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05/02/2021

Il M5S alla prova del rospo sul governo Draghi

Per il M5S, il partito che più di tutti ha pagato pegno per la sua doppia esperienza di governo (prima con la Lega poi con il Pd), il sostegno al governo Draghi sarà un punto di verifica tra il passaggio ad un movimento politico civico e di governo (forse con Conte come capo politico, ndr) o subire ulteriori smottamenti e rotture, con la nascita di un punto di tenuta più coerente con le origini anti-sistema del movimento stesso.

Fonti interne al M5S non sono ottimiste su questa seconda ipotesi. Sembra agire pesantemente un combinato disposto tra l’opportunità della prosecuzione della legislatura (che può contare sul tornaconto anche personale di chi si è trovato “baciato dalla fortuna” entrando in parlamento, ndr) e la cooptazione di Conte sia nel governo, sia come figura “popolare” da piazzare come capo politico del M5S.

Insomma un movimento nato e cresciuto per contrastare i poteri forti, si ritroverebbe a fare da stampella ad un governo guidato da uno dei maggiori esponenti dei “poteri forti” della finanza e del vincolo esterno europeo.

E, per fortuna, nel M5S non tutti sono disposti a vendere l’anima.

Nel dissentire dal “baciare un rospo” decisamente pesante come il governo Draghi, appare piuttosto deciso il deputato Pino Cabras che si schiera contro il nuovo esecutivo. Secondo Cabras sul Recovery Fund il M5S è stato condotto alla narrazione e alle aspettative della cosiddetta “montagna di miliardi”. “Non c’è nessuna montagna di miliardi. C’è una montagna di condizionalità e la condizionalità si chiama Mario Draghi” – afferma Cabras – “Chi è Mario Draghi? È quello che nel 2011 scriveva una lettera al governo italiano per dettargli dieci anni di macelleria sociale? Oppure è quello che nel 2020 scriveva al Financial Times per dire che si può creare tutta la liquidità che serve per riequilibrare la crisi senza debiti insostenibili? Sappiamo che ha salvato l’euro, ma non ha sanato una sola disuguaglianza”.

Ma Cabras non è il solo. Anche il deputato M5S Bruno Ortis non ci sta: “Ora ci viene chiesto di appoggiare un governo più che tecnico, guidato da uno degli uomini-simbolo di quei poteri forti che abbiamo sempre combattuto. Mi stupisce scoprire che all’interno del mio MoVimento – in cui ho sempre creduto – vi sia qualcuno che possa immaginare di poter prendere parte ad un esecutivo che dovrà rispondere, fatalmente, proprio a quei poteri”.

Sul piano extraparlamentare a tenere il punto nel M5S contro il governo Draghi è Alessandro Di Battista che in un suo post prevede che: “Draghi, nei primi mesi di luna di miele concessa da una pubblica opinione stremata da un anno di pandemia, si dedicherà al piano vaccinale e a mettere nero su bianco un Recovery gradito ai potentati che lo incensano. Nulla più. Poi, senza colpo ferire, si farà eleggere Presidente della Repubblica. D’altro canto non avrebbe mai accettato senza questa garanzia. A quel punto ci si renderà conto che il “governo dei migliori” come già viene definito, era solo l’inizio della restaurazione. Un film già visto”. La conclusione di Di Battista è perentoria: “Opporsi a questo scenario è l’unica scelta, propriamente politica, che si possa fare”. Sarà da vedere quanti deputati e senatori del M5S si sincronizzeranno con la posizione del “Dibba”.

Una autorevole voce di dissenso verso il sostegno al governo Draghi arriva anche non da dentro ma da vicino al M5S. L’ex vicepresidente della Corte Costituzionale, Paolo Maddalena, scrive che “La figura di Draghi fa riapparire davanti agli occhi la figura di Monti, il quale oggi scrive sul Corriere della Sera, di essersi trovato in una situazione ben diversa da quella dell’attuale suo successore... è ignobile pensare che l’invito agli italiani ad accettare Draghi sia fondato su questa differenza di posizioni tra Monti e Draghi, come se gli italiani fossero dei miseri succubi dei padroni europei, cioè di Germania e Francia, Olanda, Austria, Finlandia e altri simili Paesi, molti dei quali sono anche paradisi fiscali”.

Nell’osservare le contorsioni dentro il M5S è facile rivedere quelle che ha affrontato e su cui si è auto-affondata la sinistra parlamentare (Prc, PdCI) prima con il “rospo Dini” (1995) e poi con il secondo governo Prodi (2008). Pagine tragiche, rivelatrici, definitive.

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