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14/10/2020

Impreparati al Covid dopo otto mesi. Perché?

L’esponenziale impennata dei contagi e l’emanazione del dpcm del 13 ottobre con il suo mix di divieti e raccomandazioni (alcune persino più grottesche che invasive) ci proietta nuovamente in una condizione che soltanto i più ingenui potevano considerare definitivamente archiviata.

Dai limiti di orario per bar e ristoranti con tanto di divieto di “sosta” dopo le 21, ai limiti di invitati per i banchetti dopo le cerimonie, dal divieto di gite scolastiche alla raccomandazione di non ricevere più di 6 persone non conviventi nella propria abitazione privata... i provvedimenti contenuti nel dpcm si muovono lungo quelle linee che sin dall’inizio dell’esplosione dell’emergenza sanitaria hanno ispirato l’azione di governo: individualizzazione delle responsabilità e criminalizzazione degli assembramenti del tempo libero (movida, feste a casa, generico svago), bypassando completamente quelli che si verificano quotidianamente nei posti di lavoro in nome della produzione a tutti i costi o quelli necessari per condurre i lavoratori sui luoghi della produzione (trasporti).

Ferme restando la necessaria accortezza e prudenza cui si devono ispirare in questa fase i comportamenti individuali, non sfugge però che puntare l’indice esclusivamente su questi è funzionale ad occultare il fallimento da parte del nostro paese e in generale delle cosiddette “democrazie occidentali” nella gestione dell’emergenza sanitaria, mentre una severa lezione nella lotta al Coronavirus proviene da altre latitudini e ben differenti modelli sociali (Cina e Cuba).

Insomma, una vera e propria ideologia della mistificazione addita i singoli comportamenti per allontanare il vero tema: quello della profonda crisi in cui versa il modo di produzione capitalista che agisce da detonatore della crisi sanitaria, economica e sociale e, conseguentemente, della necessità ed impellenza di un radicale cambiamento sociale.

E così tutto il dibattito si avvita attorno a soluzioni sbagliate, e politicamente devastanti, per problemi reali e gravi.

Due esempi su tutti: come si risolve il problema della diffusione dei contagi nelle scuole? Investendo sull’edilizia scolastica, con un piano massiccio di assunzioni e potenziando i mezzi pubblici di trasporto? Certamente no, meglio discutere di un ritorno integrale alla didattica a distanza...

Come si risolve, considerato l’aumento esponenziale dei ricoveri, il problema della sempre più probabile ed imminente congestione degli ospedali, e quale risposta dare alle vergognose code per i tamponi drive in nelle principali città? Investendo sulla sanità pubblica, trasformata invece in questi decenni in luogo ove i privati scorrazzano liberamente e rafforzando la medicina territoriale? Certamente no, meglio ricominciare a discutere del Mes, anche considerato che il Recovery fund non gode per ora di ottima salute...

In realtà questa seconda ondata di contagi, tra l’altro ampiamente prevista, coglie il governo ancora più colpevolmente impreparato e responsabile rispetto a quanto verificatosi soltanto sette mesi fa.

Durante i mesi estivi, che avevano concesso un po’ di tregua alla diffusione del virus, qualsiasi governo dotato di un minimo di lungimiranza e sensibilità per la salute pubblica avrebbe dovuto investire in scuola, trasporti e sanità tutto ciò che era necessario investire. Ed avrebbe dovuto avviare una seria pianificazione sanitaria con una tracciamento della popolazione, che avrebbe consentito di affrontare più serenamente e per tempo la fase invernale.

Ma vi è di più. A tutto ciò che non è stato fatto, si aggiunge l’aggravante: ciò che è invece stato fatto ha prodotto una amplificazione ed accelerazione della diffusione del virus.

Il disordinato “liberi tutti” estivo (con i governatori che facevano a gara per rassicurare che tutto era terminato ed invitavano a trascorrere le vacanze nella propria regione senza aver approntato alcun piano di prevenzione), unitamente alla genuflessione all’industria del turismo e del divertimento (clamoroso il caso dell’apertura delle discoteche e della loro chiusura solo a stagione ormai terminata...) ha prodotto l’effetto di distribuire il contagio, sino ad allora localizzato in poche zone del paese, su tutto il territorio nazionale.

Ma naturalmente tutto ciò non è ascrivibile ad errori di valutazione o mere disfunzioni organizzative, bensì a precise scelte politiche che obbediscono ai diktat delle lobby economiche, anteponendo le ragioni dell’economia, del profitto e quindi dell’impresa alla tutela della salute e dei diritti sociali.

Lo dimostrano chiaramente le esorbitanti cifre messe a disposizione delle imprese, circa il 50 percento su 110 miliardi delle varie manovre che si sono succedute da marzo ad oggi, e la cinica ingordigia con cui la sanità privata continua a speculare sulla salute.

Lo dimostrano gli strali lanciati dall’ineffabile Bonomi, in linea con le raccomandazioni rivolte dalla Commissione europea al nostro paese, contro i sussidi (peraltro ampiamente parziali e insufficienti) nei confronti delle fasce deboli della popolazione; mentre invoca per le imprese tutte le risorse del Recovery fund, per continuare a prosperare drenando risorse pubbliche (altro che rischio di impresa!).

Non vi è insomma alcun dubbio: questo sistema, per continuare a riprodursi, può soltanto esasperare i suoi tratti più feroci e disumani.

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