L’alto tasso di letalità italiano
Si era già detto che l’indice di letalità del nuovo coronavirus fosse
probabilmente più basso di quanto calcolato sulla base dei dati
ufficiali, dal momento che molti casi infetti non sono stati
contabilizzati[1].
Ciò implica che la contagiosità è maggiore e/o il virus sta circolando
da molto più tempo. Questo, per quanto riguarda il preoccupante dato
italiano, potrebbe sollevare domande sull’origine stessa del virus qui
operante e sul suo percorso (sia in termini di mutazioni, sia in termini
di circolazione). Si è già parlato dello strano aumento di polmoniti
avvenuto negli ultimi anni[2] e del fatto che in realtà le statistiche non riescano a dare elementi sufficienti per spiegarne scientificamente i motivi[3].
Facendo un paragone con la Corea del Sud, l’indice di letalità al momento attuale da noi è il 7,71%, da loro lo 0,97%[4].
Può essere che i sudcoreani abbiano contabilizzato quasi tutti i casi
infetti, mentre noi abbiamo decine di migliaia di infetti anonimi e a
piede libero. Tuttavia i sudcoreani hanno gestito sino ad alcuni giorni
fa quasi il doppio dei nostri infetti e il tasso di letalità giocava
comunque di molto a nostro sfavore. Possiamo andare a vedere come stanno
classificando gli infetti? Come li stanno distribuendo in una logica di
contenimento sanitario sia del contagio sia della virulenza del virus?
Come li stanno curando?
Si può pensare che i sudcoreani abbiano rallentato subito il
contagio. Come? Pare che li, i test siano stati fatti anche agli
automobilisti per strada, intervenendo così anche quando non fossero
comparsi i sintomi[5]. Il sistema di controllo è stato talmente pervasivo da generare altri inconvenienti sociali[6].
Il rapporto tra guariti e morti in Corea del Sud è circa 17,37 mentre in Italia è circa 1,27[7].
Potrebbe essere un segno di una maggiore efficienza del sistema
sudcoreano come pure un segno del fatto che la migliore rilevazione di
dati in Sud Corea faccia sì che lo spettro dei pazienti curati comprenda
relativamente molti casi più lievi semplicemente sfuggiti al sistema di
rilevazione italiano.
Quanti reparti stanno lì in quarantena? Quanti da noi? Non è che il
virus qui in Italia abbia attaccato violentemente i reparti ospedalieri
in modo da stressare eccessivamente i presidi sanitari e in modo da
diffondere il virus ulteriormente? Quanti degli infettati attuali sono
stati in ospedale precedentemente?
L’allocazione dei positivi al tampone
In Italia si può plausibilmente pensare si faccia una tripartizione
tra
A) positivi al tampone con sintomi leggeri isolati in casa (qualora
sia possibile visto che a volte sfuggono al controllo);
B) positivi al
tampone con sintomi moderati messi in reparti tipo pneumologia;
C)
positivi al tampone con problemi respiratori o più generalmente gravi
che vengono messi in terapia intensiva.
Da un lato si teme che a
crollare siano i reparti di urgenza. I posti letto di urgenza in Italia
pare siano 5000 ma molti già occupati[8]
e con una ineguale distribuzione sul territorio in rapporto alla
popolazione e con una ridotta dotazione di personale specializzato atto
ad utilizzarli con efficienza. Teoricamente il sistema potrebbe reggere
sino a 50.000 infettati (visto che i ricoverati in terapia intensiva
sono il 10% degli infettati) ma la pratica probabilmente potrebbe essere
diversa e il fatto che ci siano ricoverati in terapia intensiva di
altro tipo implicherebbe dilemmi morali piuttosto spinosi.
D’altro canto la fascia intermedia (di quelli con sintomi moderati
che vengono ospedalizzati) corrisponde al 48% degli attualmente positivi[9]
e forse il problema della copertura riguarda questo livello. Gli
infettati con sintomi lievi (A) vengono isolati solo per rallentare il
contagio. Quelli che vanno in terapia intensiva (C) vengono trattati
solo per tenere basso il numero dei decessi. L’ospedalizzazione della
categoria intermedia (B) servirebbe per isolare (piuttosto parzialmente
visti i risultati) e al tempo stesso monitorare i pazienti che
potrebbero aggravarsi. Quindi il trattamento ha due finalità, ovvero
quella di rallentare il contagio e di diminuire la letalità. Attualmente
gli ospedalizzati non in terapia intensiva (B) sono circa 11.000[10]
che progressivamente guariranno o moriranno (naturalmente anche chi è
isolato a casa propria potrebbe aggravarsi). Questa categoria intermedia
è quella che secondo chi scrive mette in crisi gli ospedali, perché
alcuni di loro possono andare in terapia intensiva e perché sono di più e
sono portatori del virus in un contesto ad alta densità di persone e
già di per sé portatore di contagio (di natura più diversa)[11]. È probabile che progressivamente ci sarà stata una modulazione diversa
del monitoraggio che avrà portato alla diminuzione relativa dei degenti
che si trovano in questa fascia intermedia (e un aumento di quelli
isolati a casa o addirittura quasi ignorati[12]),
con forse un maggiore sollievo per le strutture ospedaliere, un
maggiore isolamento degli infetti ma con un possibile aumento del tasso
di letalità, dal momento che molte persone che prima sarebbero state
monitorate in ospedale adesso in ospedale ci andranno, ma in buon numero
direttamente in terapia intensiva (sempre che questi ultimi reparti
reggano l’urto).
Nel caso non fosse così avremo un paradosso legato al fatto che una
categoria di persone (B), la cui ospedalizzazione ha come prima finalità
la diminuzione del numero dei morti e solo poi l’isolamento degli
infetti, sia al centro di una strategia paradossale che in questo modo
segue la stessa logica del vaccino e della medicina omeopatica (senza
con questo voler dire che entrambe le pratiche siano sullo stesso
piano). Ovvero si causa ad un sistema uno stress per evitare uno stress
più grande. In questo caso però lo stress non è, come nel caso di
vaccino e medicina omeopatica, molto piccolo. È invece molto grande,
quasi simile al male che vuole evitare, a meno che non si cambi il
filtro con cui la categoria B viene implementata.
Lo stress del sistema sanitario come concausa dell’aumento del tasso di letalità
Perché questa simulazione somiglia molto al male che si vuole evitare?
Il punto è questo: guardando i dati della Corea del Sud (e il loro
basso tasso di letalità) e anche di alcune regioni della Cina, Don
Ferrante (è sempre lui) ha la convinzione che, nel caso di un virus
nuovo senza vaccino il punto fondamentale sia monitorare rapidamente la
maggior parte degli infetti e con queste informazioni rallentare subito
il contagio. In Cina l’isolamento dell’Hubei ha fatto sì che la
mortalità in quella regione non potesse essere che relativamente più
alta ma ha evitato che il contagio fosse molto forte (sempre
relativamente) nelle altre regioni alcune delle quali hanno avuto, come
già visto, tassi bassissimi di letalità. In Corea la capacità di
attivarsi subito in fase di monitoraggio e di prevenzione ha consentito
di non stressare eccessivamente il sistema sanitario per cui le procedure
terapeutiche hanno portato ad un tasso di letalità attorno allo 0,9%.
In Italia invece sembrerebbe che il virus si sia diffuso ben prima
che lo si monitorasse, per cui il dato degli infettati ufficiali sarebbe
adesso a più di 28.000 unità[13],
ma in realtà il numero effettivo potrebbe essere qualche centinaio di
migliaia di infettati. Ciò vuol dire che il monitoraggio preventivo
riuscito in Corea del Sud ed in Giappone non è riuscito in Italia. Ciò
vuol dire che si sta gestendo una situazione più difficile in quanto il
numero dei casi sarà maggiore in senso assoluto e questo, portando ad un
maggiore stress in campo sanitario, ha diminuito anche la capacità di
cure mediche del sistema sanitario stesso con un conseguente più alto
tasso di letalità. Così si spiega (almeno in parte, perché l’altro
fattore è l’efficacia del sistema di rilevamento) non solo la differenza
del tasso di letalità tra Italia e Corea del Sud, ma anche la differenza
di quello che possiamo chiamare il rapporto tra i malati monitorati che
sono guariti e quelli che sono morti tra gli stessi due paesi.
