Muore Alberto Arbasino, intellettuale dallo sguardo tagliente, dal tratto sottile e dal temperamento smaccatamente aristocratico e snob.
Inventore della famosa “casalinga di Voghera”, fu critico verso l’indole piccolo-borghese del popolo italico, con gli accenti tipici del censore e del moralizzatore dei costumi.
Membro del Gruppo 63, ne colse il lievito sperimentale, approdando però ad un linguaggio artificioso e formale. Autoreferenziale e borghese nel senso più classico. Irrimediabilmente irritante e sfiancante, nelle sue spumeggianti evoluzioni. Tipiche di quel gioco letterario raffinato e stilistico, ma depotenziato di una qualunque necessità “politica”.
Padre di tutti i polemisti tuttologi, dagli epigoni di oggi lo differenziava però una profonda e vasta cultura, che lui sapeva usare – dalla scrittura del romanzo alla saggistica, dal giornalismo all’editoriale sferzante – adoperando una scrittura funambolica e autenticamente post modernista.
Manierista più che originale, erudito più che geniale, Arbasino fu il rappresentante di quella borghesia illuminata che, lungi dal traghettare l’Italia verso le sponde di un salutare riformismo, ancorché ideologicamente classista, ha avvolto il paese in un cellophane culturale che, alla lunga, ha finito per soffocarne quello spirito critico che è all’origine di ogni pulsione creativa e anticonvenzionale.
Il suo sarcasmo verso il movimento rivoluzionario degli anni ’70 resta la dimostrazione lampante del sussiego praticato, in quegli anni, dagli intellettuali di regime nei confronti di una generazione di cui non compresero – anzi, condannarono – la pulsione al sovvertimento di istituzioni fatiscenti e reazionarie, verso cui loro stessi apparivano critici.
Un’ambiguità che costituisce il vizio d’origine della casta intellettuale del nostro paese.
Insomma, Arbasino incarna in pieno, con la sua magniloquenza retorica, il conformismo dell’anticonformismo. Narcisista ed elitario, nel senso più alto e deteriore.
Per questo, il paragone con Nanni Balestrini e Edoardo Sanguineti, proposto da Davide Turrini sulle pagine del Fatto Quotidiano, va preso come un affronto personale.
Ben altri fermenti agitavano, infatti, l’animo e l’intelligenza di questi due uomini dal pensiero marxista e rivoluzionario.
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