Il decreto restrittivo “a maglie larghe” sulla produzione industriale, nonostante i quasi 7000 morti con il nuovo record giornaliero di 743 vittime, (di cui oltre 400 solo in Lombardia) permette, oltre ai prodotti essenziali in campo alimentare ed energetico, la “fabbricazione di articoli tessili tecnici ed industriali, articoli in gomma e in materie plastiche, prodotti chimici, prodotti refrattari, di alluminio e semilavorati” (fonte Contropiano) senza alcuna specifica che richiami l’emergenza dell’epidemia, come ad esempio i guanti in lattice, i respiratori e i gel alcolici per disinfettare le mani o similari.
Specifiche richieste invece in Brasile, dove il ministro della Salute Mandetta ha pungolato gli industriali a concentrarsi su queste particolari produzioni e non altre, per limitare gli assembramenti in fabbrica, laddove la produzione in linea generalizzata non consente di rispettare quelle distanze di sicurezza necessarie ad evitare la diffusione del contagio, come la strage reiterata nel Lombardo-Veneto dimostra nel quotidiano.
Non solo: il ministro brasiliano ha ricordato che la collaborazione della sanità privata è fondamentale, potendo questa disporre di maggiori finanze e macchinari ultramoderni, ai fini di evitare il collasso del servizio pubblico, già stremato dalla diffusione del virus, che dai 25 casi iniziali di due settimane fa, ha oltrepassato i duemila, anche se i decessi accertati sono per ora circoscritti piucche altro a São Paulo e Rio de Janeiro.
Purtroppo l’irresponsabile dichiarazione di Bolsonaro di due giorni fa a reti unificate, che ha sconfessato il suo ministro minimizzando la pandemia, rischia di vanificare un lavoro fino ad ora encomiabile.
In Italia, oltre a non disturbare con dichiarazioni “imbarazzanti” i baroni delle cliniche, sì continua invece a calcare la mano sugli spostamenti dei cittadini, che con il novello modulo – ancora una volta modificato in corsa – adesso devono specificare il domicilio oltre che la residenza, indicando da dove lo spostamento è cominciato e la destinazione finale, pena sanzioni fino a 4.000 euro, che servono comunque a far cassa in questo periodo di crisi estrema.
Eppure, tanta rigidità non ha mai trovato riscontro nelle regole violate allegramente dai colossi lombardi, specie nel settore siderurgico, in un quadro di corruzione a 360° che ha coinvolto tutto e tutti, specie in alcuni Comuni della Lombardia.
Arvedi, beneficenza a rendere
Giovanni Arvedi: 83 anni, imprenditore nel settore dell’acciaio, ma soprattutto, specialista in salvataggi.
Salvataggi a buon rendere, ovviamente.
Inizia a metà anni ’80 acquisendo Dalmine, un gruppo in difficoltà che “salva” acquisendo così ben tre acciaierie, in cambio della sua Celestri.
In pratica, un abile scambio di quote azionarie, tre fustini di detersivo al posto di uno, parafrasando una vecchia pubblicità dell’epoca. Una delle tre nuove acciaierie, denominata Arinox, diventa la prima produttrice di nastri di acciaio inossidabile di precisione. E gli utili di Arvedi decollano.
Sempre in quegli anni Giovanni il Salvatore tira fuori dal letame il gruppo Rizzoli e il suo fiore all’occhiello Corriere Della Sera, evitando così la sua chiusura fallimentare.
In cambio di 140 miliardi di lire diventa azionista del gruppo con il 12% di quote, ritagliandosi anche l’aureola di Capitano Coraggioso controcorrente.
Il suo prestigio industriale aumenta.
Sfruttando gli utili dei suoi nastri, nel 2007 salva la Cremonese dalla bancarotta affidandola a un nome di prestigio quale lo scomparso Emiliano Mondonico.
Questa abile mossa gli consente in pratica di prendere in consegna le chiavi della città, e da quel momento da Salvatore sale di grado, diventando il Grande Benefattore di Cremona. Nel 2011 apre il Centro Sportivo giovanile targato Arvedi, soprannominato Cittadella dello Sport.
Nel 2013 inaugura il Museo del Violino e parte il restauro di Piazza Marconi, tutto finanziato dall’imprenditore.