Decesso con il virus e decesso per il virus
Naturalmente è possibile che la differenza tra l’indice di letalità
della Corea del Sud e quello dell’Italia sia dovuta anche ad altri
fattori. Uno di questi potrebbe essere la diversa classificazione dei
decessi (la famosa questione “decesso per il virus” e “decesso con il virus”[14])
per cui alcuni decessi di persone contagiate dal virus vengono
classificati come morti non a causa del virus ma a causa di patologie
preesistenti aggravate dal virus. Don Ferrante, ricordando la categoria
aristotelica (lui è sensibile alla Scolastica medievale e
controriformistica) di causa efficiente non ritiene che sia serio questo
tentativo di salvarsi in corner derubricando così i decessi (per la
serie “’e ripp o rapp, ‘o nonn adda’ murì”[15])
anche perché questo è un indizio del degrado dei sistemi sanitari
interessati dalla controffensiva capitalistica sul Welfare e si collega
all’altrettanto sgradevole abitudine di minimizzare il tasso di letalità
dicendo che si tratta prevalentemente di ultraottantenni. In realtà
perché si tenga conto delle specificità legate a certi decessi in
presenza di patologie pre-esistenti basta distinguere i tassi di
letalità e di mortalità per classi di età ed in riferimento a
determinate patologie. Togliere questi casi dai decessi per coronavirus è
invece un sofisma funzionale alla sottovalutazione delle conseguenze
dell’epidemia e ad una rimozione dell’esigenza di valutazione
approfondita dell’efficienza e dell’equità di un sistema sanitario. In
realtà questa diversa classificazione altera i dati epidemiologici ma
non per molto, perché alla fine i contagiati complessivi devono
rientrare nell’insieme (morti o guariti) e se ci saranno
differenze di ordine numerico di questo si dovrà dare conto a livello
statistico e così noi comunque avremo un quadro abbastanza chiaro delle
situazioni comparate.
La diffusione al Sud
A questo punto molti esperti di grafici (siano economisti, fisici e
epidemiologi) stanno ragionando sull’andamento esponenziale del fenomeno[16] e sostanzialmente ragionano in termini di “passaggio della nottata[17]”.
È la prospettiva che stiamo adottando anche noi, nel guardare le
differenze tra Corea del Sud e Italia. Ma Don Ferrante vorrebbe pensare
ad una prognosi più benigna. Partendo da due fatti: il primo è che
grazie all’isolamento di alcune zone del paese i focolai che
compariranno in altre parti d’Italia potrebbero essere meno consistenti
di quello lombardo. Il secondo è che le ragioni per cui le complicazioni
polmonari dell’influenza stagionale riguardino in particolar modo la
Lombardia possano valere anche per la diffusione e la letalità di questo
virus. Naturalmente a questo ragionamento ci sarebbero alcune
obiezioni. Si potrebbe dire, vedendo i dati attuali, che il governo non
sia assolutamente riuscito ad evitare l’isolamento del contagio nelle
regioni iniziali (forse perché influenzato dalle proteste di industriali
e politici lombardi e veneti). Al tempo stesso si potrebbe dire che le
complicazioni dell’influenza stagionale sono prevalentemente di natura
batterica e che nel caso del coronavirus la migliore copertura vaccinale
delle regioni meridionali non può funzionare. E tuttavia Don Ferrante
insiste, alla luce dello strano incremento delle polmoniti negli ultimi
anni[18] e che ha riguardato in particolare la Lombardia[19],
che questo dato statistico riguardante le polmoniti avrà un ruolo nella
virulenza dei focolai di coronavirus in altre regioni, dal momento che i
dati scarsi riguardanti questa affezione non permettono di conoscere la
natura di questi aumenti avvenuti negli scorsi anni.
Un forte argomento a favore del vaccino
Possiamo dire che, in un paese con un decente sistema sanitario,
capace di monitorare e rallentare il contagio sin dall’inizio, il tasso
di letalità del coronavirus sarebbe stato attorno all’1%, ovvero 10
volte circa quello dell’influenza stagionale. Questa differenza (tra
virus stagionali e coronavirus) si potrebbe più o meno spiegare con la
presenza del vaccino nel caso dell’influenza stagionale e la sua assenza
nel caso del coronavirus. Ciò potrebbe confermare il fatto che questo
coronavirus dia luogo ad un influenza ed una polmonite e sia più letale
perché non c’è il vaccino (questa comparazione però è fatta in
condizioni ideali ovvero con un sistema sanitario che riesca a
monitorare e contenere l’epidemia più o meno dall’inizio) ed in parte
perché, più dei virus dell’influenza stagionale, può provocare una
polmonite virale primaria. Aggiungendo il fallimento del sistema
sanitario nel contenere il contagio dall’inizio, il tasso di letalità
diventa dalle trenta alle quaranta volte maggiore di quello
dell’influenza cosiddetta stagionale.
Colui che, come Don Ferrante, non si è mai fatto il vaccino possiamo
dire avesse l’1% di probabilità di morire se si fosse infettato con
l’influenza stagionale (in quanto privo di vaccino), mentre adesso ha il
7-8% di possibilità di morire se si infetta con il coronavirus (a causa dello stress di un
sistema sanitario incapace di prevenire l’emergenza). Quindi la
situazione è seria anche se la differenza tra il virus dell’influenza
stagionale e quello del coronavirus non sia sostanziale ma sia legata
alla possibilità di vaccinarsi dal primo e quella di non potersi
vaccinare dal secondo. Don Ferrante cioè può azzardare che in sé
qualsiasi virus influenzale o parainfluenzale abbia un tasso di letalità
che va dall’1 al 10% (a seconda della capacità di rapido contenimento
del virus da parte del sistema sanitario), tasso che diminuisce
fortemente in proporzione diretta alla copertura vaccinale.
Per chi, come Don Ferrante, non si vaccinava questa è una
rivelazione. Ciò in quanto, con il vaccino, la mortalità del virus
stagionale (ovvero non quella di morire se infettati, ma quella di
infettarsi e morire) era molto bassa, ma questo grazie alla presenza di
quelli che si vaccinavano, i quali, quanto meno, non lo contagiavano (se
non in misura molto bassa). Invece la mortalità del coronavirus è più
alta (in misura maggiore della letalità) in quanto, non potendosi
vaccinare gli altri (ovvero quelli che si vaccinano per l’influenza
stagionale), quello che solitamente non si vaccina può essere più
facilmente contagiato anche da questi altri. Un argomento serio, di cui
tenere conto, a favore della vaccinazione, dal momento che coloro che
non si vaccinano sono più garantiti da quelli che si vaccinano, mentre
quelli che si vaccinano sono comunque messi a maggior rischio da quelli
che non si vaccinano. Ovvero quanto più la copertura vaccinale è alta,
tanto più tutti (in primis i vaccinati ma in seconda battuta anche i non
vaccinati) sono garantiti. Quanto invece più la copertura vaccinale è
bassa, tanto più tutti (in primis i non vaccinati, ma in seconda battuta
anche i vaccinati) corrono un rischio maggiore. Per questo chi non si
vaccina non può avocare a proprio favore il fatto che magari lui non
prenda l’influenza. Gli antivaccinisti dovranno argomentare che i rischi
e i mali della vaccinazione possono essere più grandi di quelli (che
noi stiamo sperimentando in questo momento) derivanti da una bassa copertura vaccinale.
Tendenze a gestire il diritto alla sopravvivenza
Nel frattempo lo stress subito da un sistema sanitario vittima della
letale parsimonia neoliberista, sta portando in Lombardia a restringere
il numero di coloro che sono passibili di cure per la polmonite da
coronavirus[20]. Pare che si voglia curare solo chi ha più alte probabilità di sopravvivenza[21].
E l’alto tasso di letalità in Italia potrebbe collegarsi ad una
applicazione di questo criterio nelle regioni dove il sistema sanitario è
più stressato. A questo proposito è da anni che la visione malthusiana[22] della bioetica (che è l’altra faccia delle concezione neoliberista o meglio il suo sostituto nelle situazioni di emergenza[23]) porta a ridefinizioni delle categorie dei soggetti cui si attribuisce un diritto alla vita[24]. Una estesa pubblicistica utilizza parametri come il grado di coscienza[25], il riconoscimento da parte di un altro soggetto, l’utilità sociale, la dignità e la qualità[26] della vita, la probabilità di sopravvivenza[27]
ed in questo modo si prepara ideologicamente la società alle
implicazioni più gravi di un sistema per cui non esisterebbero pasti
gratis.
Con una brillante strategia argomentativa e comunicativa (oltre
che di alleanze) all’interno dei processi di lotta per i diritti civili
si elaborano il diritto alla non esistenza[28], l’indebolimento del diritto alla vita dei neonati[29],
un sempre più fievole aumento della speranza di vita in paesi
cosiddetti sviluppati (la Germania per quanto riguarda questa classifica
è scesa dal 22° al 32° dal 2001 al 2017, la Svezia dal 2° al 12°, la
Grecia dal 16° al 28°, gli Usa dal 28° al 48°, il Belgio dal 13° al 30°[30]).
