Il Regno di Spagna entra nel periodo più duro della pandemia. Gli aggiornamenti sulle tendenze di contagi, decessi e guarigioni forniti dal Ministero della Salute sono umanamente drammatici e politicamente impietosi: entrati nell’undicesimo giorno di stato di emergenza, nella penisola si registrano 47.610 contagi ufficiali, quasi 8mila più di ieri, 3.434 decessi (più di quelli della Cina, 738 solo ieri) e 5.367 guarigioni, con la soglia psicologica dei “più di 500 morti in un giorno” superata già lunedì e purtroppo ampiamente confermata anche ieri.
Un altro triste numero segna la difficoltà in cui si trova il paese nell’affrontare l’attuale emergenza: sempre il Ministero della Salute infatti stima che siano ben più di 5mila i professionisti sanitari infettati dal Covid-19, lo stesso numero di quelli in Italia, vero (e infatti nel nostro paese la situazione è tutt’altro che rosea), ma con molti giorni d’anticipo rispetto all’escalation dei contagi, “stabile” negli ultimi giorni a un tasso di almeno il 20% quotidiano di aumenti. Un’enormità.
L’alto numero di contagi crea incertezza e apprensione tra il personale stesso, tanto che uno dei molti sindacati di categoria, “Unione Medica della Comunità Valenciana” (CESM), ha denunciato pubblicamente il clima di «totale mancanza di coordinamento» in cui i medici stanno lavorando. «Il 20 per cento del personale sanitario è infettato dal coronavirus, ci mandano al macello, noi medici cadiamo come mosche. Ciò che si dice in un luogo non si sa se è valido per un altro o se sarà applicato nel successivo. Stiamo assistendo a una guerra di guerriglia. Non c’è nessuno a guidare, a coordinare. Non c’è nessuno che si assume la responsabilità e assume il comando».
Dichiarazioni pesanti, che stonano con quelle della Presidente della Comunità autonoma di Madrid, Isabel Díaz Ayuso (Partido popular), di voler installare a “Madrid Nuevo Norte” un monumento agli operatori sanitari e alle persone che hanno perso i loro cari a causa del coronavirus. Neanche fossimo in fase di “elaborazione del lutto post-emergenza”. La precedenza oggi dovrebbe essere data alle soluzioni dei problemi, e non alla glorificazione di chi quei problemi ha tentato di risolverli nonostante l’evidente scarso apporto delle autorità istituzionali...
Nel tentavo di evitare il collasso del sistema sanitario avvenuto nella comunità a guida Pp, i “Consorci Sanitari de Barcelona” (formati dal consiglio comunale e dalla Generalitat) hanno annunciato la costruzione di quattro “ospedali da campo” in prossimità dei principali centri sanitari della città in altrettanti padiglioni sportivi messi a disposizione dal Comune.
L’obiettivo è anticipare il probabile collasso del Ss nelle prossime settimane, anche se non si sa al momento quanti posti letto e quanti pazienti potranno ospitare. Tuttavia, il Ministro della Salute della Generalitat, Alba Vergés, ha assicurato ad ora non ci sono segni di crollo sanitario.
Stesso dicasi per il governo andaluso, che ha offerto a Madrid ventilatori per la cura dei numerosi pazienti infettati dal coronavirus nella regione, non mancando però di pungere l’esecutivo nazionale sulla necessità di un grande acquisto di materiale nei mercati esteri e sulla solidarietà tra le comunità autonome.
A questo proposito, le novità dell’ultima ora sulle nuove mosse del governo sono principalmente due: la prima è la riconversione industriale per sopperire alle necessità più impellenti, e la seconda addirittura (riferisce in esclusiva Abc) la richiesta di supporto alla Nato.
