di Geraldina Colotti
Quella del convoglio militare che trasporta i cadaveri infetti fuori
dalla città di Bergamo, è forse l’immagine più emblematica della
tragedia provocata dal coronavirus. Quelle 67 bare erano dirette ad
altri forni crematori fuori dalla regione, perché la città può cremarne
solo 26 al giorno.
E il numero dei decessi aumenta quotidianamente. I morti sono già oltre
3.405, un numero superiore a quelli registrati in Cina. Con oltre oltre
100.000 casi di coronavirus e 4.752 decessi, l’Europa è il continente
più colpito dalla pandemia, davanti all’Asia (94.253 casi di cui 3.417
vittime).
“Se lasciamo che il virus si diffonda come un incendio, specialmente
nelle regioni più vulnerabili del mondo, ucciderà milioni di persone”,
ha detto il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. “Siamo in
presenza di una crisi sanitaria globale diversa da qualunque altra nella
storia di 75 anni delle Nazioni Unite, che sta infettando l’economia
globale – ha aggiunto – Una recessione, forse di dimensioni
straordinarie, è quasi una certezza”.
Un comunicato congiunto dell’Alta commissaria ONU per i diritti umani,
Michelle Bachelet, e del responsabile dell’Agenzia per i Rifugiati,
Filippo Grandi, ha poi inviato un messaggio “all’umanità”, avvertendo
che il Covid-19 mette a dura prova il “nostro sistema di valori e il
futuro dell’umanità”, e che il modo in cui si reagirà alla crisi
determinerà il tipo di sviluppo per i decenni a venire.
Sempre, nel corso della storia, in presenza di catastrofi o a pandemie,
l’umanità si è interrogata a fondo sul senso del vivere, sul modo di
produrre, e sulle capacità degli esseri umani di controllare le forze
della natura. Con quale bussola possiamo farlo oggi di fronte a una
pandemia che toglie, letteralmente, il respiro e che lascia gli esseri
umani soli, terribilmente soli, di fronte a se stessi?
A ben vedere, questa nuova pandemia dai tratti inediti quanto a gestione
e conseguenze, costituisce una formidabile operazione di verità per chi
non si rassegna al dilagare del capitalismo e delle disuguaglianze: o
meglio, una formidabile operazione di smascheramento.
La maniera in cui le classi dominanti nei paesi capitalisti hanno
reagito all’insorgere del virus, diversamente da Venezuela e Cuba e,
innanzitutto della Cina, parla chiaro: prima il profitto, poi la vita di
chi quel profitto lo produce. Nel Regno Unito, i governanti lo hanno
dichiarato apertamente, nella vecchia Europa, il discorso è stato più
ipocrita, e più sfumato, ma la realtà si chiarisce con la velocità alla
quale si sta propagando il virus.
E con che coraggio, Bachelet parla delle conseguenze per i “settori più
fragili” quando ha servito a Trump la giustificazione per continuare a
imporre misure coercitive unilaterali e criminali al Venezuela? Con che
coraggio Luis Almagro usa lo stesso linguaggio dopo aver dato voce a
Trump e al fascismo in America Latina, e ora chiede la rielezione a
segretario generale dell’OSA?
Il coronavirus è dilagato nel nord dell’Italia, quel nord ricco, chiuso e
orientato da anni di politiche xenofobe, in cui le grandi associazioni
imprenditoriali e dei commercianti hanno fatto perdere tempo prezioso,
ostacolando quella che sarebbe stata una misura drastica di prevenzione,
l’unica da prendere subito: la chiusura della produzione non
necessaria, la messa in quarantena totale della zona.
Invece, le televisioni mostrano i trasporti pubblici ancora affollati di
lavoratori, indicandoli addirittura come propagatori del virus. I
media, infatti, sono oggi più che mai un attore di primo piano anche
nella gestione delle catastrofi, di vecchie e nuove paure, di vecchi e
nuovi capri espiatori. E così, se ieri ascoltavamo urla xenofobe contro
“il virus cinese”, oggi l’untore diventa addirittura il lavoratore.
Si arriva a lodare l’efficienza della Cina, ma non si ammette che, per
circoscrivere davvero la pandemia, occorrerebbe fare come ha fatto la
Cina: bloccare la produzione anche in quei settori ieri considerati
necessari, ma oggi resi inutili dall’isolamento preventivo. Che
occorrerebbe orientare la produzione per far fronte all’emergenza, sia a
livello nazionale che internazionale. Invece, mancano mascherine e
strumenti sanitari.
Ma, a onta di questo, i tg ci mostrano file di cadaveri provocati in
Iran dal coronavirus. Nessuno ci spiega, però, che il paese soffre per
le sanzioni criminali imposte dagli USA. I falchi del Pentagono hanno
deciso di tagliare di oltre il 50% il contributo all’Organizzazione
Mondiale della Sanità, preferendo destinare i fondi di prevenzione
scientifica della USAID a fini destabilizzanti.