Non è la prima né l’ultima volta che si vedranno strategie sanitarie di
questo tipo, visto che in momenti di emergenza a valere è la teoria
della scialuppa di Gareth Hardin[31]
per la quale poiché è meglio che sopravviva qualcuno al posto di
nessuno bisogna selezionare chi debba sopravvivere (detta così
sembrerebbe una posizione ragionevole ma il punto è che essendo
funzionale alla conservazione dei privilegi del Capitale e
dell’imperialismo si finisce sempre per esagerare l'attendibilità delle
previsioni e/o la grandezza del pericolo che si corre). Come la libertà
e la democrazia pure la vita è soggetta ad arbitraggio e questo
atteggiamento si è rafforzato e amplificato da quando il crollo
dell’Urss ha provocato la fine dello spauracchio che costringeva le
istituzioni politiche occidentali a trovare un compromesso
redistributivo (in termini anche di diritti) con il mondo del lavoro[32].
Le pandemie influenzali precedenti
Quanto alla succitata grandezza del pericolo che si corre, va detto
che, escludendo prioritariamente il complottismo e le teorie dal sapore
post-operaista che minimizzano il rischio sanitario (medico) ed
enfatizzano quello politico, c’è anche una parte di verità espressa
(malissimo) da queste tesi. Partiamo dal presupposto che questa sia una
crisi sanitaria (medica) reale. Si rischiano milioni di contagiati e
decine di migliaia di morti. Il punto è che in passato pure è stato così
e all’epoca succedeva molto meno di quello che sta succedendo ora.
L’asiatica del 1957-1958 con una letalità dello 0,1% causò in Italia
circa 26 milioni di contagi e circa 30.000 decessi. Nel biennio
1968-1969 la cosiddetta “influenza di Hong Kong” causò circa
10-12 milioni di contagi e circa 20.000 decessi. Dal punto di vista
comunicativo in tutte e due i casi ci furono le medesime
sottovalutazioni e i soliti allarmismi apocalittici ma il sistema
sanitario fece quello che poteva e si ebbe il risultato che si è avuto[33].
Un risultato che oggi (dopo che il dibattito pubblico è più
capillarmente diffuso e dopo che la Sinistra italiana ha avuto la bella
stagione degli anni '70) sarebbe considerato giustamente disastroso
(tranne forse per i malthusiani che hanno più a cuore l’andamento
dell’economia). In termini materiali però era disastroso anche prima. E
sono state disastrose le polmoniti degli ultimi anni che hanno superato
annualmente i 10.000 decessi (risultando poco meno del 3% delle cause di
decesso in Italia). Solo che prima si poteva discutere di ciò in
qualche articolo di giornale o in qualche convegno e la cosa non
smuoveva il nostro senso di sicurezza. Il problema è che l’emergenza
medica adesso è diventata emergenza sanitaria.
Il virus (ma anche la Cina) hanno messo tutti in difficoltà
Cioè, cosa è successo? Don Ferrante vi risparmia il pistolotto sulla
globalizzazione. Partiamo dalla Cina. Don Ferrante, che è uomo d’antan,
parlerà della Cina in modo apparentemente neutro, come se fosse un
Angelo Panebianco qualsiasi. La Cina, vista da questa prospettiva, è una
grande potenza economica e politica mondiale, con il secondo Pil
complessivo dopo gli Usa, ma, è bene precisarlo, piuttosto giù in
classifica per quanto riguarda sia il Pil pro-capite sia il Pil
pro-capite PPA (a parità di potere d’acquisto) ovvero ben oltre il 60°
posto[34].
E quindi con non molte risorse da destinare socialmente a ciascun suo
cittadino e con una distribuzione di queste risorse piuttosto ineguale
sia dal punto di vista territoriale sia dal punto di vista di classe.
Tuttavia l’economia per quanto decentrata e liberalizzata trova nello
Stato (e nel partito) un intervento massiccio in senso assoluto anche se
forse non tanto in senso percentuale (almeno per quanto riguarda i
consumi collettivi[35];
bisogna vedere invece tra gli investimenti quale sia la componente
pubblica e infrastrutturale). La Cina in questo periodo è messa alla
frusta dal punto di vista commerciale da Trump (grazie alle politiche
protezionistiche di quest’ultimo)[36]
e nel contempo sta cercando una sorta di riconoscimento internazionale
che sia propedeutico al successo del grande progetto della Nuova Via
della Seta[37].
Al tempo stesso la Cina è considerata il serbatoio storico di molte
epidemie e pandemie influenzali, con implicazioni spesso razziste nei
confronti del suo popolo[38].
Probabilmente questa sua immagine, piuttosto provinciale, le è di danno
per il ruolo economico e politico che vuole attribuirsi e promuovere in
questi anni. Perciò, quando è stata vittima di una nuova e pericolosa
epidemia (molto contagiosa e con relativamente grandi probabilità di
sviluppare una polmonite virale primaria), dopo qualche titubanza (la
cui incidenza è oggetto di discussione[39]),
ha scelto una strategia ed uno stile di comunicazione piuttosto diversi
da quelli usati in precedenza. Ha deciso cioè di rendere pubblica la
sua battaglia senza quartiere all’epidemia ed ha usato la sua grande
capacità di contabilizzazione per rendere trasparente le cifre di tale
battaglia. Questa è stata una catastrofe per i sistemi politici
occidentali. Non valutando bene la gravità della situazione (ovvero cosa
succede con un virus nuovo e con una certa combinazione tra
contagiosità e letalità) probabilmente avrebbero preferito che, come nei
due casi precedenti, la tempesta attraversasse il sistema sanitario in
modo più silente e producesse magari le interpellanze dell’opposizione
(durante l’Asiatica il PCI disse che si sarebbe potuto fare di più[40]),
le statistiche a cose già avvenute, qualche situazione di panico e di
congestione ospedaliera ma senza mille riflettori puntati addosso.
Invece da un lato l’interconnessione globale ha reso inevitabile il
contagio dalla Cina (sempre che non sia esploso un ceppo autoctono che
serpeggiava da qualche anno), dall’altro la pubblicità alla cosa data
dalla Cina (e dal mondo intero che voleva ritornare per vari motivi alla
favola della Cina serbatoio di tutti i mali dell’umanità[41])
ha costretto le istituzioni politiche occidentali a misurarsi
esplicitamente con il contagio, chiamando il proprio sistema sanitario
come campione designato di questa sfida, il tutto con risultati che
rischiano di aggravare lo stato di panico, visto che il contagio non
sembra sia stato isolato. Gli altri paesi occidentali stanno
pericolosamente[42]
provando ad adattare la propria comunicazione politica al livello del
contagio certificato dalle autorità sanitarie in modo da non creare
l’emergenza che essi cercano di evitare. L’Italia è invece tra capo e
collo in una guerra dichiarata ma non coerentemente condotta
all’epidemia[43].
Questo anche perché come tutti i paesi Pigs, in esso c’è un conflitto
potenziale tra la capacità di influenza sull’opinione pubblica delle
grandi multinazionali (soprattutto farmaceutiche[44])
che sul panico scommettono e le grandi e piccole imprese autoctone che
invece paventano la depressione economica. Le istituzioni politiche
nazionali poste in mezzo a questo scontro (con le loro imprese sulla
difensiva) non possono che elaborare una strategia intermedia che
rischia di non essere né carne né pesce. Spagna e Grecia invece hanno
fatto la scelta di farsi attraversare dall’epidemia (magari con un forte
aumento statistico delle polmoniti) e sono tornate ad essere come i
paesi dei colonnelli, l’una che cerca di tenere economicamente (anche se
adesso anch’essi sono costretti a dichiarare l’emergenza[45]),
l’altra già stuprata internazionalmente e incapace pure di avere un
quadro di se stessa in linea con parametri di riferimento di tipo
europeo[46].
Ovviamente, poiché gli Stati elaborano ed attuano strategie sistemiche
che cercano disperatamente di conciliare quelle che definiamo
contraddizioni del capitalismo, essi, incassando le conseguenze negative
della battaglia contro il virus, cercano comunque di approfittarne per
estendere la loro capacità di controllo dei comportamenti e
dell’opinione pubblica ed è in questo senso che le semplificazioni
teoreticamente irresponsabili (nel senso di false per superficialità
teorica) di Agamben e di Wu Ming possono avere una parte di verità.
Le oscillazioni dei governi (passate ed eventuali) e la società dell’informazione
In Italia al momento le voci antirecessive sembrano essere messe in
minoranza. Tuttavia questa situazione potrebbe essere solo apparente e/o
temporanea (soprattutto se i costi economici non saranno ben tamponati[47]).
