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11/08/2020

Siria - Tensioni nel nordest del paese tra curdi e arabi

Sale la tensione nel nord-est della Siria fra i sostenitori locali del governo centrale e le Forze Democratiche Siriane (SFD), composte principalmente dalle milizie curde Ypg. Da quando si è stabilito nell’area lo status-quo attuale, che vede il controllo su quasi tutti i pozzi petroliferi presenti a est dell’Eufrate (area geografica a maggioranza araba, seppur poco popolata) da parte delle SDF grazie alla presenza militare degli USA, mai si era giunti a scontri armati aspri fra le milizie curde e le tribù arabe locali, come sta avvenendo in questi giorni, seppure le tensioni etnico-politiche non si fossero mai del tutto sopite.

La causa scatenante è stato l’accordo firmato il 30 luglio dalle SDF con l’azienda americana Delta Crescent Energy LLC per l’ammodernamento degli impianti di sfruttamento del greggio siriano, apertamente “facilitato” dall’Amministrazione USA, la quale non ha mai fatto alcun mistero di mantenere una presenza militare in Siria solo ed esclusivamente per il petrolio, in maniera tale da privare il governo centrale di tale vitale risorsa.

La quantità di petrolio estratto in Siria è irrisoria, tuttavia, per un paese provato da 9 anni e mezzo di guerra e dalle sanzioni internazionali, poterne godere dei proventi sarebbe decisivo anche per dare sollievo alla popolazione; con il Caesar Act, invece, le SDF non rivendono nemmeno più al governo centrale il suo stesso petrolio, come avveniva in precedenza.

A partire dal 30 luglio, pertanto, le tensioni sono salite alle stelle e si sono verificati scontro armati. Ad esempio, 6 membri delle SDF sono rimasti uccisi e 10 feriti a seguito di alcune azioni di guerriglia portate contro delle pattuglie a est di Deir Ezzor e a sud di Hasakah. Contemporaneamente, la tribù locale Al-Akidat ha denunciato l’uccisione a sangue freddo e in pieno giorno del proprio dirigente Mutashhar Hammoud Al-Hafl, rilasciando una dichiarazione in cui si concedeva alle SDF un mese di tempo per consegnare gli assassini; in conseguenza di ciò, le SDF hanno imposto il coprifuoco totale su alcuni villaggi a est di Deir Ezzor, impedendo agli abitanti di uscire di casa e aprire le attività.

Successivamente, la stessa tribù Al-Akidat, accusando le SDF di aver utilizzato dei criminali comuni per uccidere il proprio dirigente, ha annunciato la formazione di un consiglio politico con il fine di dar via al reclutamento di un esercito per combattere “le gang delle SDF, supportate dai USA e Sionisti, che hanno varcato tutte le linee rosse”. L’obiettivo finale dichiarato è “rispondere all’occupante, ai suoi fantocci e alle bande terroristiche e liberare tutte le terre siriane, in modo che la Siria rimanga la leader della nazione araba, sotto la guida del presidente Bashar al-Assad”. È, dunque, facile pensare che il governo di Damasco abbia dato impulso ai propri sostenitori nell’est della Siria per cominciare una rivolta armata contro le SDF e le truppe americane.

Intanto, l’esercito turco ha già approfittato di queste tensioni per prendere di mira, dalle posizioni che occupa nel nord di Raqqa dal novembre 2019, le SDF, uccidendone due membri in un attacco contemporaneo alle schermaglie sopra riportate. La Turchia, inoltre, ha espressamente condannato l’accordo della Delta Crescent Energy LLC con “le milizie terroriste curde”.

Ora è lecito chiedersi se le tensioni crescenti fra governo Damasco e Ypg a est dell’Eufrate si ripercuoteranno anche laddove sono costretti a coesistere per contenere l’espansionismo turco, ovvero nelle aree est del confine turco-siriano poste all’esterno della fascia fra Tall Abyad e Ras-al-Ayn sotto occupazione di Ankara.

Come si vede, dunque, la presenza militare americana in Siria, oltre a privare il popolo siriano dei proventi della modesta ma vitale attività di estrazione di petrolio, è funzionale allo scopo di impedire una soluzione politica della crisi siriana che tenga conto delle aspirazioni del popolo curdo.

Nei fatti, l’occupazione militare delle aree in cui sono presenti i campi petroliferi a titolo di “cooperazione con le SDF nella lotta all’Isis” è lo strumento attraverso il quale l’Amministrazione USA lega a sé le leadership curde, concedendo loro un semi-stato debole e ricattabile, e le allontana da un possibile dialogo con il governo di Damasco, più volte abbozzato, ma poi sempre affossato dalle mosse di Washington.

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