Anche in Germania il Coronavirus non si ferma, anzi. Dalle tre aree iniziali di diffusione del virus, regioni poste ai confini con la Francia, la Repubblica Ceca e l’Austria, assistiamo in questi ultimi giorni a una generalizzazione del contagio, che si espande pian piano a tutto il territorio nazionale. Le infezioni sono in rapido aumento. Le scuole, molte fabbriche e tutti i luoghi di ristorazione sono stati chiusi ovunque e le misure governative per fermare – o almeno rallentare – il contagio diventano anche qui ogni giorno più draconiane.
I dati relativi alla diffusione del virus, aggiornati a sabato 21 marzo dall’Istituto Robert Koch e dal Ministero della Salute federale, ci parlano di 16.662 casi confermati (+ 2.700 rispetto al giorno precedente) a fronte di “solo” 47 morti.
Questo incredibile squilibrio tra i tassi di infezione e quello di letalità (che si aggira intorno al 0,3%, a fronte di una media mondiale che parla del 3%) sta facendo interrogare e discutere le maggiori testate giornalistiche del mondo, che già parlano di anomalia tedesca. Effettivamente ad un primo sguardo i numeri non sembrano mentire: in comparazione con le infezioni, il numero delle morti è quasi inesistente. I dati della Johns Hopkins University ci parlano di un contagio che si piazza in quinta posizione nel podio mondiale, subito dopo Italia, Cina, Iran e Spagna. Ma allo stesso tempo i morti sono circa 50. I “vicini di casa” francesi hanno circa 10.000 infezioni e 300 morti. La Spagna 18.000 infezioni e 800 morti.
Ma i numeri sono solo numeri. Andiamoci piano e cerchiamo di capire cosa sta succedendo al di là delle Alpi.
Innanzitutto sono gli stessi virologi a mettere in guardia dal trarre velocemente conclusioni radicali. In molti sostengono che il basso tasso di letalità del paese riflette il fatto che l’epidemia è ancora in una fase relativamente precoce del suo sviluppo, e che il profilo delle persone colpite è stato fin’ora più giovane rispetto agli altri paesi (secondo il Robert Koch, oltre l’80% delle persone infette ha meno di 60 anni).
Hans-Georg Krausslich, professore di medicina e responsabile di virologia all’ospedale di Heidelberg, ha dichiarato che “la schiacciante maggioranza dei pazienti è stata infettata solo nell’ultima settimana, e probabilmente vedremo i casi più gravi in futuro, e dunque un cambiamento del tasso di letalità”.
Ma a incidere sulla letalità sarebbe un secondo fattore, determinante. Secondo Lothar Wieler (presidente del Robert Koch) la rete di laboratori tedeschi sta conducendo circa 160.000 test alla settimana: per dare un’idea, è un numero superiore alla totalità di test che alcuni paesi hanno condotto dall’inizio dell’emergenza. Persino la Corea del Sud, che sta conducendo 15.000 test al giorno e fino ad oggi è stata indicata dai virologi come esempio virtuoso da seguire, sembra adesso testare meno della Germania. E la capacità di testare in maniera massiva potrebbe ancora aumentare, destinando i laboratori specializzati in veterinaria alla lotta contro il Covid-19.
I test di massa portano a un tasso di letalità decisamente basso perché consentono di individuare nuovi contagiati anche se essi non presentano alcun sintomo. Come ricorda il professor Krausslich, “nella maggior parte dei casi la malattia è lieve e mostra pochi sintomi: in termini statistici ciò porta a un abbassamento radicale dei tassi di letalità”.
Ma siamo ancora in attesa dell’onda. E aspettando “la piena”, intanto la Germania si rimbocca le maniche e dimostra ancora una volta di essere quel primus inter pares all’interno di un’Unione Europea che non è esattamente quel che si dice un organismo democratico e meritocratico. Qualcuno ha le possibilità per far qualcosa che qualcun altro non può fare. Gli ospedali di tutto il paese stanno espandendo la capacità delle terapie intensive e aumentando i propri organici, mentre il governo federale ha ordinato 10.000 ventilatori salvavita da un produttore tedesco, procedendo a una parziale riconversione della produzione industriale. Quel che si chiama avere una politica industriale indipendente.
Berlino, che ad oggi registra poche centinaia di casi, sta convertendo parti del quartiere fieristico in un ospedale da 1.000 posti letto e misure simili sono state prese in ogni grande città. Quel che si chiama non essere costretto a tagliare la sanità per stare attento alle spread...
E quando gli USA hanno espresso interesse per una delle aziende tedesche che si stanno occupando della ricerca del vaccino, in particolare parliamo della CureVac, la Commissione Europea non ha esitato a fare arrivare 85 milioni per tutelarne la germanicità. Quel che si chiama avere una Ursula Von der Leyen che “tutela le aziende europee”...
Ma non basta. Non poteva bastare. Perché non appena la Deutsche Bank ha fatto sapere di prevedere una contrazione tra il 4 e il 5% nel 2020 per l’economia tedesca, unita a una riduzione del 10% della produzione industriale, il governo federale è corso ai ripari.
Va detto che le dichiarazioni che hanno fatto spaventare i governanti sono state abbastanza esplicite e dirette. “Nel giro di pochi giorni le misure di blocco e le chiusure temporanee delle fabbriche suggeriscono una contrazione economica molto più grande di quanto ci si aspettasse” ha affermato Stefan Schneider, uno dei principali economisti di Deutsche Bank, aggiungendo che “prima del virus si pensava che la crescita sarebbe stata tra l’1 e il 2%: questa nuova stima tiene conto del fatto che, a differenza del 2009, anche il settore dei servizi sta venendo colpito duramente”.
Che fare dunque, per cercare di risolvere il prevedibile caos che verrà a crearsi? Come prevenire i ritardi sulle catene di approvvigionamento industriali? Come ovviare al problema dei camionisti bloccati ai confini (ricordiamo che la Germania ha chiuso le frontiere con Francia, Danimarca, Austria, Lussemburgo e Svizzera)? Come evitare una seconda fila di 40 km di camion fermi, situazione verificatasi dopo la decisione della Polonia di chiudere i suoi confini, la scorsa settimana?
Se bisogna combattere, occorrono dei professionisti. E la ministra della difesa tedesca ha arruolato l’esercito per aiutare a combattere il Coronavirus.
Lo schieramento della Bundeswehr aiuterà a curare i malati (soprattutto grazie alla registrazione dei riservisti con esperienza medica), risolverà i colli di bottiglia nel trasporto e fornirà quel che per ora è stato definito un generico “supporto” alla polizia e alle autorità locali.
“Nessuno deve temere che l’esercito possa istituire un coprifuoco” si è affrettato a dichiarare Eberhard Zorn, ispettore generale della Bundeswehr, cercando di smorzare i timori che suscita questa decisione. Per ragioni che hanno a che vedere con la travagliata storia tedesca, la costituzione pone limiti molto rigorosi a qualsiasi schieramento interno delle forze armate. Ma evidentemente questo non ha impedito al governo di seguire l’esempio di Francia e Italia nella riassegnazione delle truppe.
Annegret Kramp-Karrenbauer, ministra della difesa federale, ha affermato che alcuni dei 184.000 soldati potrebbero essere schierati nelle professioni civili, intendendo con questo che potrebbero anche “proteggere edifici o altri siti, se necessario”. Insomma prima schieriamo l’esercito, e poi capiamo cosa fargli fare. Un’indeterminatezza che non lascia proprio tranquilli...
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