Nel frattempo scoppiano le prime grane: Sinistra Ecologia e Libertà accusa Arvedi di aver seppellito sotto i terreni del Centro rifiuti tossici dell’acciaieria, “cioè scarti di produzione delle acciaierie con elevate concentrazioni di metalli pesanti, diossine e altri componenti pericolosi per la salute che se non adeguatamente trattati e inertizzati, potrebbero disperdersi nell’ambiente e nella sottostante falda acquifera con immaginabili conseguenze per la salute dei cittadini”.
Il “mecenate” forte ormai della sua posizione, non nega il fatto, ma contesta l’accusa di pericolosità esibendo analisi di parte che dichiarano inerti i detriti sotterrati. Intanto una TV locale esce con un servizio intitolato La discarica dello sport.
Controllo dei media
A questo punto Arvedi ha la grande intuizione: seguendo l’esempio del Silvio Nazionale, capisce che per tacitare il dissenso, deve assumere il controllo dell’informazione locale. Così facendo, eviterebbe che i grossi quotidiani attingano da fonti a lui ostili proprio a Cremona.
Detto fatto: sempre nel 2013 compra La Provincia, il quotidiano della città, diventa poi editore del settimanale Mondo Padano dando inizio alle trasmissioni di Cremona TV. Da allora, una cortina di silenzio cala sull’operato dell’acciaieria, che continua la sua attività senza andare troppo per il sottile. Fin quando l’anno scorso FanPage scopre che il Re è nudo: un’indagine dell’ATF (Agenzia Tutela Salute) rende noti dati raccapriccianti fino ad allora tenuti nascosti: Cremona detiene il record in Val Padana di tumori e malattie respiratorie: aumento del 14 per cento delle ospedalizzazioni per patologie polmonari e del 33 per cento nei comuni limitrofi; rischio di tumore al polmone più alto del 7 per cento in città; mortalità per tumore al polmone più alta del 17 per cento nell’hinterland. Aumento del 23% delle leucemie nella città, e addirittura dell’81% in provincia. Milioni di metri cubi di emissioni concentrate in un territorio di pochi chilometri quadrati dove convivono impianti ad alto impatto inquinante.
Una polvere metallica che si accumula giorno dopo giorno su case, tetti e finestre, come avviene a Taranto da decenni, nei territori prospicienti ILVA.
I maggiori responsabili sono individuati nell’inceneritore di Cremona con le sue 71.000 tonnellate annue di rifiuti, nell’autostrada Cremona-Brescia, e ovviamente in Arvedi, che fa la parte del leone, occupando con le discariche interne una superficie di 457 mila metri quadrati; per cui avrebbe una portata di circa 5,6 milioni di nmc (normal metri cubi) immessi nell’atmosfera. A ciò si aggiunge Arvedi Area Nord e Arvedi Tubi Acciaio, in totale circa 866.000 nmc/ora.
Già 3 anni prima El Patrón aveva subìto un incidente di percorso a Trieste, quando la Procura aveva aperto un fascicolo sulla Siderurgica Triestina, la fabbrica rilevata da Arvedi dopo uno dei suoi innumerevoli “salvataggi”.
In quella circostanza, la magistratura aveva raccolto le denunce dei cittadini, ignorate costantemente a Cremona, che lamentavano polveri tossiche e fumi neri emessi dalle ciminiere degli altiforni.
L’imprenditore si era difeso, scaricando il barile sulla passata amministrazione, ma il ripetersi a casa propria di tali scocciature lo preoccupava non poco.
Il salvataggio eccellente
Tuttavia, se è vero che la fortuna aiuta gli audaci, essendo cieca molto più spesso lo fa con i furbacchioni: difatti a fine 2019, offre ad Arvedi la grande chance su un vassoio d’oro. La trattativa per salvare ILVA a Taranto, e trattenere gli indiani riottosi di Arcelor Mittal, limitando così i 4700 esuberi di manodopera minacciati dalla multinazionale, sembra essersi ormai arenata. Lo Stato deve ricorrere a Snam e Cassa Depositi e Prestiti per evitare la frittata, ma a causa della procedura d’infrazione prevista dall’Unione Europea in caso di eccesso di intervento statale, serve comunque un partner privato per completare la fusione.
Stavolta quindi non si tratta di salvare una società privata, ma addirittura il governo italiano! Un occasione imperdibile.