Partendo da quest’ultima, il governo spagnolo si sarebbe rivolto al “Centro di coordinamento euro-atlantico per la risposta ai disastri”, dipendente dalla Nato, per chiedere assistenza internazionale di fronte alla pandemia. La richiesta, riporta la fonte, comprende 150.000 camici monouso, 150.000 respiratori tipo ffp3 e 300.000 ffp2, 1.000 termometri a infrarossi e 5.000 schermi facciali, oltre a 10.000 occhiali, 1,5 milioni di maschere chirurgiche, 120.000 guanti di nitrile, mezzo milione di test rapidi Covid-19, 50.000 sistemi di test diagnostici a reazione a catena della polimerasi e 500 ventilatori meccanici.
La notizia è interessante perché la Nato manca di questo materiale, e può solo limitarsi a trasmettere la richiesta ai restanti alleati, che dovrebbero offrirla. Ma vista la “globalità” della pandemia, sarà molto difficile che una simile richiesta venga presa in considerazione, e allora la mossa in questo preciso contesto internazionale sembra più una “scelta di campo” o un tentativo di mettere al test quell’alleanza che Macron qualche mese fa (un’altra era) aveva definito allo stato di morte cerebrale.
Questa richiesta faraonica di materiali, che indica l’inadeguatezza con cui il Regno si è affacciato all’emergenza, proverà ad essere esaudita (per quanto possibile) dall’industria spagnola. Il governo infatti sta avviando colloqui tramite il Ministero dell’Industria con le principali associazioni di produttori per riorientare la loro attività verso la produzione su larga scala di materiale sanitario.
A rivelarlo è stato ieri il ministro Reyes Maroto in persona, dopo aver incontrato lunedì in videoconferenza undici associazioni industriali, operanti sul lavoro digitale (Ametic), l’automotive (Anfac), la carta (Aspapel), il farmaceutico (Farmaindustria), l’abbigliamento (Fedecon), la chimica (Feique), la tecnologia sanitaria (Fenin), l’industria alimentare (Fiab), del cemento (Oficemen), dei beni strumentali (Sercobe) e dei componenti (Sernauto), assieme alle sezioni industriali della Ugt (Unión General de Trabajadores) e Ccoo (Comisiones Obreras), che hanno espresso il loro «impegno in questa grande missione di lotta al coronavirus».
Economia di guerra dunque, con il governo che tenta la difficile comunione di interessi tra il salvataggio di vite umane, mantenere attiva la produzione e rafforzare la retorica dello Stato forte e unito, non necessariamente in quest’ordine. Il made in Spain infatti fa il palio, riporta “El Periodico”, con la speculazione, la mancanza di omologazione, la scarsa qualità, i lunghi processi burocratici nell’acquisto di prodotti provenienti dalla Cina, che hanno spinto l’esecutivo alla produzione fatta in casa. “Dagli spagnoli, per gli spagnoli”, si potrebbe dire.
In più, per l’industria si prospetta una possibilità di profitto a stretto giro, oltre alla innegabile importanza del progetto per il paese, nell’adeguamento di queste linee di produzione per rifornire altre nazioni in ritardo nella lotta contro il coronavirus, come avviene in tutta l’America Latina.
Non è forse un caso allora che in soccorso siano venute anche le grandi compagnie della Ibex-35, la borsa spagnola. Sempre “El Periodico” riporta che secondo alcune fonti, Bbva, Iberdrola, Inditex, Santander e Telefónica hanno accettato di utilizzare tutta la loro capacità logistica e negoziale per acquisire materiale e donarlo allo stato, in modo da sbloccare gli acquisti di materiale dalla Cina. Un bel diversivo, vista la situazione delle borse mondiali attuale, a dispetto dei rimbalzi delle ultime ore.
Oggi è giorno in cui il Congresso dei deputati approverà, salvo sorprese, la proroga dello stato di allarme fino all’11 aprile. Il Regno, fuori dalla retorica governativa ultranazionalistica che spinge sulla presunta solidità di risposta del paese al coronavirus, si dimostra incapace di sostenere quei cittadini che pur vorrebbe ricondurre sotto un’unica bandiera, lingua e cultura, come dimostrano le immagini dei pazienti sdraiati per terra negli ospedali, o i resoconti sui centri anziani con decine di morti e contagiati lasciati al loro destino.
Il momento mas duro è dunque arrivato, e promette di non fare sconti a nessuno.
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