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02/06/2020

Diritti civili e business. Il suicidio di Trump


Non è stata una buona scelta, quella di eleggere Trump alla Casa Bianca. Ma del resto l’alternativa era Hillary Clinton, guerrafondaia col sorriso, e quindi gli statunitensi hanno tirato la moneta tra la padella e la brace... e così faranno di nuovo tra cinque mesi esatti, se la rivolta di questi giorni non cambia le cose alla radice, anche sul piano “istituzionale”.

Nell’aprire lo scontro con la Cina, però, il palazzinaro col ciuffo ha rivelato un’impreparazione rara nei predecessori. Convinto che si potesse fare nel mondo, tra potenze se non pari almeno paragonabili, quel che con qualche successo e molti debito aveva fatto nel business: minacciare di far saltare il banco per spaventare gli interlocutori.

Tattica rischiosa, se chi hai davanti non risulta particolarmente impressionabile ed è nato in un cultura dove il tempo dei progetti politici si misura in decine di anni, se non di secoli. Non certo sul ritmo di una trimestrale di cassa...

E così dopo aver aperto la “guerra dei dazi”, e aver teoricamente ottenuto un maggior equilibrio negli scambi commerciali con Pechino, Trump ha cambiato ancora un volta gioco cercando di cavalcare la “lesione dei diritti umani” nel caso di Hong Kong.

Sembrava la solita partita vinta prima di giocare, con i “democratici” dell’Occidente tutti in fila dietro il reazionario della superpotenza, palesemente bisognoso di distrarre l’America dalla propria inettitudine davanti all’epidemia (105.000 morti, 1 milione 810mila contagiati, al momento di pubblicare).

E invece è bastato uno sbirro in odor di ku klux klan per sollevare tutta la popolazione degli States contro la polizia, il potere wasp, l’establishment di entrambi i partiti.

E la reazione del potere è stata la solita, da quelle parti. Più violenza, più arbitrio, negazione di ogni diritto umano e civile nelle strade (e a maggior ragione nelle caserme di polizia), davanti alle telecamere di tutto il mondo.

Che vede la differenza con la repressione ad Hong Kong, certo non “tenera”, ma senza morti, senza feriti gravi, senza spari sulla folla disarmata (e anche quando non lo è).

Un suicidio comunicativo e politico – Trump costretto a rifugiarsi nel bunker della Casa Bianca sotto la pressione dei manifestanti è un’immagine, fin qui, da film paranoico, stile Alba rossa – che naturalmente i pazienti cinesi non potevano farsi sfuggire.

Questo editoriale del China Daily è solo uno dei tanti della stampa di Pechino (la parte destinata al resto del mondo e a maggior ragione quella interna). Ed infilza Trump e gli Usa lì dove pensavano di fare i maestrini del pianeta: i diritti umani e civili.

Ma la comunicazione è solo una parte dello smacco. Qualcosa di ancora più pesante sta avvenendo sui mitici “mercati”, con un numero crescente di aziende cinesi che vanno riducendo o cancellando gli acquisti di merci statunitensi da importare.

E non merci qualsiasi, ma i prodotti agricoli di quel Midwest che fornisce la base elettorale e ideologica del trumpismo e di tutta l’alt-right statunitense. Della serie: se non lo capite con i discorsi e la diplomazia, lo capirete con il business.

Un certo modo di “governare” il mondo è finito.

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Legge e ordine!

Questo è stato il tweet rilasciato dal presidente degli Stati Uniti nella primissima mattinata di lunedì.

È arrivato dopo che, venerdì, centinaia di manifestanti arrabbiati si erano radunati fuori dalla Casa Bianca, lanciando pietre e cercando di abbattere le barricate della polizia, spingendo gli agenti dei servizi segreti a riportare il leader degli Stati Uniti in un bunker sotterraneo.

L’amministrazione americana ha rapidamente urlato su ciò che sostiene siano “violazioni dei diritti umani” in altri paesi, ma i canti rabbiosi che si possono ascoltare per tutto il fine settimana negli Stati Uniti – per protestare contro l’uccisione di George Floyd da parte di un ufficiale di polizia a Minneapolis, Minnesota, lunedì la scorsa settimana, l’ultimo di una lunga serie di afroamericani uccisi da agenti di polizia bianchi – mostrano che dovrebbe guardare più vicino a casa sua.

