di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il contagio si espande in
Libano: 149 i casi positivi e quattro decessi fino a ieri. E si è fatta
più concreta la prospettiva che il paese segua la strada del lockdown
totale tracciata da Cina e Italia. Un clima cupo avvolge il Libano già
segnato da una profonda crisi economica e fortemente indebitato. Beirut,
la più vibrante delle capitali arabe, si è svuotata e le sue strade
deserte la rendono irriconoscibile. E sono quasi del tutto scomparsi i
presidi simbolo delle proteste contro corruzione e disoccupazione che avevano attraversato per settimane la capitale libanese e altre città.
La popolazione, come nel resto nel mondo, teme molto il Covid-19 e
sui social qualcuno afferma di sperare nella previsione fatta dalla
“sensitiva” Layla Abdel Latif. Alla vigilia di Capodanno aveva
anticipato la pandemia, ora Abdel Latif prevede che il coronavirus si
aggirerà ancora per qualche settimana e poi scomparirà all’improvviso.
Bello, però non ci credono gli altri libanesi che oltre al timore di
ammalarsi, guardano alla catastrofe economica, innescata dal
coronavirus, che si sta abbattendo sul paese. Le conseguenze per la
maggioranza della popolazione saranno devastanti. I segnali ci sono
tutti. Tra settembre 2019 e febbraio 2020 hanno chiuso 800
ristoranti, pub e trattorie. Solo a gennaio, 240 imprese sono fallite
con tanti posti di lavoro perduti in un paese in cui il tasso di
disoccupazione tra chi ha meno 25 anni è stimato al 37%. E il costo
della vita è salito alle stelle.
Il quadro macroeconomico è terrificante. Il Libano, da
qualche settimana nelle mani del Fondo monetario internazionale, è
ufficialmente inadempiente e non è affatto sicuro di riuscire a
ristrutturare il suo debito estero in termini più favorevoli
come spera il governo Diab. I creditori chiedono un piano credibile che
dimostri che il debito ristrutturato sarà rimborsato.
Un punto interrogativo grava inoltre sugli 11 miliardi di dollari in
aiuti internazionali promessi da 51 Stati nell’aprile 2018. Il
Libano ha un disperato bisogno di 25-30 miliardi di dollari nei prossimi
anni e teme che il recente crollo del prezzo del petrolio spinga
l’Arabia Saudita e altri paesi a congelare i finanziamenti che Beirut attende.
Negli ultimi mesi, la società civile libanese si è mossa per
colmare il tonfo dei servizi pubblici e sono emerse iniziative per
scongiurare la fame. Programmi che in molti casi sono stati chiusi a
seguito del diffondersi del coronavirus. E si è ridotta la distribuzione di minestre gratis, ancora di salvezza per migliaia di persone.
Non tutti guardano alla situazione con pessimismo. Tariq Tarshishi scriveva qualche giorno fa su al-Joumhouria che
l’emergenza Covid-19 non presenta solo rischi. Il tasso di interesse
globale, ha sottolineato, è sceso e ciò potrebbe consentire al Libano di
ristrutturare il suo debito con interessi non più al 7% ma all’1%.
Il calo del prezzo del greggio, ha aggiunto Tarshishi, diminuirà la
bolletta energetica a vantaggio dei conti dello Stato. La crisi
coronavirus, ha concluso, contribuirà a una maggiore coesione sociale e
politica. L’ottimismo dell’editorialista di al-Joumhouria per ora non trova conferme nella realtà, soprattutto in politica.
Nemmeno il virus ha fermato lo scontro tra l’influente partito
Hezbollah filo-iraniano e i suoi avversari. Quando lo scorso 21 febbraio
è stato annunciato il primo caso positivo in Libano, le fazioni
anti-Hezbollah hanno denunciato che il contagiato era un pellegrino
tornato da Tehran. «Grazie all’Iran per aver permesso a un aereo che
trasportava persone infette di entrare nel nostro spazio aereo», ha
aperto quel giorno il suo telegiornale il canale MTV. Ma l’ammalato, un frate residente ad Acharafieh, era invece giunto dall’Italia.
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