di Sandro Moiso
Il silenzio del Governo dopo la rapida comunicazione di ieri sera da
presidente del consiglio era più che sospetto. L’elenco infinito e
incerto di attività (88) di vario genere che avrebbero dovuto mantenere
le proprie funzioni produttive e distributive senza chiudere,
altrettanto. Ma la notizia che il decreto arriverà soltanto mercoledì,
quindi senza entrare in vigore da domani, perché Confindustria continua a
sostenere che non si possono chiudere tutte le attività e che occorre
ancora limarlo meglio, lascia comunque senza fiato. Anche chi come me è
abituato, da decenni, a cogliere nella sete e nell’avidità di profitto e
sfruttamento del capitalismo il limite ultimo per la sopravvivenza
della specie. Eppure, eppure...
Non c’è limite al peggio poiché, come si afferma in un articolo
uscito poche ore fa su Repubblica nella sezione Economia e finanza (qui),
non solo il decreto è rinviato di almeno tre giorni, ma gli
imprenditori chiedono comunque che le attività restino ancora aperte
poiché: “Molti container arriveranno domani nelle fabbriche italiane per
scaricare merci e i fornitori esteri già minacciano penali, se il
blocco entrasse in vigore subito” e “le imprese sono a corto di
liquidità, chiudere senza criteri ben calibrati può voler dire non
riaprire più”.
Non solo, gli aderenti alla Confapi (associazione delle piccole e
medie industrie), per bocca del presidente Maurizio Casasco, chiedono
di detassare le piccole aziende in difficoltà, ma anche che siano le
aziende stesse a poter certificare, con procedure semplificate, la
necessità dell’apertura degli stabilimenti e una “disposizione di
carattere generale che consenta la prosecuzione di attività non
espressamente incluse nella lista e che siano però funzionali alla
continuità di quelle ritenute essenziali”.
Nella stessa lettera indirizzata al governo si chiede infine di
garantire i “tempi tecnici necessari dall’entrata in vigore del
provvedimento a concludere le lavorazioni in corso, ricevere materiali e
ordinativi già in viaggio, consegnare quanto già prodotto e destinato
ai clienti”.
Diciamolo subito il grido di dolore degli imprenditori non è
nient’altro che un crimine contro l’umanità e come tale va denunciato.
Sul Titanic che affonda i sabotatori di Confindustria aprono ulteriori
falle nelle scialuppe di salvataggio per garantire che l’ordine
produttivo trionfi. Con il rinvio del Dpcm spostandolo al 25 marzo e con
la forza militare dell’isolamento totale dei centri abitati.
Andranno
processati tutti, governo vile e imprenditori avidi e sprezzanti, per
un crimine contro l’umanità che mostra il vero volto della società
libera, vivace e ricca in cui siamo in attesa soltanto di morire. Le
aree industriali d’Italia si stanno trasformando in autentici lager che,
esattamente come quelli a cielo aperto in Palestina, non hanno nulla da
invidiare o rimproverare a quelli nazisti.
Mentre gli unici a chiedere una relazione davanti al Parlamento e alle
camere riunite, rimangono purtroppo soltanto i partiti della destra.
Pagheranno caro, pagheranno tutto.
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