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08/12/2020

Italia - Cinquanta anni fa il fallito golpe dell’Immacolata

Nell’Italia delle stragi di Stato, c’è un episodio che merita di essere ricordato e conosciuto. Il fallito golpe di cinquanta anni fa, mentre l’Italia del 1970 era all’inizio di un conflitto di classe impetuoso e le classi dominanti tramavano per fermare ad ogni costo i comunisti e il movimento operaio e studentesco. Intorno al nostro paese, nell’Europa euromediterranea del 1970, c’erano dittature militari apertamente anticomuniste e sostenute dagli Usa come Grecia, Spagna, Portogallo. L’Italia, dal punto di vista del controllo imperialista statunitense, non poteva e non doveva essere l’anello debole della catena, anche a costo di un golpe militare e neofascista.

Il tentato colpo di Stato della notte dell’Immacolata, tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, aveva come nome in codice “Tora Tora”, lo stesso dell’operazione militare giapponese su Pearl Harbour nel 1941. Fu definito un golpe da operetta, ma non fu così. L’averlo ridimensionato è servito solo ad assolverne rapidamente i protagonisti e a scarcerarli. Ma servi anche a mettere al riparo gli ispiratori – negli apparati politici e dello Stato – che avevano dato semaforo verde al golpe. Se le squadre dei golpisti riuscirono ad entrare al Viminale senza incontrare resistenza, è evidente che avevano potuto godere di un via libera dall’alto.

Uno dei partecipanti al tentato golpe, Adriano Monti, nome in codice Siegfrid, in una recentissima intervista a Il Giornale, rivela alcuni dettagli interessanti.

Monti era un giovanissimo ex SS, arruolato però subito dopo la guerra dagli Stati Uniti nella rete Gehlen in funzione antisovietica, una rete di spionaggio guidata appunto dall’ex criminale nazista Gehlen, anche lui arruolato dagli Usa.

Questo suo arruolamento negli apparati statunitensi, gli consegnò il ruolo di uomo di contatto tra le organizzazioni neofasciste e gli ambienti dell’amministrazione Nixon, in particolare con lo staff di Henry Kissinger. Il via libera al colpo di Stato dell’8 dicembre 1970, venne dato da un altro ex ufficiale nazista, Otto Skorzeny (quello che liberò Mussolini detenuto sul Gran Sasso), il quale, rivela Monti “mi comunicò che gli Stati Uniti erano favorevoli al golpe, ma solo a una condizione: che il capo del nuovo governo fosse Giulio Andreotti”.

Precisa inoltre che: “l’indicazione che arrivava dagli Stati Uniti era che Andreotti diventasse il garante democratico del nuovo corso, perché il governo, anche se militare, avrebbe dovuto indire le elezioni, in un nuovo clima, entro due anni” – ovviamente senza possibilità per il Pci di partecipare. Al massimo, dice Monti, si poteva arrivare al Partito Socialista.

L’ex golpista e uomo degli amerikani, conferma che il golpe fu fermato da una telefonata mentre tutte le pedine si erano mosse (dalla Guardia Forestale ai Carabinieri, tenendone fuori il generale perché, come noto, non proveniva dall’Arma). Secondo Monti a bloccare tutto, prima di mezzanotte, furono i due uomini che facevano da tramite fra il Comandante Junio Valerio Borghese e i servizi segreti statunitensi cioè il generale Vito Miceli, capo del Sid (servizio segreto dell’Esercito), e l’Ammiraglio Gino Birindelli, comandante delle truppe Nato nel Mediterraneo, con base a Napoli. La tesi esposta da Monti è che a chiedere di fermare il golpe nel 1970 furono gli israeliani, che non volevano Andreotti a capo del governo che sarebbe nato dal colpo di stato. Altre fonti, affermano che gli apparati di intelligence statunitensi consigliarono all’amministrazione Usa di fermare tutto perchè non erano sicuri che il golpe sarebbe riuscito e che la reazione avrebbe rafforzato i comunisti.

La Commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi, indica i gruppi che avrebbero dovuto prendere parte al colpo di stato e la loro collocazione nelle ore cruciali del tentato golpe. Le formazioni erano le seguenti:

- Alcuni gruppi regionali del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese che si concentrano in un cantiere del costruttore Orlandini a Montesacro.

- Un centinaio di squadristi di Avanguardia Nazionale che si concentrano nella loro sede nel centro storico di Roma in via Arco della Ciambella.

- Un gruppetto di fascisti aderenti al Fronte Delta.

- Centinaia di ex paracadutisti aderenti all’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia che, insieme ai fascisti di Europa Civiltà, si concentrano nella palestra dell’Associazione in piazza Santa Croce in Gerusalemme e coordinati dal caporione fascista Sandro Saccucci (che ucciderà il compagno De Rosa a Sezze nel 1976).

- Altri due gruppi di Avanguardia Nazionale concentrati vicino al Viminale.

- Infine un’autocolonna di quattordici autocarri della Scuola Allievi Guardie Forestali di Cittaducale, comandata dal maggiore Luciano Berti (proveniente dalla Milizia Forestale, ex-combattente della RSI) e forte di 197 allievi armati e muniti di un lanciafiamme.

La Commissione nel rapporto approvato nel 2001, così ricostruisce l’unico episodio “bellico” del golpe, cioè l’invasione dell’armeria del Ministero degli Interni e il trafugamento delle armi che poi furono riposte nelle rastrelliere dopo il contrordine:

“Due gruppi scelti di fascisti di Avanguardia Nazionale (“Quadraro” e “Rieti”) erano appostati vicino al Viminale. Questi ultimi penetrerebbero, grazie al capitano di pubblica sicurezza Enzo Capanna (l’iniziale coinvolgimento anche del questore Umberto Federico D’Amato fatto in un appunto SID del 2 aprile 1971 verrà omesso nel rapporto Maletti del 1974) nell’armeria del Reparto Autonomo di pubblica sicurezza del Ministero dell’interno (Palazzo del Viminale). Qui, dopo aver caricato 200 mitra su un camion per distribuirli ai congiurati, si predisporrebbero ad occupare la centrale radiotelefonica del Ministero. In ora imprecisata, forse poco prima delle 24, Borghese impartisce il contrordine. Orlandini racconterà di essersi precipitato furibondo in via Sant’Angela Merici chiedendo spiegazioni e intimando a Borghese di spararsi alla testa. Il comandante gli avrebbe risposto di aver ricevuto ordini superiori. Le armi del Viminale sarebbero state scaricate dal camion e ricollocate nelle rastrelliere, tranne una che sarebbe stata trattenuta per ricordo e in seguito (secondo accertamenti giudiziari) sostituita da altra con numero di matricola contraffatto”.

Il protagonista più noto del Golpe dell’Immacolata fu il criminale di guerra, aristocratico e fascista, Junio Valerio Borghese che era stato salvato dagli apparati statali della Repubblica e ampiamente riutilizzato nella “guerra dei cinquanta anni” in funziona anticomunista.

Junio Valerio Borghese, il principe nero della Repubblica di Salò ed ex comandante del reparto militare fascista X Mas, usufruì dell’amnistia concessa da Togliatti. Fu tra i fondatori e divenne Presidente onorario del MSI sostenendo Giorgio Almirante nella scalata alla segreteria.

Successivamente ruppe con il MSI e fondò il Fronte Nazionale, cioè l’organizzazione fascista che nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 tentò un vero e proprio colpo di stato militare con la complicità di settori delle forze armate, dei carabinieri e della guardia forestale e che venne fermato all’ultimo momento da un contrordine dell’amministrazione USA.

