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28/03/2020

Come il socialismo cinese sta sconfiggendo il Coronavirus

Pubblichiamo un articolo tratto dal collettivo Qiao, un collettivo antimperialista cinese che attraverso le lente del coronavirus, ci restituisce un’analisi dell’economia cinese, e di come è riuscita ad affrontare la crisi sanitaria in modo coordinato e compatto, a differenza di quanto si sta facendo nei Paesi a capitalismo avanzato.

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La Cina sta mettendo in campo industrie statali e controlli di mercato al fine di costruire ospedali, garantire la stabilità dei prezzi delle materie prime e fornire un trattamento universale per fermare l’epidemia, offrendo una dimostrazione globale della forza del socialismo di stampo Cinese.

In alcune zone della Cina, sembra che il Coronavirus abbia fermato il tempo. Le stazioni di Shanghai e Beijing, normalmente gremite di viaggiatori che tornano a casa dal Festival di Primavera, sono vuote; ristoranti, centri commerciali e luoghi pubblici deserti.

Da questi spazi permeati da una strana quiete non si direbbe, ma in tutto il paese, le ruote dell’industria statale cinese stanno girando in quarta da quando il Partito Comunista Cinese ha mobilitato le sue industrie per far fronte alla crisi della sanità pubblica.

Tra le distorsioni occidentali e la previsione di agende geopolitiche opportunistiche riguardanti questa crisi, il Coronavirus ci offre una lente per comprendere al meglio l’economia politica cinese, la quale si adopera affinché gli interessi del capitale non si impongano a discapito degli interessi del popolo.

La mobilitazione di massa da parte delle industrie statali cinesi per far fronte all’emergenza (ricordiamo la costruzione di due nuovi ospedali in dieci giorni a Wuhan, la tempestività nella produzione e distribuzione delle forniture mediche a prezzo controllato, la disposizione dell’assistenza sanitaria gratuita e il dispiegamento di massa di personale medico statale) è la dimostrazione sulla scena mondiale della politica economica socialista cinese.

Il virus, identificato inizialmente a Wuhan e che vanta adesso casi confermati in 23 Province Cinesi, ha messo il paese in crisi. Venerdì 31 Gennaio le stime ufficiali hanno confermato un totale di 11821 casi, di cui 259 morti, solo nella Cina continentale. Nel frattempo i media occidentali hanno dato spazio a voci e razzismo e gli Stati Uniti hanno imposto il divieto di ingresso per i cittadini cinesi provenienti dalla Cina.

L’accezione razziale data al virus, già riscontrata ai tempi della SARS, ha fatto sì che venissero colpevolizzate le “antigieniche” pratiche culturali e culinarie cinesi, rianimando una narrativa che ha permeato l’occidente dal diciannovesimo secolo, ovvero dall’Atto di Esclusione Cinese. In particolar modo, un video del 2016 della blogger di viaggi Wang Mengyun intenta a mangiare un pipistrello nell’isola pacifica di Palau, è stato fatto passare come un filmato proveniente da Wuhan a “riprova” dell’origine esotica del virus.

Molti progressisti in Occidente hanno condannato la deriva razzista nei confronti della popolazione cinese, soprattutto a seguito della morte per arresto cardiaco di un uomo cinese a Sydney, lasciato morire dai passanti australiani, i quali, per paura di essere contagiati, si sono rifiutati di prestare soccorso. Eppure solo in pochi hanno riconosciuto il ruolo importante svolto dall’animo geopolitico occidentale verso la Cina nella proliferazione, attraverso i media, di informazioni sbagliate e distorte in risposta al diffondersi del virus.

Diverse sono le bufale di tendenza su internet: dalla polizia che spara ai malati nelle strade di Wuhan al cantiere ospedaliero costruito come copertura per un’enorme fossa comune, e ancora che la Cina stessa avesse creato il virus. Nel frattempo, la copertura mediatica mainstream ha insistito sul fatto che il Partito Comunista non stesse gestendo bene la situazione, coprendo informazioni e imponendo restrizioni autoritarie ai cittadini. In particolare, i media si sono concentrati sulla notizia secondo la quale otto medici di Wuhan avevano predetto il Virus settimane prima che questo fosse annunciato pubblicamente, ma sono stati messi a tacere dai funzionari del partito.

Questo aneddoto – riconosciuto ufficialmente come un errore dal sindaco di Wuhan e dai funzionari locali, i quali sono stati criticati aspramente dai vertici del Partito, tra cui la Corte Suprema del Popolo Cinese – è stato rappresentato come un atto d’accusa contro l’intero sistema politico cinese e prova dell’illegittimità del Partito Comunista.

Così come posto dal giornalista del New York Times, Nicholas Kristoff, il mondo sta “pagando per la dittatura cinese”. Analogamente il Washington Post ha chiamato gli sforzi della Cina per contenere il virus “offerti per voi dall’autoritarismo”.

Con l’assoluta mancanza di empatia nei confronti della sofferenza della Cina, Wilbur Ross, segretario al commercio statunitense auspicava che l’epidemia potesse “aiutare” a riportare posti di lavoro negli Stati Uniti.

