L’intervento di Mario Draghi sul Financial Times – rilevante per la firma e la testata – sembra arrivare da un altro pianeta rispetto al livello da suburra del “dibattito politico” italiano ed europeo. In attesa dell’esito del Consiglio dei primi ministri di oggi, infatti, la riunione dell’Eurogruppo ha anticipato una situazione di sconcertante ottusità davanti alla dimensione della crisi da coronavirus, con prese di posizione che apparivano inadeguate – per usare un eufemismo – anche “prima”. Ma che oggi sono semplicemente criminali.
Olanda e Germania guidano infatti il “fronte del Nord”, che è anche un “fronte del no” all’assunzione di responsabilità finanziarie collettive (esemplificata con la proposta di creare eurobond).
Ma la crisi è tale che ben nove paesi – Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Slovenia, Grecia, Belgio, Lussemburgo e Francia – hanno firmato una lettera che chiede l’istituzione di titoli di debito garantiti da tutti i membri, superando così di fatto i differenziali (gli spread) che penalizzano fortemente alcuni e premiano altri. Non è un'”area euromediterranea”, ma ne disegna i confini con una certa approssimazione...
La notizia sta nella presenza della Francia tra i firmatari, che segna una delle prime incrinature serie nell’”asse franco-tedesco” che ha di fatto governato l’Unione Europea fin qui.
Se si allargherà o meno, questa crepa, dipenderà da tempi ed evoluzione della pandemia e della crisi economica di proporzioni bibliche che è iniziata da poco più di mese (da quando, cioè, Stati e mercati hanno cominciato a prendere sul serio un problema che speravano confinato in Oriente).
Draghi usa proprio la metafora della guerra – sfruttata dalle mezze figure per chiamare “a stringersi intorno al governo esistente”, e basta, cantando magari dalle finestre (comportamento indotto già finito, pare) – per indicare la prima caratteristica di ogni guerra: il bilancio pubblico non ha più limiti né se ne possono imporre.
Altrimenti combatti con un braccio solo e l’altro legato dietro la schiena. Non consigliabile...
Naturalmente, Draghi è rimasto il neoliberista di sempre, non è che abbia cambiato impostazione. L’indebitamento deve essere fatto dagli Stati, pur senza limiti, e dovrà un giorno essere ripagato.
Silenzio assoluto, invece, sul ruolo che dovrebbe avere la Banca centrale europea. Se, come negli ultimi sette anni, dispensatrice di liquidità a costo zero che corre poi verso le banche e di lì ai mercati finanziari. Oppure se “prestatore di ultima istanza”, quindi anche abilitata a comprare titoli di Stato – nazionali o europei non farebbe grande differenza – per impedire che il prezzo scenda troppo e i rendimenti volino verso il cielo. Ossia sul salvaguardare gli Stati dagli strozzini dei “mercati”.
Silenzio, insomma, su quella separazione demente tra banca centrale e “governo” che è stato un pilastro del neoliberismo e una delle concause del suo fallimento.
Sta due metri sopra gli altri, ma pur sempre molto al di sotto della statura richiesta da questo tornante storico.
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Il coronavirus ci pone di fronte a una guerra, e dobbiamo mobilitarci di conseguenza
Mario Draghi – Financial Times
Livelli più elevati di debito pubblico diventeranno una caratteristica dell’economia e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato.
La pandemia di coronavirus è una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche. Molti oggi vivono nella paura per la propria vita o in lutto per i propri cari. Le azioni intraprese dai governi per evitare che i nostri sistemi sanitari vengano travolti sono coraggiose e necessarie. Devono essere sostenuti.
Ma queste azioni comportano anche un costo economico enorme e inevitabile. Mentre molti affrontano il pericolo di perdere la vita, molti altri affrontano la perdita del sostentamento. Giorno dopo giorno, le notizie economiche stanno peggiorando. Nell’intera economia le imprese affrontano perdite. Molte si stanno già ridimensionando e stanno licenziando i lavoratori. Una profonda recessione è inevitabile.
La sfida che ci troviamo di fronte è come agire con sufficiente forza e velocità per evitare che la recessione si trasformi in una depressione prolungata, resa più profonda da un’ondata di fallimenti che lasceranno dietro di sé dei danni irreversibili. È già chiaro che la risposta deve comportare un aumento significativo del debito pubblico. La perdita di reddito sostenuta dal settore privato – e qualsiasi debito accumulato per colmare le perdite – deve alla fine essere riassorbita, in tutto o in parte, dai bilanci pubblici. Livelli di debito pubblico molto più elevati diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e saranno accompagnati dalla cancellazione del debito privato.
È il ruolo proprio dello stato impegnare il proprio bilancio per proteggere i cittadini e l’economia dagli shock di cui il settore privato non è responsabile e che non può riassorbire. Di fronte alle emergenze nazionali gli Stati l’hanno sempre fatto. Le guerre – il precedente più rilevante – sono state finanziate da aumenti del debito pubblico.
