Un Presidente della Repubblica che si rivolge spesso alla cittadinanza, in un momento terribile, con un’epidemia che appare fuori controllo (nonostante le chiacchiere rassicuranti sparate intorno a cifre sempre più alte), è normale e anche giusto. C’è fin troppa confusione, con “governatori” e sindaci colpiti da manie di protagonismo, “autonomismo” e altre idiozie che andavano di moda nell’altro millennio, ossia poche settimane fa.
La novità del discorso serale di ieri sera, però, sta proprio nel suo contenuto non rituale: l’avviso a tutti che l’Unione Europea, se non riesce neanche stavolta a prendere decisioni contemporaneamente giuste, efficaci, appropriate, proporzionate e rapide rischia la dissoluzione.
È la prima volta che la più alta carica dello Stato esprime un qualche scetticismo sul percorso che la “casa comune” ha seguito e sta seguendo. Perché alla prova più drammatica della sua storia non è più tempo di mezze frasi, mezze misure e mezze decisioni.
Nelle intenzioni, l’intervento di Mattarella voleva probabilmente essere una “copertura alta” – nei confronti soprattutto di Bruxelles – della posizione assunta da Giuseppe Conte nel corso del Consiglio dei capi dei governi nazionali, che si è chiuso rinviando tutto di nuovo all’Eurogruppo (i ministri dell’economia), solo per evitare una clamorosa rottura.
In qualche misura, ha svolto anche la funzione di “ponte” con le sortite sguaiate di Salvini e Meloni, ottusamente a caccia di qualche briciola nei sondaggi e senza alcun “senso di responsabilità istituzionale”.
Infine, è servita anche a far passare sullo sfondo il gelido silenzio del Pd, che avrebbe magari preferito un Conte meno arrembante e “autonomo” rispetto ai “partner” europei.
Un esercizio complesso, insomma, che solo un vecchio democristiano poteva tentare con qualche successo.
Ma resta il fatto che in ogni caso l’allarme ora è ufficiale, non più rinchiuso nelle stanze – o nelle comunicazioni – tra Palazzo Chigi e Bruxelles.
L’Unione Europea, diciamo sempre, è una struttura governamentale dell’economia, costruita con trattati che favoriscono le economie più forti e penalizzano quelle deboli. In quasi 30 anni, e 20 di moneta unica, le disuguaglianze tra i singoli Paesi sono infatti aumentate enormemente. L’opposto di quella “progressiva convergenza” che viene ancora oggi promessa nelle premesse a trattati, accordi, risoluzioni, note diplomatiche, ecc.
Il “nazionalismo” spudorato che prima veniva imputato soltanto all’ungherese Orbàn o ai leader polacchi, oltre che ai soliti “sovranisti da operetta” (Le Pen, Salvini, ecc.), ora è lampante nelle mosse di Germania, Olanda, Austria e l’ondivaga Francia di Macron (prima firma la lettera con cui chiede il lancio di eurobond, poi nasconde la mano).
“Nessuno fa l’europeo“, lamentano anche gli opinionisti europeisti; tutti pensano solo all’interesse nazionale, se non addirittura a quello elettorale.
Ma la gravità sia sanitaria sia economica dell’epidemia rende le “vecchie regole” – cui si aggrappano tutt’ora gli “austeri” del Grande Nord – qualcosa di dannoso. Fuori dalla realtà, è arrivato a dire persino Mattarella, fin qui il “garante europeo” persino del fu governo giallo-verde.
Per la precisione: “Sono indispensabili ulteriori iniziative comuni, superando vecchi schemi ormai fuori dalla realtà delle drammatiche condizioni in cui si trova il nostro Continente”.
È vero, c’è stato l’intervento di Mario Draghi sul Financial Times, l’altro giorno, che diceva sostanzialmente – e tecnicamente in modo più articolato – le stesse cose. Ma Draghi, per quanto autorevole nell’establishment, è al momento un “libero cittadino”. Quel che dice non impegna nessuno, al di là di se stesso (e delle sue eventuali candidature ad incarichi istituzionali di peso).
Se lo dice il Presidente della Repubblica in carica, e addirittura il Presidente che più ha difeso la centralità dell’Unione anche rispetto alle più gravi scelte di politica economica per l’Italia, è il segno che la crepa non è mai stata così larga.
E che nessuno ha la “cura” per rimarginarla.
Non è un dettaglio. Significa che nessuno sa davvero come andrà a finire. Si è aperto uno scontro interno alla UE ed è uno scontro per la sopravvivenza, non per “la migliore applicazione delle regole”. E quando è in gioco la sopravvivenza – di un’economia, delle condizioni vita di un popolo peraltro stratificato e diviso quant altri mai – si sa solo come si entra in campo.
Mai come se ne esce...
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