Uno Stato che obbedisce alle imprese private non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi collettivi della popolazione. Men che mai una pandemia.
L’atteggiamento tipico di un’azienda privata era già diventato chiaro a tutti con le società del calcio professionistico: “si continua sempre, anche a porte chiuse” (per guadagnare almeno i redditizi diritti televisivi). E solo l’irruzione del virus tra i calciatori più famosi (Dybala è l’ultimo della serie) ha obbligato i “presidenti” a chiudere i battenti. E dire che, al contrario degli operai, i calciatori professionisti costituiscono un “capitale da preservare” per le società stesse! Altro che vista corta...
Sono occorse 24 ore al governo Conte per trasformare l’annuncio solitario del premier, sabato sera, in un provvedimento ufficiale comprendente la lista delle “attività produttive permesse”.
24 ore in cui Confindustria si è mossa in modo così sfacciatamente privatistico e ottuso da costringere persino i “sindacati complici” – CgilCislUil – ad obiettare che quella lista “era diversa da quella concordata” e minacciare (orrore!) la proclamazione di uno sciopero generale (c’è in ogni caso quello dichiarato dall’Unione Sindacale di Base per mercoledì 25).
C’è da aggiungere che anche la “lista concordata”, circolata ufficiosamente in tutte le redazioni, era già ampiamente criticabile per la sua vaghezza nelle definizioni, che spalancava portoni a interpretazioni “libere” da parte degli industriali.
La lettera degli industriali inviata direttamente a Conte è una sintesi di come si cerca di orientare un governo già di suo prostrato ai piedi degli interessi “societari” (Lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte – Roma, 22 marzo 2020).
Si chiedeva esplicitamente “una disposizione di carattere generale, che consenta la prosecuzione di attività non espressamente incluse nella lista e che siano, però, funzionali alla continuità di quelle ritenute essenziali”, ossia una smagliatura così ampia da poter includere potenzialmente qualsiasi attività produttiva (dove finisce, infatti, la “continuità con quelle ritenute essenziali”?).
Ma non basta. Si pretendeva “un’analoga disposizione che consenta la prosecuzione di quelle attività che non possono essere interrotte per ragioni tecniche” (l’esempio classico, ma anche praticamente irripetibile in altre attività, sono gli altoforni delle acciaierie) e, per andare sul sicuro, “che la prosecuzione di tali attività possa essere garantita mediante il ricorso a una procedura amministrativa molto semplificata, che faccia leva su un’attestazione del richiedente e su meccanismi di controllo ex post da parte delle Autorità competenti”. Insomma, un “garantiamo noi”, con l’autocertificazione, contando sul fatto che i controlli poi li farete avvertendoci prima (come con le ispezioni Inail, per essere concreti).
Finita qui? No, certo... si chiedeva tempo per “adeguarsi alle nuove disposizioni” e, ciliegina finale, “assicurare la possibilità, mediante un provvedimento ministeriale successivo al DPCM o con un’altra modalità estremamente ‘snella’, di ampliare o precisare i codici esclusi dal blocco”.
In pratica, di rivedere le tabelle delle “attività essenziali” già esistenti (stilate in tempi non sospetti, quindi abbastanza attendibili) e – proprio per essere definitivamente chiari – “far riferimento non solo ai singoli codici ma alle macro-classi e alle note esplicative della tabella ATECO 2007, note nelle quali sono indicate con maggior dettaglio molte produzioni rilevanti”.
Una volta estesa la platea della attività consentite da quelle “essenziali”a quelle “rilevanti”, il gioco è fatto. Todos caballeros, tutti in fabbrica!
Non manca neppure lo strafalcione formale, con Giuseppe Conte chiamato correttamente “presidente del Consiglio” nell’intestazione e semplice “avvocato” a fondo pagina. Della serie, “sei roba nostra, ricordalo”...
Il compromesso ancora una volta escogitato dal governo è la solita “mezza via”, con molte concessioni agli industriali e molta ferocia nei confronti dei “cittadini normali”. Coprifuoco e carne da macello, come già detto.
Di fatto, un numero sconsiderato di fabbriche resteranno aperte e centinaia di migliaia di lavoratori, forse milioni, continueranno a intrupparsi su autobus e metro per poi finire intruppate in spogliatoi, mense, linee di montaggio...
Va sottolineato il gioco sporco dei governatori leghisti, a cominciare dal lumbard Attilio Fontana, che continua ad emettere proprie “ordinanze” e supera il livello del ridicolo inaugurando una propria “presentazione quotidiana dei dati sull’epidemia”: gli stessi che dà la Protezione Civile, ma solo a livello regionale.
Anche quest’ultima ordinanza, infatti, si guarda bene dall’ordinare la chiusura delle fabbriche nella regione. L’unica differenza rispetto al decreto governativo è che in Lombardia gli alberghi saranno chiusi, gli ordini professionali fermati, l’assembramento sarà punito con 5.000 euro. Decisivo, non vi sembra?
Del resto il presidente di Assolombarda, Aldo Bonomi, ormai certo prossimo presidente di Confindustria, nelle stesse ore stava già preparando gli steccati per il “dopo epidemia”: tanti aiuti per le imprese private, ma “nessun ritorno all’Iri” (ossia a una presenza dello Stato nell’attività produttiva, per garantire almeno l’autonomia e il funzionamento dei settori strategici).
In realtà fin dall’inizio dell’epidemia il ruolo della Lega – secondo pilastro del “partito del Pil”, insieme al Pd – è stato tragicamente negativo. Fino all’assurdo criminale di imporre, come “mediazione”, la dichiarazione di “zona arancione” su un’area vastissima e di fatto incontrollabile (tutta la Lombardia più 14 province) piuttosto che accettare effettive “zone rosse” (con divieto assoluto di entrata e uscita e controllo di polizia sulle vie d’accesso, come per Codogno, Casalpusterlengo, ecc.) in Val Seriana e nel bresciano.
Una scelta, anche in quel caso, motivata con la “necessità” di non fermare la produzione. E con i risultati – una strage che sembra ancora inarrestabile – che sono sotto gli occhi di tutti.
Lega e governo del resto vanno completamente d’accordo anche sul secondo pilastro di questi decreti successivi. La restrizione della libertà di movimento individuale “tranne che per lavoro”. Con la quasi certezza di estendere ancora di più il contagio senza peraltro impedire che l’economia, gioco forza, si inchiodi.
Si sta giorno dopo giorno sperimentando un regime e forme di controllo che, nei piani di molti settori dell’establishment, torneranno “utili” soprattutto dopo. Quando si dovranno e potranno fare i conti con la più inetta e criminale delle classi dirigenti di tutta Europa.
Ma in ogni caso, uno Stato che obbedisce alle imprese private non ha alcuna possibilità di risolvere i problemi collettivi della popolazione. Men che mai una pandemia.
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