Durante la prima guerra mondiale, in Italia e Germania tra il 6 e il 15% delle spese di guerra in termini reali fu finanziato dalle tasse. In Austria-Ungheria, Russia e Francia, nessuno dei prolungati costi di guerra furono coperti con le tasse. Ovunque, la base imponibile fu erosa dai danni di guerra e dal reclutamento. Oggi avviene la stessa cosa a causa dell’angoscia per la pandemia e della chiusura delle attività.
La domanda cruciale non è se lo Stato debba impegnare il proprio bilancio, ma come. La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro. Dobbiamo innanzitutto proteggere le persone dalla perdita del lavoro. Se non faremo questo, riemergeremo da questa crisi con un’occupazione e una capacità produttiva compromesse in maniera permanente, con le famiglie e le imprese in grande difficoltà a ripianare i propri bilanci e ricostruire le loro attività.
I sussidi per la disoccupazione e il rinvio delle tasse sono passi importanti che sono già stati adottati da molti governi. Ma proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un momento di drammatica perdita di reddito richiede un immediato sostegno di liquidità. È essenziale per tutte le imprese coprire le proprie spese di gestione durante la crisi, siano esse grandi aziende o ancor più piccole e medie imprese e imprenditori autonomi. Diversi governi hanno già introdotto opportune misure per fornire liquidità alle imprese in difficoltà. Ma è necessario un approccio più completo.
Se i diversi paesi europei hanno differenti strutture finanziarie e industriali, l’unico modo efficace per entrare immediatamente in ogni falla dell’economia è di mobilitare i loro interi sistemi finanziari al completo: mercati obbligazionari, principalmente per le grandi società, sistema bancario e in alcuni paesi anche postale per tutti gli altri. E deve essere fatto immediatamente, evitando ritardi burocratici. Il circuito bancario in particolare è diffuso in tutta l’economia e può creare denaro istantaneamente, consentendo scoperti di conto corrente o aprendo linee di credito.
Le banche devono prestare rapidamente fondi a costo zero alle società disposte a salvare posti di lavoro. Poiché in questo modo diventano un veicolo di trasmissione delle politiche pubbliche, il capitale necessario per svolgere questo compito deve essere fornito dal governo sotto forma di garanzie statali su tutti gli scoperti di conto o prestiti aggiuntivi. Né regolamentazioni né norme sulle garanzie bancarie dovrebbero ostacolare la creazione nei bilanci delle banche di tutto lo spazio necessario a tale scopo. Inoltre, il costo di queste garanzie non dovrebbe essere basato sul rischio di credito della società che le riceve, ma dovrebbe essere pari a zero, indipendentemente dal costo di finanziamento del governo che le emette.
Le imprese, tuttavia, non attingeranno alla liquidità che viene loro offerta semplicemente perché il credito è a basso costo. In alcuni casi, ad esempio le aziende con un portafoglio ordini, le loro perdite possono essere recuperabili e quindi ripagheranno il debito. In altri settori, probabilmente non sarà così.
Tali società potrebbero essere ancora in grado di assorbire questa crisi per un breve periodo di tempo e aumentare l’indebitamento per mantenere i propri dipendenti. Ma le loro perdite accumulate rischiano di compromettere in futuro la loro capacità di investimento. E, se l’epidemia e il blocco delle attività dovessero perdurare, potrebbero realisticamente rimanere in attività solo se il debito acceso per mantenere al lavoro i dipendenti in quel periodo fosse alla fine cancellato.
O i governi finanziano le persone che si indebitano per affrontare le proprie spese, o costoro falliranno e la garanzia sarà prestata dal governo. Se si riesce a contenere l’azzardo morale, la prima soluzione è la migliore per l’economia. Il secondo percorso sarebbe probabilmente meno costoso per il bilancio pubblico. In entrambi i casi, se si vogliono tutelare i posti di lavoro e le capacità produttiva, i governi dovrebbero assorbire una gran parte della perdita di reddito causata dal blocco delle attività.
I livelli del debito pubblico aumenteranno. Ma l’alternativa – una distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base imponibile fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e alla fine per lo stesso gettito del bilancio pubblico. Dobbiamo anche ricordare che, visti i livelli attuali e probabilmente futuri dei tassi di interesse, un tale aumento del debito pubblico non aumenterà l’onere del servizio del debito.
Per alcuni aspetti, l’Europa è ben attrezzata per affrontare questo straordinario shock. Ha una struttura finanziaria capillare in grado di far fluire i fondi in ogni parte dell’economia. Ha un forte settore pubblico in grado di coordinare una risposta politica rapida. La velocità è assolutamente essenziale per l’efficacia.
Di fronte a circostanze impreviste, un cambiamento di mentalità è necessario in questa crisi come lo sarebbe in tempi di guerra. Lo shock che stiamo affrontando non è ciclico. La perdita di reddito non è colpa di coloro che ne sono colpiti. Il costo dell’esitazione può risultare irreversibile. Il ricordo delle sofferenze degli europei negli anni ’20 del secolo scorso è un monito sufficiente.
La velocità del deterioramento dei bilanci privati – causata da un blocco dell’attività economica che è sia inevitabile quanto opportuno – deve essere affrontata da una uguale velocità nell’impegnare i bilanci pubblici, mobilitare le banche e, in quanto europei, sostenersi a vicenda nel perseguimento di ciò che è evidentemente una causa comune.
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