Certamente fino a poco tempo fa non ci saremmo aspettati di vedere quello che ci sta mostrando la presente crisi sanitaria da Coronavirus, ovvero l’invio di aiuti umanitari al nostro paese da parte della Cina e, soprattutto, di Cuba.
Tutto quello che si poteva dire di male dei paesi a direzione comunista, seppure in relazione economica con il mondo occidentale come la Cina, è stato detto; dall’assenza di ogni forma di democrazia alla miseria come condizione permanente di quei popoli. Adesso, invece, “il re è nudo” e scopriamo che ad essere esposte a feroci intemperie sociali sono proprio le popolazioni dei paesi imperialisti.
Quello che sta accadendo non è certo un incidente, ma è la manifestazione di una empasse storica – senza timore di esagerare – del Modo di Produzione Capitalista. Dal crollo dell’URSS la cosiddetta crescita c’è stata sfruttando gli spazi aperti da quella crisi e rimangiandosi tutte le conquiste fatte dal movimento operaio del ‘900, a partire dalla distruzione sistematica del Welfare come vera e propria vendetta del capitale contro le classi subalterne.
Ora quei “margini” sono stati erosi e la crisi si manifesta paradossalmente laddove si pensava non ci fossero problemi, cioè proprio nelle retrovie di quei paesi che hanno avuto la pretesa di dettare i destini dell’umanità.
Trent’anni sono un periodo dove nella storia, generalmente, avvengono cambiamenti e vengono al pettine le contraddizioni di un modello sociale e di un determinato sviluppo. Ora, nonostante si fosse in un periodo stagnante nelle dinamiche politiche internazionali, queste contraddizioni emergono su un altro inatteso fronte e rischiano di rimettere in discussione lo stallo presente nei rapporti di forza mondiali.
Infatti il nemico che si considerava distrutto, che è stato dileggiato per decenni dai ceti intellettuali occidentali, a cominciare da quelli italiani, riemerge non come “assalto al palazzo d’inverno” ma come alternativa concreta ad un sistema finanziario ed economico che vive solo cannibalizzando la propria dimensione sociale e producendo guasti profondi.
La distruzione di tutti i sistemi sanitari pubblici a favore dei privati e della speculazione finanziaria tramite i fondi sanitari dimostra proprio questo.
Insomma, quei paesi che si definiscono ancora comunisti, e che non sono una parte irrilevante nel mondo, dimostrano di essere in condizione di affrontare con spirito collettivo e determinazione emergenze di fronte alle quali i paesi imperialisti si fermano, perché rendono omaggio agli interessi privati economici e finanziari.
Non va ricreato nessun mito sulla patria del socialismo, come fu per l’URSS, ma il dato che si evidenzia è che il processo di rivoluzionamento iniziato un secolo fa in Russia non ha affatto esaurito la propria spinta propulsiva.
Ha certamente, sotto le dure lezioni della realtà, cambiato forme e modi seppure con approcci diversi paese per paese, ma continua a operare e a ripresentarsi come alternativa nei tornanti strategici, come sta ora avvenendo.
Il presente tornante strategico – uguale per dimensione a quello avuto negli anni ’90 ma di segno politico opposto – è quello che sta clamorosamente confermando alcuni punti di vista marxisti sullo sviluppo del capitale.
Il primo è che questo è un apprendista stregone che evoca forze che poi non è in grado di gestire. Detto in termini concreti e contemporanei, la famosa “globalizzazione” – mondializzazione, nel lessico marxista – non può essere gestita dalla logica del profitto privato in quanto riproduce al suo interno conflitto e competizione, che trasforma le potenzialità dello sviluppo delle forze produttive in elementi negativi e antitetici agli interessi generali dell’umanità.
Distruzione dello Stato Sociale come conquista di civiltà prodotta dal conflitto di classe del ‘900, impoverimento delle classi sociali subalterne in termini di reddito e condizione di vita, devastazione dell’ambiente per piegarlo alla produzione del profitto e distruggendo la condizione naturale di riproduzione per l’umanità sono i caratteri del presente.
Assieme a questa regressione materiale vengono meno anche le narrazioni ideologiche avvelenate che ci hanno accompagnato in questi decenni e che hanno riscosso credibilità tra le masse.
Ci hanno raccontato che bisognava avere meno Stato e più mercato, ed anche l’altra favoletta sulla fine della Storia in quanto l’ultimo orizzonte per l’umanità non poteva che essere quello del capitale.
Ciò che sta avvenendo ora smentisce il castello ideologico, sposato fino in fondo dalla sinistra, e ci da altre lezioni.
Intanto che lo Stato non è solo quel Moloch che opprime i popoli, ma può essere uno strumento di emancipazione contro ogni logica privatistica che ha il suo corollario culturale nell’individualismo sfrenato, nel tutti contro tutti.
Questo oggi si infrange sul duro scoglio della realtà che mostra come, in una società complessa come quella che si è storicamente determinata, l’individualismo è un veleno dannoso per l’interesse collettivo.
L’altro elemento che si impone è che il “libero” mercato è una falsità ad uso e consumo delle classi dominanti, e che si impone quindi di nuovo la necessità della pianificazione come strumento di crescita equilibrata di una società evoluta, ma oggi ancora segnata dalla distorsione della logica del profitto che il capitale impone come condizione ineludibile della sua permanenza.
Quello che qui si vuole affermare non è che siamo di fronte all’affermazione del comunismo del XXI° secolo, la strada è certamente più complessa e sarà soggetta ad ulteriori cambiamenti e momenti anche drammatici, come non sono mai mancati nei momenti di svolta. Ma certo quello che possiamo dire è che si intravvede una inversione di rotta, l’affermarsi di una necessità oggettiva, che rimette la storia nella giusta direzione di marcia.
Per chi in questi decenni ha caparbiamente tenuto il punto, non ha arretrato su una concezione del mondo, non ha ceduto alle lusinghe del potere, ha continuato a lavorare in una società pur in radicale mutazione, può rivendicare “l’orgoglio” di essere comunista e di continuare a lavorare nella prospettiva della trasformazione sociale; non perché ora sia più facile, ma perché il cambiamento è oggi più credibile.
Questa prospettiva per la RdC è anche quella della rottura dell’Unione Europea e la costruzione di un’area Euromediterranea che agganci le proprie prospettive a quei paesi che sono antagonisti all’attuale sviluppo imperialista.
Questa è una posizione che sosteniamo da tempo, che sembrava essere velleitaria ma che inaspettatamente trova conferme nella crisi sistemica attuale, nella sua forma di crisi sanitaria, e nel ruolo che i paesi a direzione comunista stanno assumendo dentro questo drammatico frangente mondiale.
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