Se e solo se il virus infettasse tutta l’Europa con numeri ufficiali
ragguardevoli (come più o meno quelli dell’Italia), la strategia
dell’emergenza si diffonderebbe in tutte le altre nazioni e lo
svantaggio economico comparato attuale dell’Italia potrebbe essere
almeno in parte recuperato. Se invece le altre nazioni europee vengono
risparmiate dal contagio con alti numeri e/o mettono l’asticella della
trasparenza più in basso, l’Italia si troverà in difficoltà tali da
dover ripiegare gradualmente anche dalla logica dell’emergenza. Quindi i
dati saranno meno attendibili e soprattutto progressivamente meno
allarmanti con il ciclo del virus mediatico che avrà un andamento almeno
in parte diverso (non solo per limiti conoscitivi) dal ciclo del virus
reale (in modo da scongiurare o rinviare ad altra data un’eventuale ulteriore emergenza sanitaria). Il risultato alla fine sarà stato una sorta
di ola politica di massa con picchi e flessioni generate più dalle
dinamiche politiche e mediatiche (anche se più approssimate alle reali
esigenze sociali dell’atteggiamento dormiente di Agamben e Wu Ming) che
non dall’andamento reale del contagio.
Immaginiamo se al tempo dell’asiatica, avessimo avuto il grado di
globalizzazione commerciale e finanziaria oggi esistente, la pervasività
e la molteplicità di strumenti di comunicazione che invadono le case
(almeno quelle dei paesi del mondo cosiddetto sviluppato), i social e il
dibattito che si è attivato su di essi. Ebbene ci sarebbe stato il
panico che c'è sta oggi. E il governo avrebbe dovuto tenere conto di
questa opinione pubblica con un tale grado di effervescenza (anche se
per lo più priva non tanto di consapevolezza politica, quanto di
capacità di elaborazione strategica e di determinazione morale ad
affrontarne le implicazioni). Al tempo stesso l’emozione che si sarebbe
diffusa anche nelle persone più consapevoli sarebbe stato il panico o in
un numero di casi più piccolo la negazione assoluta dei fatti (per cui
abbiamo in giro ancora i difensori di Agamben) senza invece scavare
nella grande classe degli atteggiamenti intermedi (tra questi due
estremi), forse più promettenti dal punto di vista dell’elaborazione
diffusa.
Probabilità e angoscia
È interessante vedere cosa succede a tutti noi. Don Ferrante anche
in questo caso partirà azzardatamente da un ragionamento da filosofo
dilettante. Si inizi con il considerare la differenza tra concezione
frequentista[48] (oppure oggettivista) della probabilità e concezione soggettivista[49] della probabilità[50].
Detto tagliando con l’accetta, la probabilità in senso frequentista è
equivalente alla frequenza relativa che un evento assume su un numero
abbastanza grande di prove tutte eseguite in condizioni equivalenti (e
su “abbastanza” ed “equivalenti” il dibattito può continuare)[51]. La probabilità in senso soggettivista è invece il grado di fiducia che si ha nella realizzazione di un evento[52].
Messa da parte un attimo la probabilità, Don Ferrante si documenta
sull’angoscia. Uno dei primi filosofi a parlare di angoscia fu
Kierkegaard. Costui, da filosofo sensibile alle questioni religiose,
collega l’angoscia al peccato originale, ma anche ai concetti di
possibilità e libertà[53].
Egli dice che il divieto porta con sé l’angoscia in quanto fa balenare
alla coscienza (quasi in contrasto) la sua libertà. Aggiungeremmo:
libertà di stabilire i criteri dell’azione, libertà di stabilire
obiettivi dell’azione compatibili con i criteri scelti, libertà di
stabilire le modalità con cui realizzare quegli obiettivi. Ad ognuno di
questi passaggi il contesto sociale vuole mettere bocca ed ogni volta il
tentativo di costituirsi come soggetto libero si mostra come
trasgressione alimentando il senso di colpa. Inoltre l’uscita da uno
stato di minorità[54]
porta i soggetti da una situazione psicologicamente garantita dal fatto
che l’onore (che è anche onere) della decisione non è il proprio ad una
situazione per cui le scelte si devono commisurare solo (sic!) alla
realtà e di esse si risponde sia materialmente (con gli effetti negativi
di scelte sbagliate) sia moralmente (a seconda dell’interesse o delle
norme sociali in uso).
Da parte sua Freud distingue diversi tipi di angoscia ma ipotizza che
due di questi, ovvero la nevrosi d’angoscia e l’angoscia reale, si
possono sovrapporre e generare una situazione in cui c’è un pericolo
reale ma l’angoscia di fronte ad esso è molto maggiore di quanto
dovrebbe essere[55].
Ora l’invio di informazioni può essere considerato come un invio di
vincoli (e dunque di divieti) perché riducono lo spazio in primo luogo
di pensare (dal momento che quelle informazioni pretendendo di
rispecchiare uno stato di cose costringono il pensiero ad elaborare
compatibilmente con esse). Ogni informazione in un certa misura eccita
la mente e Freud parla di angoscia automatica che si manifesta quando il
soggetto non riesce a dominare e neppure a scaricare un afflusso di
eccitazioni troppo numerose (o troppo intense) di origine interna o
esterna. J.K. Wing ed altri[56]
hanno parlato di ansia fluttuante generata da un senso di inadeguatezza
rispetto a compiti e ruoli che si devono assumere nella complessità con
cui le società si stanno evolvendo e dove il controllo delle variabili
(più numerose grazie anche alla società dell’informazione) richiede
maggiore capacità di elaborazione, adattamento e mobilità per indicare
le procedure più atte ad evitare la frustrazione ed il fallimento.
Leonardo Ancona sviluppa il concetto freudiano distinguendo, come fa la
lingua italiana, tra ansia e angoscia e dicendo che quest’ultima è una
situazione di trauma generata da un afflusso di eccitazioni non
controllabili perché troppo grandi nell’unità di tempo[57].
Sembra a questo proposito che il cervello umano nella sua evoluzione
compia (a livello inconsapevole) delle scelte fatte con criteri
euristici[58]
(ovvero con strategie di previa riduzione della complessità del
problema affrontato dal momento che non è possibile, per lo stesso
cervello, risolvere problemi tramite procedimenti algoritmici classici[59]). All’interno di questo procedimento inconsapevole (di cui non si ha coscienza) è probabile[60]
che il cervello faccia un calcolo dove assegna una probabilità ad
almeno alcuni eventi possibili in modo da produrre procedure
comportamentali che attraverso una sorta di arbitraggio tra scopi da
raggiungere e maggiore probabilità di alcuni eventi rispetto ad altri
consente all’individuo biologico di compiere anche le più semplici
operazioni quotidiane[61]
(ad es. attraversare una strada). Questa assegnazione di probabilità è
implicita e si può dire che le pratiche che ne derivano sono compatibili
con un criterio soggettivistico di probabilità (ovvero di probabilità
che corrisponde al grado di fiducia che si ha nel verificarsi di un
evento) dove il soggetto però probabilmente non è neppure
inter-temporalmente sempre coerente[62].
Perciò da un punto di vista materialistico il calcolo può essere fatto
anche frequentisticamente (magari il cervello tiene conto delle
percezioni passate), ma fenomenologicamente questo calcolo non deve
essere esplicitato, dal momento che l’esplicitazione lo sottopone al
senso di colpa correlato alla ricerca di un punto di vista autonomo.
Questo fa sì che il calcolo delle probabilità inconscio che consente in
via ordinaria un comportamento razionale viene distorto, una volta reso
consapevole, dalle aspettative generate dall’angoscia e consente la
percezione ingrandita di un pericolo esistente ma che si riferisce ad un
evento poco probabile (il senso di colpa tende ad amplificare le
aspettative soprattutto negative ovvero la cosiddetta “sfiga”[63]).
A ciò si aggiunga la pervasività attuale del sistema mediatico che
ormai costituisce una rete diffusa su tutto il pianeta. Da questo
sistema, ad ogni individuo collegato a una rete di comunicazione, stanno
arrivando un enorme numero di informazioni e, nel caso in oggetto si
tratta di informazioni su eventi e statistiche di ordine sanitario,
soprattutto contagi e decessi[64].
Questa pioggia di informazioni getta nell’angoscia intere popolazioni
collegate alla rete. Anche perché ognuno degli individui non vede tanto
le percentuali quanto i numeri assoluti e se a ciò aggiungiamo il
meccanismo di angoscia ora descritto, anche la relativamente bassa
letalità diventa un pericolo grande ed imminente. La frequenza con cui i
casi negativi appaiono nello spazio mediatico diventa la probabilità
che nel caso negativo venga coinvolto anche il soggetto che riceve
questa pioggia di informazioni.