E, d’altro canto, il Fondo Monetario Internazionale, che ha annunciato
l’erogazione di un prestito speciale senza contropartita ai paesi che ne
facciano richiesta, ha risposto picche sia alla richiesta dell’Iran che
a quella del Venezuela. “Cane non mangia cane”, dice un vecchio detto
italiano, e i potentati economico-finanziari non si mettono contro gli
Stati Uniti.
La giustificazione fornita dall’FMI è che non vi sarebbe unità tra i
paesi nel riconoscere il governo legittimo del Venezuela, presieduto da
Nicolas Maduro, oppure quello di un fantoccio virtuale ma dalle tasche
piene, che risponde al nome di Juan Guaidó. Un criminale, che dopo aver
chiesto ai suoi padrini occidentali il blocco economico-finanziario del
Venezuela, oggi insiste nel chiedere di nuovo l’entrata di “aiuti
umanitari” degli USA.
Ora dice di aver “permesso” ai medici venezuelani che si trovano fuori
dal paese, e che agiscono come suoi inviati all’estero, di essere
“contrattati” dalle amministrazioni pubbliche. Gli fa eco uno degli
amministratori di estrema destra della Lombardia, cercando di creare
confusione tra l’arrivo di medici cinesi e cubani, e quello di
venezuelani che avversano le politiche pubbliche bolivariane come lui ha
avversato quelle italiane. E non poteva mancare il macabro intervento
di un altro avvoltoio che si aggira per l’Europa, Julio Borges, il quale
vorrebbe approfittare del coronavirus per rovesciare il governo Maduro.
In Italia, la sanità pubblica, frutto delle conquiste realizzate dalle
lotte degli anni 1970, ha subito i tagli più pesanti a favore del
settore privato, che oggi mostra tutta la sua inutilità. In un’Europa
dei forti, che ha imposto feroci tagli alle politiche pubbliche per
pagare i tributi alle multinazionali e alle banche, in tempi di
coronavirus si muore così di lavoro anche in base alla scala dei paesi
europei.
In Italia, mancano 56.000 medici e 50.000 infermieri. Tra il 2012 e il
2017 sono stati chiusi 759 reparti ospedalieri, oggi ci sono 5,6
infermieri ogni 1000 abitanti. In Francia il rapporto è di 10,5 per
abitante e in Germania 12,6. In Italia, i posti letto sono 3,2 ogni
1000 abitanti, in Francia 6, in Germania 8. In Italia, dal 2010 a oggi
sono stati tagliati 37 miliardi di Euro. Dal 1990 a oggi, i posti letto
sono stati tagliati del 50%.
La sanità pubblica è stata svuotata anche dall’interno, consentendo ai
medici di esercitare privatamente negli ospedali, a vantaggio
dell’industria privata della salute e delle assicurazioni, dirette o
integrative, che costano salate. Si è voluto imporre progressivamente il
modello nordamericano, tanto iniquo quanto inefficiente, come si sta
dimostrando chiaramente anche di fronte a questa pandemia.
La vittoria della Cina sul Covid-19 mostra invece quel che si potrebbe
fare se una società pensasse allo sviluppo del bene comune e non al
profitto di quelle 60 famiglie che detengono la ricchezza del mondo. Il
coronavirus è un atto di sfiducia globale contro un sistema capitalista
in crisi strutturale che, con il pretesto di voler difendere la pace,
nel 2018 ha destinato alla guerra 240 dollari in media per persona. I
media europei non ne parlano, ma le grandi manovre NATO-USA di Defender
Europa 20, le più grandi da 25 anni, non si fermeranno per il contagio,
forse subiranno solo una diminuzione di effettivi.
In questo quadro si spiega la rabbiosa reazione di Trump e dei think
tank israeliani che si affannano a riversare i costi della pandemia
sulla Cina, accusandola di non aver comunicato per tempo l’esistenza del
virus. Il “paziente zero”, invece, potrebbe trovarsi proprio negli USA.
E il ministero degli Esteri cinesi ha accusato al riguardo gli Stati
Uniti. È in corso, insomma, una partita epocale tutt’altro che scontata,
sia sul piano geopolitico che simbolico, che mette per l’appunto a
confronto due modelli.
Se vincesse il capitalismo, se vincessero i padroni del pianeta, la
pandemia finirebbe per portare acqua al loro mulino. Come qualcuno ha
rilevato, morirebbero per esempio quegli anziani che, in Italia, stanno
reggendo gran parte dell’economia precaria, aiutando le famiglie con le
pensioni ottenute negli anni in cui le lotte hanno prodotto il welfare
state.
