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30/03/2020

Mentre si muore, i padroni ordinano di “riaprire”

Come un solo uomo, dietro Repubblica e IlSole24Ore, i grandi media italiani, con le tv ovviamente al seguito, hanno aperto la campagna “riprendiamo le attività produttive”.

Non sono passati neanche due giorni dall’editoriale con cui il direttore, Carlo Verdelli, chiedeva di dichiarare tutta Lombardia “zona rossa”, con le conseguenze logiche sul piano del fermo produttivo. Stamattina Repubblica titola invece “A casa fino a dopo Pasqua” nell’edizione cartacea, e “Quando riaprire? Parte da fabbriche e cantieri il piano per riaccendere il Paese già entro aprile” su quella online.

Il giornale di casa Agnelli – questo ora è – detta la linea confindustriale: finita o no l’epidemica bisogna riaprire anche quelle poche fabbriche che erano state bloccate perché producono beni “non essenziali”.

Stessa linea per il Corriere della Sera (gruppo Cairo-Rcs), che sempre sull’online dà grande evidenza a un’intervista del quotidiano spagnolo El Pais a Giuseppe Conte: «La serrata delle attività produttive non può durare troppo, ma riapertura sarà graduale».

Potremmo andare avanti a lungo, la lista è lunga e monotona. Dicono tutti la stessa cosa. Che, nella pratica, è questa: si deve lavorare anche se l’epidemia è in questo momento al suo massimo e non si vede assolutamente quando possa almeno rallentare, se non proprio finire.

Abbiamo dunque un doppio binario che solo le ragioni del profitto a tutti i costi possono spiegare, a rischio di una strage di proporzioni bibliche (siamo già oltre i 100.000 contagiati e gli 11.000 morti “ufficiali”, e tutti dicono che questi numeri sono solo una frazione della platea reale).

Da un lato c’è il coprifuoco per chi esce di casa senza un “valido motivo”, fosse anche in completa solitudine. Dall’altra si pretende di continuare a stipare negli autobus e sui treni, oltre che nelle fabbriche, milioni di persone (lavoratori con ogni tipo di contratto).

Ma di quale “distanziamento” stanno parlando?

È assolutamente evidente che la continua circolazione di milioni di persone è in totale contraddizione con la possibilità di “confinare” la diffusione del virus e con le stesse sanzioni abnormi che, giorno dopo giorno, governo e presidenti di Regione emanano.

Ed è altrettanto evidente che Confindustria ha totalmente in mano il governo, e gli ordina di fare il contrario di quanto sarebbe sanitariamente logico perseguire.

È la stessa situazione che ha prodotto il disastro nazionale quando bisognava “chiudere” la Val Seriana (Alzano, Nembro, ecc.) come era stato fatto con Codgno e altri comuni “focolaio”. Per evitarlo, su pressing confindustriale e leghista (e del Pd), l’8 marzo si inventò una “zona arancione” così larga da rendere impossibile qualsiasi chiusura. Salvo poi prendersela – anche giustamente – con quanti “scapparono” dalla Lombardia e altre 14 province nella notte stessa e nei giorni successivi, diffondendo il contagio in altre Regioni fin lì quasi esenti.

È l’antico, infame, modo di governare “all’italiana”: creare o far marcire i problemi, e poi colpevolizzare la popolazione.

I media ora si dilettano in ipotesi sul “cosa” riaprire prima (i negozi di abbigliamento piuttosto che i bar, le cartolerie piuttosto che i ristoranti e a maggior ragion le discoteche, ecc.). E fantasie sul “come” applicare regole di distanziamento in spazi limitati, senza alcun pensiero per i trasporti pubblici o privati... con altri milioni di lavoratori obbligati a recarsi in “ditta” e altri milioni di “consumatori” (ad ore alterne della giornata tutti sono entrambe le cose) che ampliano man mano il proprio giro quotidiano... mentre il virus è tra noi.

Produrre è importante, lo capisce anche un deficiente.

Un paese fermo per mesi è un paese che non sopravvive anche per difficoltà nei rifornimenti, oltre che per l’epidemia. E già ora ci sono segnalazioni di speculazioni sui prezzi dei generi alimentari (come sulle mascherine e l’amuchina, nei primi giorni), al limite delle pratiche da “borsa nera” in tempi di guerra.

Ma un Paese che rinuncia a fermare l’epidemia per la fregola di un pugno di imprenditori senza scrupoli è un Paese che si auto condanna alla rovina, perché in questo modo non se ne uscirà MAI.

O comunque con perdite enormemente più alte di quelle che si vogliono in questo momento evitare.

Lo capisce anche un deficiente.

Prima di questa crisi occorreva una certa dose di cultura per comprendere a fondo questa relazione contraddittoria tra produzione capitalistica e distruzione della vita. Oggi basta affacciarsi alla finestra e rendersene conto.

Guarda caso, soltanto un paese che si definisce “socialista”, anche se “con caratteristiche cinesi”, ci sta in qualche misura riuscendo. Provate a chiedervi perché (senza stronzate sulla “dittatura”, visto che qui – in tutto l’Occidente – si dispiegano eserciti contro la propria popolazione).

Del resto, dopo il nulla di fatto dell’ultimo vertice dei primi ministri europei, e le sprezzanti dichiarazioni della presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen (“i coronabond sono solo uno slogan“, insomma: non se ne parla nemmeno), tutta la nostra “classe dirigente” ha capito che dall’Unione Europea non verrà nessuna decisione utile. Dunque scelgono la solita linea: massacriamo la nostra popolazione, qualcuno di noi (imprenditori) forse sopravviverà...

Stupisce, si fa per dire, che “esperti” sottomettano le loro conoscenze scientifiche agli interessi delle imprese. Mentre non stupisce affatto, come sempre, la classe politica (di maggioranza e di opposizione) più indecente che questo disgraziato Paese – e tutta Europa – abbia mai avuto.

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