La ciliegina sulla torta sono i processi caotici che si
autoalimentano perché coinvolgono le stesse persone che contribuiscono
ad alimentarli. L’esempio è quello delle recessioni economiche e/o le
crisi finanziarie dove troviamo profezie che si autoavverano[65].
Nel caso in oggetto la paura che si innesti in un processo una curva
esponenziale, per quanto irrazionale, porta una intera collettività al
panico[66]
ovvero ad un episodio acuto di angoscia che si scarica nella maniera
più incontrollata possibile (fughe catastrofiche, stragi etc[67]).
Ci si sente schiacciati dalla paura (per se stessi) e dal senso di
colpa (verso gli altri). Una volta che si è giunti a questo l’individuo e
la collettività per sfuggire a tale situazione devono rinunciare a
quell’autonomia che li ha condotti ad affrontare un rischio
(strettamente correlato alla libertà) giocandosi le carte per conto
proprio. Come Esaù, (travolto però dalla fame[68] e non dall’angoscia), essi rinunciano al proprio retaggio e alla sovranità su se stessi[69].
Oppure devono negare in modo assoluto la realtà che dovrebbe essere
rispecchiata dalla pioggia di informazioni ricevute. La scelta
successiva, quale che sia, riporta il conflitto interiore (ma anche
sociale) solo ad un diverso livello descritto dal concetto di dissonanza
cognitiva[70].
Ci troviamo di fronte ai problemi (e la cosa nuova è che siamo
costretti a porceli, mentre un neo-liberista come Johnson non se li
vorrebbe porre) dinanzi ai quali si sono trovate le società
superficialmente chiamate “totalitarie”[71] e cioè quelli di scongiurare l’avvio di un processo caotico[72]
cercando di strangolarlo nella culla e dunque promuovendo una
mobilitazione collettiva in presenza di una fase iniziale che in un
passato nemmeno tanto lontano si è (senza scrupoli) considerata
sopportabile (e inevitabile). Qualcuno, a questo proposito, ipotizza che
il web sia un dispositivo non di emancipazione ma di mobilitazione[73].
In realtà il web è solo l’acceleratore di una tendenza già implicita
nell’interconnessione globale di cui parlava Nancy criticando Agamben[74], solo che fino ad oggi il motore di questa interconnessione è stato il Capitale.
Il risultato è, come abbiamo detto prima, quello per cui si oscilla
dalla sottomissione quasi completa ed isterica, alla volontà di un
soggetto superiore (la canea attualmente esistente sul web che vuole i
soldati per le strade) e la minimizzazione della realtà cantata nel
gergo del post-operaismo o dell’economicismo neoliberista. Ora la prima
(la sottomissione) è egemone, ma tra qualche settimana la seconda (la
minimizzazione) potrebbe riprendere fiato. Il punto è che la realtà si
svilupperà anche in relazione a ciò che noi penseremo e faremo, ma non
si sa in che misura, per cui dire che è meglio non fare niente è
rischioso quanto intervenire in maniera massiva ed univoca. Non è un
caso che, quanti sinora hanno negato la realtà[75] (ma adesso hanno dichiarato l’emergenza nazionale[76]) o vogliono rinviare il da farsi[77], appartengono alla cultura del neoliberismo (e del malthusianesimo),
ovvero vogliono che l’attività economica continui, accettando il sacrificio
silente in termini di vite umane.
Il povero gregge e la sua immunità
A questo proposito molti discutono la proposta di Boris Johnson che
riconosce la gravità della situazione ma non vuole fermare l’attività
economica. I suoi esperti dicono che, poiché nella maggioranza dei casi
il virus ha effetti non gravi e la produzione di un vaccino potrebbe
esigere anche un anno, è necessario che il virus contagi più o meno il
60% della popolazione[78]
e si consegua così l’immunità di gregge impedendo al virus di tornare
alla ribalta tra qualche tempo (conseguenza probabile se la strategia è
quella di isolare tutti i contagiati e di limitare la circolazione dei
non contagiati). Si parla di isolare i più anziani ma, quand’anche fosse,
il costo sarebbe di qualche centinaio di migliaia di morti (se il tasso
di letalità rimanesse all’1-2% dei contagiati)[79]. Qualcuno parla di un punto di vista diverso che prova a tenere insieme la vita complessiva della nazione, economia compresa[80].
Si tratterebbe di contenere nello spazio e ritardare nel tempo la
diffusione del virus evitando provvedimenti che potrebbero essere
inutili come la chiusura delle scuole (visto che i bambini sono più
resistenti al virus) ed evitando misure che avrebbero costi economici
paralizzanti ed effetti dubbi (perché una volta sospese il virus
potrebbe diffondersi di nuovo). Si tratta di una logica già sottoposta a
critica sia dall’OMS[81] sia da virologi (con argomenti che sembrano consistenti)[82] sia da epidemiologi[83]. Ma il punto fondamentale è che questa visione (mettendo in conto qualche centinaio di migliaia di morti) è coerente[84] con la combinazione di malthusianesimo (le risorse sono date e sono poche rispetto alla popolazione) e di darwinismo sociale (perciò saranno distribuite ai più forti che sono più capaci di impiegarle in modo conveniente) che è il presupposto profondo del neoliberismo.
Qualcuno parla di due strategie (da una parte Cina ed Italia per diverse ragioni e dall’altra il Regno Unito e la Germania)[85]
culturalmente connotate in cui nella prima si cerca di contrastare il
contagio e nella seconda esclusivamente di curare i malati. Qualcuno
aggiunge che la strategia di Johnson non può essere considerata
neoliberista perché comunque implica una previsione, una strategia, un
investimento e un azione dello Stato. Le due osservazioni sono in un
certo senso collegate. La seconda consente di fare un chiarimento
importante.
Il sedicente neoliberismo, la sua ipocrisia, la sua inefficacia
Il neoliberismo non è quel che dice di essere. Non può esserlo.
Questo è un attestato del fatto che le lotte dei lavoratori e la
dinamica storica (al di là delle indiscutibili sconfitte) hanno prodotto
il passaggio ad un altro livello di azione e forse in maniera
irreversibile. Non si deve guardare alle utopie fondamentaliste della
scuola austriaca[86]. Quelle vengono considerate ingenue[87] anche dagli economisti più radicalmente neoliberisti[88].
Il neoliberismo prende teoricamente fiato quando si presume di
individuare delle controspinte all’interno della società che vanificano
un certo intervento dello Stato nell’economia[89].
Ma tutti i governi che in un certo senso si sono dichiarati
neoliberisti hanno solo diminuito (fortemente) e redistribuito in modo
diverso tale intervento compatibilmente con le esigenze del capitalismo[90].
Siamo cioè nella situazione forse irreversibile per cui appunto anche
senza avere (e senza poterle avere), come nella pianificazione
socialista, tutte le leve di controllo dell’economia, i governi (quale
che sia il loro orientamento) fanno delle previsioni sull’andamento
dell’economia e a queste previsioni rispondono adottando una strategia
complessiva che comporta investimenti ed interventi ben definiti. Le
differenze sono nella struttura della proprietà, nei gradi di
intervento, nelle modalità di intervento, nell’ideologia che giustifica
l’intervento, nelle materie in cui si interviene, nelle priorità
politiche che regolano l’intervento stesso. L’assalto al Cielo del
secolo scorso ha portato il gioco ed il tipo di sfide sociali ad un
livello nuovo a partire dal quale si può andare solo avanti. È per
questo che il fondamentalismo utopico (quello sì) neo-austriaco,
nonostante le chiacchiere sulla libertà, è una concezione reazionaria.
Perché di fronte alla complessità legata all’ingresso delle masse
nella storia e all’intervento dello Stato nell’economia vorrebbe
semplicemente tornare indietro ad una sorta di noncuranza delle
interconnessioni sempre più forti (nella loro natura) e al tempo stesso
delicate (per le loro implicazioni) all’interno dell’economia e della
società. Ciò non perché ne neghino l’esistenza, ma perché i limiti delle
conoscenza[91] renderebbero l’intervento dannoso più che utile[92].
Il loro carattere utopistico sta nel fatto che astenersi non è
possibile (proprio per la complessità di cui si ha paura) e che coloro
che predicano l’astensione nei fatti hanno solo ridimensionato e
riarticolato l’intervento.