Lascerebbero in eredità ai nipoti quelle case in cui i giovani che non
possono pagarsi un affitto vivono accatastati con i vecchi, con buona
pace degli inviti a non uscire e a mantenere le distanze. E infatti,
cominciano a far rabbia quei personaggi che cantano o lanciano appelli
dalle loro case spaziose, così stridenti rispetto ai tuguri in cui si
ammassano i meno abbienti e gli immigrati.
Come possono i poveri mantenere le distanze, come possono farlo i
detenuti che vengono accatastati come animali, essendo che le carceri
diventano ogni giorno di più discariche sociali? Il Covid-19 mostra gli
effetti devastanti di quella gigantesca guerra contro i poveri messa in
atto dalla globalizzazione capitalista, e che non ha più trovato
barriere dopo la caduta dell’Unione Sovietica.
In Italia, i grandi media enfatizzano i gesti di “generosità” dei grandi
ricchi. Berlusconi ha donato 10 milioni di euro, Unicredit e Unicredit
Foudation 2 milioni, il supermercato Esselunga 2,5 milioni di euro...
Quando il marxismo era ancora una ideologia capace di influenzare i
comportamenti e il senso comune di milioni di persone, ci si sarebbe
posta almeno una domanda: da dove esce tanto denaro se non dalle tasche
dei lavoratori obbligati in questi anni ai sacrifici come se non ci
fosse stata alternativa? E si sarebbe riflettuto sul perché di tanta
carità pelosa. Non sarà per paura della reazione delle masse su cui pesa
per intero questa crisi?
Per le vie di Roma quasi completamente deserte, girano in questi giorni
solo le pantere di polizia. E c’è chi chiede l’intervento dell’esercito e
l’uso estensivo dei big data per punire la gente che esce di casa senza
giustificazione. Una misura che preoccupa, invece, chi sa che dalle
crisi il potere può uscirne rafforzato se non interviene una forza
organizzata a capovolgere le sorti a favore dei settori popolari.
Le società capitaliste, sempre più punitive e disciplinari, usano
infatti il tema della “sicurezza” o della “unità nazionale” per
controllare e reprimere il conflitto sociale. L’esercito popolare a
Cuba, o l’unione civico-militare in Venezuela sono strumenti ben diversi
dagli eserciti e dalle forze repressive dei paesi imperialisti che, per
esempio in Cile o in Colombia, cercheranno di cogliere al volo anche
questa occasione per isolare e reprimere le lotte popolari.
A questo riguardo, l’esplosione del coronavirus mostra la profonda
debolezza in cui versano, in Europa, i movimenti e le forze di
alternativa. Tanto che, paradossalmente, è proprio l’estrema destra –
parte attiva nella distruzione dei diritti delle classi popolari –
quella che grida più forte, cercando di cavalcare la situazione,
stendendo trappole e falsi obiettivi.
Sempre, nel corso della storia, nella dialettica di ricerca del bene
comune, in presenza di crisi o di guerre, vi sono state minoranze che
non hanno avuto paura di acuire le contraddizioni. Purtroppo, però, in
Europa, manca da tempo qualcosa di simile a quella soggettività
rivoluzionaria organizzata, su cui nacque e crebbe l’influenza del
marxismo. Da anni manca, in Italia, la presenza di un partito capace di
diffondere le ragioni dell’opposizione sociale in Parlamento. I
movimenti popolari e le forze di alternativa sono deboli e frammentati.
A differenza di quanto accade, per esempio, in America Latina, manca in
Europa un esempio concreto di socialismo a cui riferirsi. Manca una
visione comune che consenta di inquadrare la complessità di questa
crisi, senza perdere la speranza o lasciarsi scappare l’occasione.
Il nuovo scoglio, infatti, è determinato dalla necessità di contenere il
virus isolandosi dagli altri esseri umani. Prendendo a riferimento la
storia, il socialismo e la possibilità di inserirsi nelle contraddizioni
sistemiche per volgerle a favore dell’alternativa, come potremmo
attuare in modo proficuo in questa situazione?
Come ricostruire un fronte in grado di criticare sia la società del
controllo e l’uso dei big data, sia di evidenziare la necessità di
raziocinio nella produzione? Come prepararsi al “reset” che si
produrrà dopo questa pandemia giocando fino in fondo la propria partita?
Una chiave determinante, è sicuramente quella della solidarietà e
dell’internazionalismo. Celebrando le relazioni di fratellanza che
esistono tra Cina e Venezuela, e la pronta vicinanza del governo
bolivariano nel momento più delicato della battaglia contro il
coronavirus in Cina, l’ambasciatore di Pechino a Caracas ha ricordato a
Delcy Rodriguez un vecchio detto del suo paese: “Se nel momento del
bisogno tu mi hai fornito anche una sola goccia d’acqua, io ti
restituisco un’intera fonte”.
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