È quindi interessante notare come nessuno dei media occidentali abbia menzionato che il sindaco e il segretario di partito di Wuhan abbiano ammesso apertamente il loro errore sia in conferenze stampa, sia in interviste per popolari programmi televisivi, né di come il Partito abbia imposto chiaramente e in termini inequivocabili la totale trasparenza e condivisione delle informazioni riguardanti il virus.

In forte contrasto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ha fatto altro che tessere lodi sperticate per la risposta della Cina. Tedros Adhanom Ghebreyesus, Direttore Generale dell’OMS, ha dichiarato che “Il governo cinese merita le nostre congratulazioni per le straordinarie misure adottate per contenere l’epidemia, nonostante il grave impatto sociale ed economico che tali misure stanno avendo sul popolo cinese.”

Per aver osato elogiare la Cina, il Direttore Generale è stato accusato di esser stato corrotto dal Partito Comunista, accuse che sono iniziate quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha semplicemente rifiutato di dichiarare l’epidemia “emergenza sanitaria globale” il 23 gennaio, considerandolo invece un rischio interno alla Cina.

A seguito dei nuovi contagi confermati negli Stati Uniti, in Giappone e altri paesi, l’OMS si è dovuta ricredere e dichiarare l’emergenza sanitaria globale. Perfino allora, il Direttore Generale ha tenuto a sottolineare che questa dichiarazione “non è un voto di sfiducia nei confronti della Cina".

Al contrario, l’OMS rimane fiduciosa nei confronti delle capacità della Cina di controllare l’epidemia.” Ha inoltre sottolineato che la velocità e l’efficacia con cui la Cina ha rilevato l’epidemia, isolato il virus, sequenziato il genoma e condiviso le informazioni con il mondo vada “al di là delle parole”, così come “l’impegno del paese nella trasparenza e nel sostegno delle altre nazioni.” Ha concluso dicendo che: “In molti modi, la Cina sta stabilendo un nuovo standard nella lotta alle epidemie.”

Questo nuovo standard, giustamente elogiato dall’OMS, è in effetti una conferma del potere e dell’efficacia della politica economica socialista della Cina. Innanzitutto il coronavirus per come affrontato dal Partito Comunista è testimonianza dell’etica dell’essere “a servizio del popolo.”

Il 29 Gennaio, in una commovente conferenza stampa, Zhang Wenhong, capo del Medical Treatment Expert Team di Shanghai, ha annunciato di aver sostituito i medici civili in prima linea con funzionari medici del partito. Elogiando gli sforzi dei primi soccorritori, ha detto che “non dovremmo abusare del servizio di persone ligie come loro” e che ciascun membro del partito aveva fatto giuramento di servire le persone che, come in questo caso, necessitano aiuto.

Allo stesso modo, il direttore generale dell’OMS Tedros ha elogiato la competenza di Xi Jinping di fronte all’epidemia e del fatto che Ma Xiaowei, direttore della Commissione Sanitaria Nazionale cinese, era in prima linea nella direzione dell’intervento a Wuhan.

L’abilità della Cina nell’affrontare questa crisi sanitaria di proporzioni di massa è conferma della realtà del socialismo di stampo cinese: pur avendo un’economia di mercato ibrida, il Partito Comunista mantiene il controllo sulle industrie chiave e, a differenza delle società capitalistiche come gli Stati Uniti, rimane indipendente dagli interessi del capitale privato.

Il Ministero del Commercio ha messo in atto un piano che sovrintende il coordinamento del mercato regionale per assicurarsi che il traffico dei prodotti essenziali come grano, carne e uova raggiunga la provincia di Hubei, coordinando nel frattempo la produzione e la distribuzione di maschere e altri dispositivi sanitari; le piattaforme cinesi di e-commerce hanno vietato l’aumento sul prezzo delle maschere N95 e altri dispositivi necessari; il governo ha promesso sovvenzioni per coprire le spese mediche a tutti i pazienti affetti da Coronavirus; il governo di Hubei, per garantire un adeguato approvvigionamento di maschere, ha affrontato massicci acquisti statali; la China State Construction Engineering, di proprietà statale, ha intrapreso la rapida costruzione di due ospedali per la quarantena emergenziale di Wuhan; la compagnia elettrica, anch’essa di proprietà dello stato, China State Grid, ha contribuito con oltre 110 milioni di yuan in contanti e beni fisici a sostegno della costruzione di impianti elettrici degli ospedali di Wuhan, annunciando inoltre la garanzia dell’elettricità a tutti i residenti di Hubei in quarantena, indipendentemente dalla loro possibilità di pagare o meno... e la lista continua.

Forse, però, la cosa più importante è stata la capacità dei funzionari medici cinesi di aver rapidamente isolato e sequenziato il genoma del Coronavirus, condividendo subito i risultati delle ricerche con la comunità internazionale. Un ennesimo colpo all’economia cinese è stato l’annuncio del Partito di estendere il Festival di Primavera fino al 2 di Febbraio per far restare a casa i lavoratori e contenere la diffusione del virus.