La crisi del coronavirus però mette anche questa ipocrisia di fronte alla verità. Johnson ha infatti detto “Moriranno molti cari”
ma l’opinione pubblica ha capito benissimo che la sua dichiarazione
vuol dire che la politica decisa dal governo inglese ha tra le sue
consapevoli implicazioni quella di permettere la morte di centinaia di
migliaia di persone. “Moriranno molti cari” non è un decreto
della Natura o di Dio, ma un evento previsto che si è deciso di mettere
nel conto. Ciò perché si è deciso che la priorità politica è evitare
un’altra dolorosa recessione e per fare questo la morte di qualche
centinaio di migliaia di persone per complicazioni derivanti da
infezione da coronavirus è un costo sociale congruo. Non si può tornare
indietro rispetto alla posta in gioco e alla consapevolezza che noi
abbiamo della situazione. Se si accetta questa logica la storia
ideologicamente tramandata la si dovrà riscrivere e rivalutare
radicalmente, soprattutto per quanto riguarda quella dei regimi
impropriamente detti “totalitari”[93].
Se si accetta questa logica non si potrà più condannare un regime solo
per il numero di morti, ma si dovrà valutare politicamente e
storicamente il calcolo dei costi e dei benefici legato a queste morti,
le priorità che le hanno permesse o direttamente causate. Se si accetta
questa logica cambierà radicalmente il rapporto tra etica e politica che
in questi ultimi decenni[94] ha coinvolto (illuso?) intere masse ed ha motivato l’abbandono di una certa idea di conflitto sociale.
La natura neoliberista del progetto del governo inglese da cosa si
può desumere allora? Dal fatto che esso non previene il contagio, ma, in
un’ottica di intervento più limitato, cerca di intervenire a valle
volendo curare solo i malati e fingendo di non sapere che, proprio per
meglio curare i malati, bisogna rallentare fortemente il contagio.
La logica della pianificazione
La crisi del coronavirus cioè non solo svela l’ipocrisia neoliberista
ma evidenzia i problemi anche del ridimensionamento dell’intervento
pubblico[95]
(apparentemente solo in circostanze eccezionali ma poiché secondo Nancy
l’eccezione sembra essere la regola...) dal momento che esso è costretto
ad accettare tutte le conseguenze caotiche della mancanza di intervento
preventivo (e dunque profondo) nelle interconnessioni sistemiche della
società globale. Anche se questo approccio venisse nel corso degli
eventi rivalutato a seguito dei costi economici delle politiche di forte
rallentamento del contagio, la sostanza non cambierebbe, dal momento che
la sfida sarebbe comunque quella posta al passaggio da un livello meno
profondo ad uno più profondo di intervento pubblico. Un po’ come per le
esplorazioni nello spazio: gli incidenti passati le hanno rallentate e
modificate[96], ma riprenderanno perché vecchi e nuovi bisogni le alimenteranno inesorabilmente[97]. Certo, è sempre possibile una risacca neomedievale[98]
(quella sempre paventata o augurata dall’atteggiamento bipolare
capitalista), ma quella probabilmente si presenterà solo nelle nostre
coscienze ideologicamente condizionate di fronte ad un circuito
recessivo più o meno grave. La mentalità che deve essere associata alla
pianificazione economica deve progressivamente essere quella della guida
(democratica) di un mezzo. Il catastrofismo neo liberista alla vista
delle politiche di forte contenimento del contagio è il rovescio
dell’idea di una economia che sarebbe come una locomotiva che non si può
fermare e che è sempre più veloce. Anche questa però è una concezione
catastrofista ed anche un po’ infantile (come il bambino che per gioco
avvia il suo triciclo e chiude gli occhietti per non vedere dove va a
sbattere). Anche se non sappiamo bene il funzionamento di un mezzo,
dobbiamo pensare che questo mezzo è il mezzo della collettività
associata e perché questa proprietà diventi effettiva ed utile (essendo
necessaria perché non possiamo astrarci da essa) bisogna studiare come
gestirla in corso d’opera (con tutti i rischi del caso) razionalmente[99].
Con questo mezzo deve essere possibile in prospettiva storica (anche
lunga) rallentare, accelerare, accostare, fermare, ripartire, curvare[100]. There is no alternative, paradossalmente.
Verso un intelligenza collettiva?
Le riserve che si hanno nei confronti dell’atteggiamento minimizzante,
valgono anche per tutte le forme di complottismo (spesso ad esso
collegato) che hanno soprattutto all’inizio caratterizzato parte del
dibattito sul coronavirus. È possibile che sia stato diffuso per
sbaglio dai laboratori biotecnologici di Wuhan[101]? È possibile che sia stato portato da agenti Usa a Wuhan[102]?
È possibile tutto, ma non basta agitare il sospetto. O si ha una
teoria che scenda nei dettagli (confermabile o falsificabile) e un
soggetto politico che la faccia propria e ne faccia il presupposto per
un’inchiesta oppure scriviamo un romanzo, una denuncia letteraria e la
si finisca lì. Altrimenti la denuncia regredirà a rumore di fondo che
non sarà più nemmeno sentito.
Come abbiamo già detto, è probabile che il governo italiano ad un
certo punto sull’istanza di chiudere e fermare tutto per rallentare il
contagio sarà costretto a tornare indietro, anche perché Lagarde ha
rifiutato un whatever it takes 2 e ha provocato un ulteriore crollo della Borsa Italiana ma anche delle altre Borse Europee[103].
Purtuttavia questo può essere un momento di svolta della storia del
capitalismo a condizione che anche le altre nazioni del mondo sviluppato
vengano interessate dal contagio in modo rilevante e/o dalla crisi
economica che ne potrebbe seguire. Forse per la prima volta non solo un
evento di tale portata ha coinvolto intere fasce di popolazione ma le ha
costrette ad assumere comportamenti impensabili sino ad ora. I morti di
una grave sindrome influenzale senza vaccinazione sono adesso
contabilizzati in tempo reale e ci si rende conto di quanto sono
rilevanti i nostri comportamenti individuali (mentre le scorse volte
l’infezione ci passava addosso e i morti venivano riesumati solo dalle
statistiche). È un passo in avanti verso la costituzione di una
intelligenza collettiva. I governi e le multinazionali cercheranno di
far derivare da questo shock conseguenze disciplinanti, ma essi stessi
non hanno il pieno controllo della situazione che è dinamica anche per
loro. Però mai come ora si sono prese pubblicamente ed in maniera
dibattuta delle decisioni che hanno riguardato tutti. Ne siamo usciti
sconfitti ancora una volta, ma non dobbiamo meravigliarcene, dal momento
che un’analisi seria sa che mancano ancora alcuni presupposti perché si
possa fare meglio[104]. Tuttavia dobbiamo guardare questo giorno come l’inizio di un
passaggio dal gattonare alla posizione eretta, ora finito in maniera
regressiva, ma domani potremmo essere più consapevoli e avveduti, più
capaci di discernere la notizia vera da quella falsa, più capaci di
elaborare le informazioni e di sfuggire al panico, più capaci di
promuovere e gestire una discussione pubblica su più ipotesi e di fare
una scelta politica con più argomenti, più capaci di organizzare il
nostro riferimento di classe e di fare sì che incida politicamente in
maniera maggiore. Bisogna però promuovere il dibattito pubblico, per
quanto materialisticamente e ideologicamente distorto. E bisogna non
tanto orientarlo, ma catalizzarlo con una elaborazione il più possibile
approfondita e accessibile verso un aumento di conoscenza e
consapevolezza collettiva, con la ragionevole fiducia che questo aumento
avrà, se approfondito, un connotato politico ben determinato e, in
quanto tale, di più lungo periodo.
Consapevolezza e cautela dei comunisti
Questo vale soprattutto per la riflessione che si devono fare
all’interno dei comunisti. Questa crisi dimostra che le contraddizioni
che si stanno evidenziando non sono gestibili con i vecchi rapporti di
produzione ma ce ne vogliono di nuovi[105].
Lo stress terribile a cui è stato sottoposto il sistema sanitario in
questi mesi ha origine nei tagli alla sanità che sono stati fatti negli
ultimi trent’anni[106]. La trasparenza[107]
e il comportamento concreto dei governi sulla questione del coronavirus
è subordinata al conflitto tra le forze che vogliono il panico
disciplinante[108] (alcune delle organizzazioni economiche e finanziarie sovranazionali[109])
e quelle che invece vorrebbero che la circolazione dei fattori
produttivi continui come prima (le imprese industriali a livello
nazionale ma anche alcune straniere)[110]. È certamente vero che si cercherà di non consentire che la via
d’uscita dalla crisi sia la rivalutazione della dimensione pubblica
rispetto alla sinora trionfante ideologia del privato[111]. Ed è certamente vero che la lotta condotta in Cina contro il coronavirus[112]
sia l’esempio di una strategia che nella dimensione pubblica trova la
sua chiave d'interpretazione, sia per quanto riguarda gli strumenti
usati per portarla avanti sia per quanto riguarda la globalizzazione
delle informazioni e delle conoscenze derivanti da tale traumatica
esperienza storica. Mentre invece in Europa questa crisi sta svelando il
vuoto pneumatico esistente sotto la retorica europeista[113]
e complessivamente in Occidente sta evidenziando tutta la volontà di
non fare nulla per evitare un consistente numero di morti a seguito del
coronavirus[114].