Nel 1973 Borghese scappò nella Spagna franchista, dove morì nell’agosto del 1974 dopo essere stato nel Cile del colpo di stato ed aver incontrato il generale golpista Pinochet insieme ad un altro neofascista Stefano Delle Chiaie, dirigente di un’altra organizzazione storica della destra: Avanguardia Nazionale.

L’inchiesta sul golpe fu affidata ad un magistrato “di fiducia” strettamente legato ad Andreotti cioè il pubblico ministero Claudio Vitalone, il quale fece i primi arresti: il 18 marzo 1970 furono arrestati Sandro Saccucci, Mario Rosa e Remo Orlandini. Il 19 marzo fu spiccato un mandato di arresto nei confronti di Junio Valerio Borghese, ma il “principe nero” si era già reso latitante in un paese “amico” cioè la Spagna della dittatura di Francisco Franco.

Arrivati al processo, il 25 febbraio 1972 Orlandini, Saccucci e gli altri imputati furono scarcerati. Il primo dicembre 1973 anche le accuse a Borghese vennero archiaviate e sarebbe potuto tornare libero in Italia, ma non risulta ufficialmente che lo abbia fatto e, come abbiamo visto, risulta morto in Spagna nel 1974. Tutta l’accusa crollò: la notte dell’Immacolata del 1970 secondo la Procura di Roma non era accaduto nulla.

Ma nel 1974 altri elementi si aggiunsero a quelli già conosciuti alla traiettoria giudiziaria sul tentato golpe del 1970. In particolare un dossier del capo del Sid (il gen, Gianadelio Maletti) che lo stesso Andreotti (diventato Ministro della Difesa) consegnò alla Procura di Roma.

Il dossier fece riaprire le indagini il 10 ottobre 1974, quando vennero spiccati ventitré ordini di arresto, coinvolgendo ancora le persone già coinvolte nel tentato golpe più l’ex capo del Sid Miceli e Adriano Monti, cioè l’uomo della rete Gehlen e agente di contatto con gli Stati Uniti. Quest’ultimo negò sempre le accuse, fu scarcerato l’anno successivo per motivi di salute ma riuscì a fuggire all’estero dove rimase per dieci anni. Il 5 novembre 1975 venivano rinviate a giudizio 78 persone tra fascisti e uomini degli apparati dello Stato. Il processo iniziò il 30 maggio 1977 presso l’aula bunker del Foro Italico.

Gli imputati dovettero rispondere dei crimini di insurrezione armata, cospirazione politica mediante associazione, tentativo di sequestro di persona, furto, detenzione e porto abusivo di armi ed esplosivi.

Il processo si concluse il 29 novembre 1984 quando la Corte d’Assise assolse con formula piena gli imputati di cospirazione parlando del tentativo di golpe come un “conciliabolo” di vecchi nostalgici fascisti. La Cassazione confermò tutto il 24 marzo 1986 mettendoci una lapide sopra.

Lo abbiamo scritto e affermato con forza in tutti questi anni. Su quanto accaduto nella storia recente del nostro paese, le aule di tribunale ci potranno al massimo restituire una verità giudiziaria molto parziale e molto discutibile. Gli anni successivi al tentato golpe dell’Immacolata – il Golpe Borghese – la guerra di bassa intensità contro i comunisti e il movimento operaio è continuata con altrettanta ferocia con le stragi di Stato di Brescia, Italicus, Bologna, Treno 204, con i morti nelle piazze e la repressione. Solo quattro giorni dopo il tentato golpe dell’Immacolata, a Milano i carabinieri uccidevano in piazza il compagno Saverio Saltarelli nella manifestazione per il primo anniversario della strage di Piazza Fontana.

È per questo che sul piano della verità storica e della verità politica non si possono fare e non intendiamo fare sconti.

Fonti:

- Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi. Da pag.105 a ci sono i capitoli dedicati al Golpe dell’Immacolata

- Piazza Fontana, Una strage lunga cinquanta anni, 2019 edizioni Contropiano

- Il Giornale. Intervista a Adriano Monti

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