta al telefono da Ramallah il quarto arresto subito, nella notte tra mercoledì e giovedì, dalla
madre Khalida Jarrar, deputata palestinese, storica attivista dei
diritti delle donne e tra i dirigenti del Fronte popolare per la
liberazione della Palestina, il Fplp, la sinistra marxista. «È
stato come rivedere un brutto film» ci dice. «Eravamo in casa solo mia
madre ed io. Intorno alle 3 siamo state svegliate da forti rumori
proprio sotto la nostra abitazione. Abbiamo visto una dozzina di jeep
piene di soldati israeliani, mamma ha capito subito che venivano per
lei». I militari guidati da un ufficiale, prosegue Suha Jarrar, «ci
hanno intimato di aprire la porta. Appena entrato l’ufficiale con un
sorriso beffardo si è rivolto a mia madre con le parole “eccoci di nuovo
qui” e le ha ordinato di seguirlo. Ho chiesto di poter vedere il mandato di arresto ma i soldati non mi hanno mostrato nulla. Poi mi hanno allontanato da mia madre e ho potuto abbracciarla e salutarla solo per pochi secondi».
Tutto è avvenuto a breve distanza dal centro di Ramallah e
poche centinaia di metri dalla Muqata, il quartier generale
dell’Autorità nazionale palestinese dove si trovano gli uffici del
presidente Abu Mazen. Ma dalla presidenza ieri non sono giunti
comunicati di protesta. Ad alzare la voce è stata un’altra importante
donna palestinese, Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp.
«Nelle stesse ore in cui (Jarrar) veniva portata via, altri attivisti
nelle città di Ramallah e Betlemme sono stati arrestati dalle forze di
occupazione israeliane», ha denunciato. «Ancora una volta» ha continuato Ashrawi, «è stata arrestata Khalida Jarrar, che è anche un insigne difensore dei diritti umani».
La jeep con a bordo la deputata del Fplp si è diretta alla prigione di Ofer. Poi al centro di detenzione di Hasharon.
«Lì ora viene interrogata ed è probabile che ci resterà per giorni» ci
spiega Suha Jarrar «domenica sarà portata davanti ai giudici militari e
con ogni probabilità sarà posta ancora una volta in detenzione
amministrativa, che non prevede un processo e la presentazione di accuse
formali. È una misura disumana e contro il diritto ma Israele la applica da decenni nel silenzio del mondo». Al momento sono
centinaia i palestinesi rinchiusi in carcere per mesi su richiesta
dello Shin Bet, il servizio israeliano per la sicurezza interna.
La loro detenzione senza processo può essere rinnovata più volte. Ne
fecero uso i britannici, durante il Mandato sulla Palestina. Israele ha
poi inglobato la misura nel suo ordinamento. Viene usata contro i
palestinesi sotto occupazione militare. I casi di israeliani posti agli
arresti “amministrativi” si contano sulle dita di una mano.
Khalida Jarrar, 57 anni, era stata rilasciata lo scorso febbraio dopo 20 mesi di detenzione amministrativa.
Un calvario denunciano la famiglia e il Fplp. Capo della Commissione
parlamentare per i prigionieri politici e vice presidente dell’associazione Addameer
che tutela i diritti dei detenuti, aveva scontato 14 mesi di carcere
già tra il 2015 e il 2016. In quell’occasione fu accusata di ben 12
reati ma, evidentemente, senza prove dato che i giudici militari alla
fine decisero di condannarla alla detenzione amministrativa e di non
processarla. I palestinesi parlarono di una «vendetta» poiché Jarrar
aveva rifiutato il domicilio coatto a Gerico ordinato da Israele. E
perché faceva parte della commissione che prepara rapporti sulle
violazioni israeliane destinati alla Corte penale internazionale.
Nei Territori Khalida Jarrar è un simbolo della lotta all’occupazione,
per le autorità israeliane è un membro di una «organizzazione
terroristica».
In solidarietà con Khalida Jarrar, Heba al Labadi, in sciopero della
fame da 38 giorni, e le altre palestinesi detenute in Israele, ieri
a Ramallah, Haifa, Gerusalemme, Giaffa, Betlemme, Nazareth, Rafah,
Berlino e Londra, sono scese in strada attiviste e simpatizzanti
dell’associazione “Tal’at”, che si batte per la liberazione dalla
società patriarcale e dall’occupazione israeliana, protagonista
il 26 settembre di una mobilitazione simile dopo l’omicidio (avvenuto
in famiglia) di una giovane di Beit Sahour, Israa Gharib. «La
liberazione di Khalida, Heba e di tutti i prigionieri politici è
centrale per la nostra lotta», spiega al manifesto Ebaa R., di
Gaza, presente con altre decine di attiviste al raduno a Finsbury, a
Londra, «Tal3at ripete ovunque dove è presente che la liberazione delle
nostro popolo viaggia di pari passo con quella delle sue donne».
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