Non possiamo che immaginare una risposta nettamente diversa del mondo capitalistico occidentale al Coronavirus: pazienti che non possono permettersi le cure e troppo poveri per non andare a lavoro; l’incremento dei prezzi e la scarsità delle maschere e altri dispositivi sanitari per permettere alle imprese di trarne profitto; aziende mediche che brevettano sequenze geniche e trattamenti salvavita.

In effetti Tedros ha chiaramente annunciato un’emergenza sanitaria globale e che la sua principale preoccupazione non è ciò che sta accadendo in Cina, ma l’impatto della diffusione del virus in paesi con “sistemi sanitari più deboli.”

È ancora da vedere come paesi quali Germania, Giappone e Stati Uniti gestiranno la massima diffusione del virus, soprattutto dopo aver evacuato i propri cittadini da Wuhan, contrariamente alle disposizioni degli ufficiali Cinesi. (Ricordiamo che parliamo di paesi dove fanno da padrone le industrie private di sanità, edilizia, farmaceutica, trasporti, alimentari, e delle risorse.)

Ne è infatti un esempio come, durante l’epidemia di influenza H1N1 del 2009 negli Stati Uniti, 250.000 persone sono state infettate e ricoverate in ospedale e 12.000 persone sono morte, dato che il paese era in gran parte male attrezzato per affrontare la crisi e centinaia di migliaia di cittadini si sono ritrovati ad affrontare significanti costi per l’assistenza medica.

La risposta di Hong Kong alla crisi, ci fornisce un caso di confronto per illustrare le differenze tra la risposta della CPC e la capacità di una società capitalista di rispondere alla crisi.

A Hong Kong, dove il governo e la struttura economica sono notoriamente neoliberisti e le politiche del libero mercato regnano sovrane, il governo è stato ampiamente criticato per non essere stato in grado di affrontare la produzione di mascherine, di dispiegare adeguatamente il personale sanitario, o di aver mantenuto la stabilità sociale. La produzione di maschere di Hong Kong si basa su aziende private e sulla manodopera dei carcerati. Il caos di massa è scoppiato quando i residenti di Hong Kong hanno richiesto a gran voce le mascherine le quali sono state vendute dai negozi privati.

Recentemente, il segretario generale di Hong Kong ha annunciato che la regione riceverà maschere dalle fabbriche di produzione cinesi e costringerà i prigionieri del penitenziario di Lo Wu a lavorare senza sosta e durante la notte per far fronte alla richiesta.

Al contrario, la produzione cinese dei suddetti dispositivi di protezione proviene dalle imprese di proprietà dello Stato, ciò ha permesso alla Cina di aumentare rapidamente la produzione nel settore, garantire il controllo dei prezzi, e la distribuzione al popolo cinese.

È interessante notare che gli abitanti di Hong Kong, invece di addossare l’incapacità del governo nell’affrontare la crisi all’economia privata, alle politiche del libero mercato, alla mancanza della nazionalizzazione della produzione, si siano riversati in un nuovo moto di violenta xenofobia, chiedendo anche le dimissioni del Direttore Generale dell’OMS, a seguito delle lodi poste nei confronti delle infrastrutture sanitarie cinesi e più in generale alla risposta della Cina di fronte alla crisi. Un’altra richiesta mossa dalla popolazione è stata quella che solo i residenti di Hong Kong, escludendo i lavoratori immigrati cinesi e del sud-est asiatico, avessero il diritto di acquistare mascherine, additando la crisi del coronavirus “all’autocrazia e all’autoritarismo” Cinese. L’apice dello scontento si è raggiunto con l’incendio di un edificio residenziale di nuova costruzione per la quarantena.

Anche se alcuni potrebbero distorcere la situazione e incolpare la Cina di aver trascurato Hong Kong durante la crisi, la realtà è che la sofferenza umana che si cela sotto il sistema neoliberale non è il risultato del cosiddetto autoritarismo cinese, ma delle protezioni del mercato libero garantite e obbligate alla Cina a seguito degli accordi di concessione con il Regno Unito.

È plausibile che l’integrazione di Hong Kong all’interno del sistema economico e politico, criticato aspramente in quanto “imperialista”, potrebbe attenuare alcune di queste problematiche.

L’insistenza dei media occidentali nel distorcere e sfruttare la paura del coronavirus per la propria agenda geopolitica è una testimonianza del fine a cui sta andando a parare questa narrazione “mondiale contro la Cina”.

Eppure i nostri pensieri sono rivolti alle innumerevoli famiglie, lavoratori e cittadini di Wuhan e non solo, che hanno trovato momenti di gioia, di festa e di resilienza portati dalla crisi nel bel mezzo del Festival di Primavera. In definitiva, il Partito Comunista Cinese e i lavoratori di tutta la Cina ispirano grande fiducia grazie alla loro capacità di contenere il coronavirus. Infatti, quando la lotta sarà finita e il mondo sarà al sicuro, non ci resterà che ringraziare il socialismo.

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