Alla consapevolezza che le nostre analisi sono giuste deve però
seguire da un lato l’attenzione a non fare di questa differenza tra
Occidente e Cina un qualcosa di mitizzato per non perdere la capacità di
analisi anche su questo punto. Il governo cinese ha dimostrato una
capacità di mobilitazione impressionante[115]
su di una emergenza difficile da risolvere, ma questo successo va
confermato nel tempo e soprattutto esso non deve farci trascurare le
difficoltà che la Cina affronta e deve affrontare ancora visto l’enorme
sviluppo che ha dato al mercato. Senza contare che una cosa è gestire
una emergenza quando già c’è ed una cosa è prevenirla quando la maggior
parte degli attori pensa di avere delle possibilità di azione che invece
(nell’ottica preventiva) potrebbero essere minori di quanto immaginato.
Le transizioni al socialismo hanno avuto spesso problemi relativi a
questo ambito. E anche l’istanza ecologista incorre in questa
resistenza.
La comunicazione scientifica e la democrazia come dinamica cognitiva
In secondo luogo qui nel mondo virtuale ad Ovest si è sviluppato un
dibattito tematico che deve farci riflettere sul ruolo che la scienza ha
nella società. Sinora nella tradizione comunista si è ben fatto a
legare fortemente scienza e tecnologia e a vedere in quest’ultima una
più complessiva verifica del sapere elaborato. Partendo da questa
esperienza si deve anche approfondire il rapporto più complessivo tra il
sapere scientifico e la necessità di renderlo più accessibile a fasce
sempre più estese della popolazione. Questa diffusione come la
tecnologia andrà forse considerata un’altra forma di verifica più
complessiva del sapere scientifico stesso. Molti si fermano
all’apparenza di questo processo, considerando la scienza in sé
democratica[116]
e denunciando le fake news, le scie chimiche, le posizioni
pseudo-scientifiche che pullulano in rete come una sorta di morbo da
debellare[117],
quando invece sono la premesse, se ben interpretate e modulate, di una
diversa relazione tra scienza e società, dove lo scienziato si deve
mettere in questione e affrontare il problema della comunicazione
scientifica come problema costitutivo (e non accessorio) della scienza[118].
A partire da questo problema sarà possibile forse sviluppare un nuovo
senso della democrazia in modo da consentire a più persone di avere più
possibilità di confronto e di scambio di informazioni, di metodi, di
procedure, di frame cognitivi[119].
In questo modo la democrazia da vincolo politico, da principio da anime
belle, si potrebbe trasformare in quel motore cognitivo che potrebbe
scandire la transizione allo stesso modo in cui la rivoluzione
scientifica ha accompagnato il trionfo del modo di produzione
capitalistico. Se non mettiamo mano a questa forma di sperimentazione la
possibilità stessa della transizione rischia di avere (nel caso ne
abbia) strade più anguste di realizzazione.
17 marzo 2020
Note:
[1]
https://contropiano.org/documenti/2020/03/04/coronavirus-cominciamo-a-capirci-qualcosa-0124791?fbclid=IwAR2jNK47kFdD-INOxg-_EgxDVJk8O_7xYNXZQivIYnUiztBlOpfUiJAYjQo
[2] https://www.wallstreetitalia.com/coronavirus-i-primi-casi-fin-dallinizio-del-2018/
[3] https://www.epicentro.iss.it/influenza/sorveglianza-mortalita-influenza
[4]
https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/01/27/la-mappa-della-johns-hopkins-university-seguire-la-diffusione-del-coronavirus-quasi-tempo-reale/
[5] https://www.ilpost.it/2020/03/05/contagi-morti-corea-del-sud-tasso-letalita/
[6]
https://ilmanifesto.it/perche-mancano-le-terapie-intensive-ma-la-preparedness-non-e-solo-italiana/?fbclid=IwAR3dqlevt82toy-YAHzqRD4wmtziyvqvQQ0p0FRanE9CCvnLqKM2YkA2ul8https://www.repubblica.it/esteri/2020/03/06/news/coronavirus_dignita_privacy_corea_del_sud_chat_sms_messaggi_contagi-250414120/
[7]
https://www.infodata.ilsole24ore.com/2020/01/27/la-mappa-della-johns-hopkins-university-seguire-la-diffusione-del-coronavirus-quasi-tempo-reale/
[8] https://ilmanifesto.it/perche-mancano-le-terapie-intensive-ma-la-preparedness-non-e-solo-italiana/
[9] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5351_16_file.pdf
[10] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5351_16_file.pdf
[11]
http://www.rainews.it/dl/rainews/media/coronavirus-medici-cinesi-da-Wuhan-a-Roma-a162da07-7fbe-4ffd-89f3-2c1d6fef2503.html?fbclid=IwAR27MTnn0Cgxnh3-iBxyh1yEw9HMwAf9yhVX30WedAAoHp8hy7zviePWSMs
[12]
https://www.msn.com/it-it/notizie/other/coronavirus-milano-allerta-casi-sommersi-«sono-una-marea-nessuno-sa-quanti»/ar-BB11f2ZP?ocid=spartanntp
[13] http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pagineAree_5351_16_file.pdf
[14] https://www.msn.com/it-it/notizie/coronavirus/burioni-tutti-sono-morti-a-causa-del-coronavirus/ar-BB10RWjm?ocid=spartandhp
[15] “in un modo o in un altro il nonno deve morire”
[16] https://www.msn.com/it-it/notizie/coronavirus/coronavirus-a-che-punto-è-lepidemia/ar-BB10QVoW?ocid=spartanntp
[17] https://www.youtube.com/watch?v=0BNqRq07HMU
[18] http://old.iss.it/binary/mabi/cont/Report2017.pdf
[19] https://www.lastampa.it/cronaca/2018/09/11/news/e-davvero-in-corso-un-epidemia-di-polmonite-1.34044199
[20]
https://www.repubblica.it/cronaca/2020/03/07/news/coranvirus_limite_di_eta_per_i_ricoveri_in_tempi_di_emergenza_sono_necessari_dei_criteri_etici_condivisi_-250547728/
[21] http://www.siaarti.it/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI.aspx
[22] https://web.archive.org/web/20121014024047/http://www.rcgfrfi.easynet.co.uk/ww/lenin/1913-wcn.htm
[23] https://www.huffingtonpost.it/edoardo-ronchi/contro-il-malthusianesimo_a_23393272/
[24] Tooley, Michael, Aborto e infanticidio, in AA.VV, Introduzione alla bioetica, Liguori editore, Napoli, 1992 pp.31-39
[25] Tooley, Michael, Aborto e infanticidio, in AA.VV, Introduzione alla bioetica, Liguori editore, Napoli, 1992 p.53
[26] Singer, Peter, Ripensare la vita. Il Saggiatore, Milano, 1994, pp.78-80
[27] Maffettone, Sebastiano, Il valore della vita, Oscar Mondadori, Milano, 1998, pp 275-276
[28] Bacchini, Fabio, Il diritto di non esistere, Mc Graw-Hill, Milano 2002
[29] Singer, Peter, Etica pratica, Liguori Editori, Napoli, 1989 pp. 125-129
[30] Il Mondo in cifre 2003, Internazionale p.76; Il Mondo in cifre 2019, Internazionale, p.90
[31] https://rintintin.colorado.edu/~vancecd/phil1100/Hardin.pdf
[32] Vasapollo, Luciano, L’uomo precario nel disordine globale, Jaca Book, Milano, 2005 pp.141-145 e 203-209
[33] https://www.ilpost.it/2020/03/08/pandemie-italia-asiatica-hong-kong/
[34] Il Mondo in cifre 2019, Internazionale, p.26-27
[35] Il Mondo in cifre 2019, Internazionale, p.134
[36] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/trade-deal-quali-conseguenze-usa-cina-ed-europa-24853
[37] https://contropiano.org/news/news-economia/2019/04/30/via-della-seta-che-cambia-0114984
[38]
https://contropiano.org/news/politica-news/2020/02/29/zaia-lo-scienziato-razzista-spiega-la-svolta-verso-la-minimizzazione-0124591
[39] https://ilmanifesto.it/cina-attivisti-e-ritardi-lemergenza-coronavirus-scuote-il-pcc/
[40] https://archivio.unita.news/assets/main/1957/10/04/page_002.pdf
[41]
https://contropiano.org/news/politica-news/2020/02/07/coronavirus-via-i-mangiapipistrelli-e-luomo-bianco-torna-a-sentirsi-superiore-0123796
[42] https://www.31mag.nl/coronavirus-in-olanda-prevenire-il-contagio-o-prevenire-il-panico/
[43] https://contropiano.org/editoriale/2020/03/11/il-pil-o-la-vita-0125053
[44] https://codacons.it/business-ai-tempi-del-virus/
[45]
https://www.unionesarda.it/articolo/news/mondo/2020/03/15/anche-la-spagna-chiude-tutto-positiva-la-moglie-del-premier-sanch-137-997690.html
[46] https://it.insideover.com/politica/i-numeri-del-tracollo-della-grecia-distrutta-dallausterita.html
[47]
https://contropiano.org/news/lavoro-conflitto-news/2020/03/12/le-aziende-pensano-solo-ai-profitti-usb-convoca-lo-stato-dagitazione-il-governo-adotti-misure-0125104
[48] Von Mises Richard, Manuale di critica scientifica e filosofica, Longanesi, Milano, pp. 242-255
[49] Piccinato, Ludovico, La statistica se “la probabilità non esiste” in AA.VV. Conoscere De Finetti, Mondadori, Milano, 2010, pp.39-59
[50] Costantini Domenico e Geymonat, Ludovico, Filosofia della probabilità, Feltrinelli, Milano, 1982, pp.61-75
[51] http://progettomatematica.dm.unibo.it/ProbElem/6definiz.html
[52] http://progettomatematica.dm.unibo.it/ProbElem/7definiz.html
[53] Kierkegaard Soeren, Il concetto dell’angoscia in Opere, Sansoni, Firenze, 1972 pp. 120-197
[54] Kant, Immanuel, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo? In Antologia di scritti politici, il Mulino, Bologna, 1977, pp. 51-59.
