Quello che ho capito della rivolta sulla pubblicità del parmigiano e Renatino è che le altre pubblicità quindi direbbero cose vere? Cioè quando ti dicono che un prodotto è frutto della cura di cento artigiani o che la pasta per quei dolcetti o pizze è lievitata in 96 ore o che il proprietario della banca che t’invita a investire non pensa che a te e al tuo bene, quello è tutto vero?
Sono spot, l’antitesi del vero, se non che c’è qualcosa di molto vero nello spot di Renatino e il parmigiano. Tutti i Renatini che lavorano h24 365 giorni l’anno per pochi euro l’ora: lo sfruttamento dovrebbe fare più scandalo dello spot che esalta lo sfruttamento. Ma a noi ormai le parole fanno molta più paura dei fatti, della sofferenza vera.
Girate il contratto dell’industria alimentare a Christian Raimo, fategli conoscere un lavoratore in carne e ossa, per contare quanti Renatini materiali e non virtuali, il più delle volte immigrati, lavorano come cani e quanto prendono l’ora e come il loro problema non sia lo spot ma lo sfruttamento.
Per fare una forma di 40 chili di parmigiano servono circa 5 quintali di latte, e la forma viene venduta tra i 12 e i 24 mesi dopo la confezione e la stagionatura. Il Parmigiano Reggiano conta su 348 caseifici per 3310 allevatori, i quali pagano come forma associativa 7 euro per ogni forma prodotta. 7 euro per 3,3 milioni di forme prodotte l’anno fa 20 milioni di euro circa.
Mediamente le forme vengono vendute a 7 euro al chilo. Poi ci sono le sanzioni agli operatori che superano il limite quantitativo fissato dalle quote latte, scomparse a livello europeo ma che per il Parmigiano Reggiano sono state attribuite direttamente agli allevatori e non ai caseifici, per non far crollare i prezzi.
I 20 milioni annui sono spesi dal Consorzio del Parmigiano Reggiano in 8,4 milioni per la tutela e la vigilanza, 11 milioni invece utilizzati metà per la promozione del Parmigiano in Italia e l’altra metà per quella sul mercato estero, a cui è destinato un terzo della produzione pari a 1,1 milione di forme.
Adesso, fatti due conti, andatevi a rileggere questo articolo pubblicato sul Fatto Quotidiano del 28 giugno 2015, che comincia così: “La sveglia suona presto ogni mattina, non ci sono sabato o domenica che tengano. Si lavora con fatica 365 giorni all’anno in mezzo al fieno delle stalle o tra il vapore dei caseifici da cui escono forme di Parmigiano Reggiano…”.
Qual è allora lo scandalo, che uno spot trasformi in valore positivo lo sfruttamento o che venga esercitato lo sfruttamento? Io sono antico e penso che quello contro cui ci si dovrebbe scagliare è lo sfruttamento e non lo spot.
Il titolo rimanda a un celebre libro di Carlo Ginzburg (per Einaudi) che sempre di sapienza contadina contrapposta all’autorità ufficiale si occupa.
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