In effetti, potrebbe iniziare osservando le proprie stesse azioni.

Il presidente degli Stati Uniti è stato in precedenza criticato per non aver condannato la violenza dei suprematisti bianchi e persino Twitter ha affermato di aver messo in discussione il “contesto storico” dell’ultima riga di un tweet del presidente degli Stati Uniti, segnalato venerdì.

In esso, il leader americano sembrava citare l’ex capo della polizia di Miami, Walter Headley, che nel dicembre 1967 usò la frase: “Quando iniziano i saccheggi, si comincia a sparare”.

Il tweet è ora nascosto dietro un avviso in cui si afferma che ha violato le politiche di Twitter sulla “glorificazione della violenza”. Può ancora essere visualizzato e ritwittato con un commento, ma gli utenti non possono mettere un like o commentare.

È positivo che il leader degli Stati Uniti voglia ripristinare la legge e l’ordine. Ma sono la riaffermazione da parte della sua amministrazione della divisione storica sulla “linea del colore” nel paese e la sua terribile risposta alla pandemia di COVID-19 che stanno ora alimentando la rabbia pubblica sulla morte di Floyd.

E mentre alcuni paesi, desiderosi di rimanere sul libro dei “buoni” degli Stati Uniti, sono sempre pronti a unirsi al suo coro quando critica altri paesi per le violazioni dei diritti umani, c’è stato un notevole silenzio da parte di questi presunti campioni dei diritti umani sul razzismo che affligge gli Stati Uniti.

La comunità internazionale e le relative organizzazioni internazionali non hanno scuse per fingere di non vedere i problemi di razzismo e dei diritti umani nel paese.

Poiché una tale pressione da parte del mondo verso gli Stati Uniti, per affrontare la questione del razzismo, non è solo un obbligo morale, ma anche di importanza tangibile in quanto contribuirà a spronare il governo degli Stati Uniti ad adempiere ai suoi doveri nel prendersi cura della propria gente, uniscano le loro voci sull’eliminazione del razzismo istituzionale e sociale degli Stati Uniti.

L’America non sarà mai grande, mentre è evidente che non tutti gli americani sono considerati uguali e alcuni non godono dei diritti inalienabili alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.

Ma altrettanto importante rispetto all’affrontare il razzismo negli Stati Uniti è aumentare la consapevolezza che qualsiasi forma di razzismo è un nemico comune dell’umanità. È una malattia che ha portato a numerose atrocità nel corso della storia. Le parole di Floyd morente – “Non riesco a respirare” – non dovrebbero essere prese come le parole solo dei neri negli Stati Uniti, ma il grido di angoscia di tutte le vittime del razzismo.

* da China Daily

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Alta tensione Cina-Usa, la contromossa del Dragone

Fonti stampa: aziende statali cinesi interrompono acquisti di prodotti agricoli da Washington

Alta tensione Cina-Usa, la contromossa del Dragone(Teleborsa) – Non si ferma l’escalation di tensione tra Usa e Cina. Funzionari del Governo cinese avrebbero, infatti, ordinato alle maggiori aziende agricole statali – Cofco e Sinograin – di “mettere in pausa” gli acquisti di alcuni prodotti agricoli americani, compresi i semi di soia.

Lo riporta Bloomberg riportando anche che alcuni compratori cinesi avrebbero annullato un numero non specificato di ordini di carne di maiale dagli Stati Uniti.

Un segnale di certo non incoraggiante dopo la firma della”Fase Uno” dell’accordo commerciale che dovrebbe (il condizionale è quanto mai d’obbligo) mettere fine alla guerra dei dazi tra le due maggiori economie mondiali. Mentre il primo Ministro cinese Li Keqiang ha a più riprese ribadito l’impegno ad attuare l’accordo siglato lo scorso gennaio, le tensioni non si placano e anzi crescono in scia alla mossa di Pechino di rafforzare la sua presa su Hong Kong.

Stando ai rumors, le due compagnie stavano effettuando indagini sui prezzi per 20-30 carichi di semi di soia statunitensi, ma hanno bloccato gli acquisti dopo che il Presidente Usa Donald Trump ha annunciato sanzioni nei confronti della Cina in seguito all’approvazione, da parte dell’Assemblea nazionale del popolo di Pechino, del controverso disegno di legge sulla sicurezza a Hong Kong.

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