[55] Freud, Sigmund, Inibizione, sintomo e angoscia, Bollati Boringhieri, Torino, 1981
[56]
http://studenti.istitutobeck.com/public/images/websiteimg/Casi%20clinici/carla%20-%20UN%20CASO%20DI%20DISTURBO%20Di%20ANSIA%20GENERALIZZATO.pdf
[57] Galimberti, Umberto, Dizionario di psicologia, Utet, Torino, voce ANGOSCIA pp.58-60
[58] Gigerenzer, Gerd, Decisioni intuitive, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009, pp. 55-92
[59] https://it.wikipedia.org/wiki/Euristica
[60]
https://www.repubblica.it/scienze/2014/11/13/news/il_senso_della_probabilit_una_caratteristica_innata_del_nostro_cervello-100001148/
[61] https://www.focus.it/comportamento/psicologia/micromort-lindice-di-mortalita-che-sfata-le-nostre-fobie
[62] http://www.ripmat.it/mate/l/lc/lcfb.html
[63] https://www.focus.it/comportamento/psicologia/la-fortuna-e-cieca-la-sfiga-scientifica-gallery?gimg=0#img0
[64]
https://mobile.twitter.com/naomiohreally/status/1238868163208634371?s=21&fbclid=IwAR2FjX7ayEuesmR5IhiMiFLBxR9fayFojwmYXJTNE4IfuCNmQgH6eGeR55w
[65] https://it.wikipedia.org/wiki/Profezia_che_si_autoadempie
[66] https://www.stateofmind.it/2018/11/panico-medicina-catastrofi/
[67] http://www.meteoweb.eu/2018/12/dallheysel-a-corinaldo-tragedia-panico/1190369/
[68] https://it.wikipedia.org/wiki/Esaù
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[70] http://www.psychomedia.it/pm/modther/modtec/cozzolino.htm
[71] https://contropiano.org/interventi/2019/09/24/totalitarismo-triste-storia-di-un-non-concetto-0118933
[72] https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_farfalla
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[74] https://antinomie.it/index.php/2020/02/27/eccezione-virale/
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https://www.repubblica.it/esteri/2020/03/13/news/coronavirus_il_60_dei_britannici_dovra_contrarre_il_covid19_per_sviluppare_l_immunita_di_gregge_-251163099/
[79] https://www.ilsole24ore.com/art/boris-johnson-parte-guerra-contro-coronavirus-a-modo-suo-ADMA55C
[80] https://www.tempi.it/coronavirus-la-scommessa-di-boris-johnson-spiegata-bene/
[81] http://www.ticinolive.ch/2020/03/14/loms-critica-lapproccio-del-regno-unito-al-coronavirus/
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[84]
https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/03/15/gran-bretagna-tra-pandemia-ed-eugenetica-di-stato-0125284?fbclid=IwAR1k7HQlAEFVlsL2phvh-wM78go_OmBMhTiYA8xojGIkfZk29ljv-BzuvQM
[85] https://www.sinistrainrete.info/societa/17186-roberto-buffagni-epidemia-coronavirus-due-approcci-strategici-a-confronto.html
[86] https://it.wikipedia.org/wiki/Scuola_austriaca
[87] https://www.movimentolibertario.com/2014/10/la-scuola-austriaca-non-esiste-esiste-solo-michele-boldrin/
[88] https://ilbocconianoliberale.wordpress.com/2014/07/22/esiste-la-scuola-austriaca/
[89] https://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2018/02/Appunti-di-Politica-economica-2018.pdf pp. 21-22
[90] Vasapollo Luciano, Arriola Joaquin, Teoria e critica delle politiche economiche e monetarie dello sviluppo, Edizioni Efesto, Roma, 2019, pp.39-42
[91] Butler Eamonn, Friedrich A. Hayek, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1983, pp.193-212
[92] Butler Eamonn, Friedrich A. Hayek, Edizioni Studio Tesi, Pordenone, 1983, pp.137-143
[93] https://contropiano.org/interventi/2019/09/24/totalitarismo-triste-storia-di-un-non-concetto-0118933
[94]
https://it.wikipedia.org/wiki/Storia_del_Partito_della_Rifondazione_Comunista_(2001-2003)#Comunismo_%C3%A8_nonviolenza:_le_lettere_a_Sofri,_Revelli_e_Mieli
[95] Vasapollo Luciano, Arriola Joaquin, Teoria e critica delle politiche economiche e monetarie dello sviluppo, Edizioni Efesto, Roma, 2019, p.252
[96] https://it.wikipedia.org/wiki/Space_Shuttle#Il_disastro_del_Challenger_e_le_sue_conseguenze_(1986)
[97] https://it.wikipedia.org/wiki/Colonizzazione_dello_spazio
[98] https://www.mororoberto.it/mobile/index.asp?art=192
[99] https://blog.rubbettinoeditore.it/michele-marsonet/la-scienza-come-nave-in-mare-aperto/
[100] https://www.youtube.com/watch?v=KpBHbMVSua0
[101] https://pandoratv.it/tag/wuhang/
[102] https://www.youtube.com/watch?v=2QGGJToa4C4
[103]
https://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2020/03/12/bce-alza-qe-120-miliardi-per-il-2020_38d9481d-442d-4e3d-aa94-67b6455d3b2a.html
[104] http://lnx.retedeicomunisti.net/wp-content/uploads/2019/04/PARTITOeORGANIZZAZIONE.pdf
[105] https://contropiano.org/fattore-k/2020/03/05/edificio-non-sta-piu-in-piedi-0124819
[106] https://contropiano.org/news/internazionale-news/2020/03/12/neoliberismo-alleato-piu-efficace-coronavirus-0125118
[107] https://contropiano.org/fattore-k/2020/03/11/le-linee-di-faglia-del-coronavirus-0125068
[108] https://contropiano.org/interventi/2020/03/13/virus-emergenza-
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[109]
[110] https://contropiano.org/editoriale/2020/03/11/il-pil-o-la-vita-0125053
[111] https://contropiano.org/news/politica-news/2020/03/13/coronavirus-e-crisi-di-sistema-0125181
[112] https://contropiano.org/altro/2020/03/07/rapporto-oms-come-cina-sta-vincendo-virus-0124872
[113] https://contropiano.org/news/politica-news/2020/03/13/lagarde-spiega-europa-non-esiste-0125197
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https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/coronavirus-boris-johnson-shock-moriranno-molti-nostri-cari-londra-punta-a-60percent-di-contagi-per-sviluppare-immunità-di-gregge/ar-BB118Kkn?ocid=spartanntp
[115] https://www.internazionale.it/opinione/pierre-haski/2020/03/10/cina-crisi-coronavirus
[116] Villa Maria Luisa, Scienza è democrazia, Guerini e Associati, Milano, 2018
[117] http://georgofili.info/contenuti/bufale-o-fake-news-un-nemico-sempre-pi-forte-per-la-scienza/13586
[118] http://www.dmi.unipg.it/mamone/sci-dem/contri/nobile.PDF
[119] http://www.edu.lascuola.it/riviste/NS/NsRicerca/14-15/1410-02/de%20cani.pdf
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