Tecnicamente Arvedi è più avanti degli indiani, utilizzando il gas al posto del carbone e possedendo il know-how per la costruzione di un forno elettrico, al fine di sostituire l’obsoleto Altoforno 2 che una volta spento, è inutilizzabile, mentre con quello elettrico la procedura è fattibile senza rovinare la meccanica dello stesso e risparmiando energia. Trattativa tuttora in corso, che concede al miliardario cremonese una cambiale in bianco da riscuotere, assicurandogli l’impunità totale per gli abusi compiuti a casa sua.
Nel frattempo scoppia la pandemia da coronavirus, che guarda caso miete le vittime maggiori proprio nel triangolo lombardo, Bergamo Brescia e Cremona per l’appunto, dove la concentrazione di fabbriche inquinanti è maggiore: a Cremona “eccelle” il colosso siderurgico e la multinazionale Bosch, mentre nel bergamasco la fanno da padroni Persico spa, Polini Motori e Cartiera Pigna.
Le zone rosse mai fatte rispettare da un esecutivo non più capace di imporsi, fanno sì che i gruppi sopracitati continuino a lavorare, pur se a ranghi ridotti, falcidiati da assenze e malattie.
E intanto la gente muore come le mosche.
Grida di dolore inascoltate
Secondo le testimonianze raccolte a Cremona e provincia in questi giorni, da parte di operai dell’acciaieria e di comuni cittadini, mancano i tamponi negli ospedali, scarseggia l’ossigeno, e molti anziani positivi con polmoniti interstiziali bilaterali vengono rispediti a casa per mancanza di posti. Dalla linea di produzione le confessioni più inquietanti: Arvedi ha 2000 dipendenti, con più morti sul lavoro ogni anno per la mancata applicazione delle procedure di sicurezza, oltre al disprezzo per le norme anti inquinamento.
Il titolare avrebbe più volte ricattato i Comuni del cremonese, minacciando licenziamenti o trasferimento all’estero dell’indotto, in caso di limitazioni di orario.
Il Sindaco sarebbe stato oggetto di continue irruzioni nei giorni passati, con scenate per evitare rallentamenti dei ritmi lavorativi. Operai riferiscono di colleghi positivi al virus, la cui quarantena è stata negata dall’azienda con telefonate a casa, impedendo loro di richiedere il tampone.
I giornali riportarono che il 1°contagiato di Codogno era operaio dell’acciaieria, ma il titolare smentì.
Intanto ecco un paio di link che confermano gli incidenti mortali sul lavoro nel 2019:
https://milano.corriere.it/19_aprile_19/cremona-incidente-acciaieria-arvedi-morto-lavoro-operaio-28-anni-a88ea48a-62ba-11e9-a7fc-361228882fb7.shtml
https://milano.fanpage.it/cremona-incidente-sul-lavoro-alle-acciaierie-arvedi-trave-cade-su-una-gru-schiacciati-due-operai/
E poi un link a conferma dei contagi avvenuti all’interno della linea di produzione:
https://www.glonaabot.it/articoli-correlati/coronapo’virus-due-contagiati-accertati-in-provincia-di-cremona
Arvedi continua tuttora a produrre in palese violazione dell’ultimo pur generoso decreto, in particolare nel passaggio che riguarda le filiere di produzione da affiancare agli alimenti e ai carburanti. Difatti l’acciaio non appartiene alla categoria dei semilavorati non ferrosi, di cui fanno invece parte alluminio, rame, ottone, nickel, titanio, zinco e piombo, oltre a platino, oro e argento. Non solo: non esiste neanche una giustificazione di carattere tecnico legata al mantenimento della funzionalità degli impianti, in quanto, come già scritto poc’anzi, i forni Arvedi sono elettrici, per cui il loro spegnimento temporaneo non comporta alcun danno.
Attualmente l’acciaieria è in sovrapproduzione. Per cui l’insistenza a tenere aperta la fabbrica, oltre che criminale, è anche controproducente.
(Flavio Bacchetta – produzione riservata)
NB: Ringrazio gli operai che con le loro testimonianze hanno consentito l’approfondimento di questa storia. Le mie condoglianze alle famiglie dei loro colleghi caduti sul lavoro (f.b.)
Fonte
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