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07/04/2025

Cultura, razza, potere: una lettura utile

Le nostre città e campagne sono abitate da volti non bianchi: persone che svolgono il loro lavoro in condizioni difficili, giovani a cui non viene riconosciuta una cittadinanza che sarebbe loro diritto, sportivi e sportive che pur magari facendo parte di una squadra nazionale non vengono considerati “veri italiani” a causa della quantità di melanina contenuta nella loro pelle.

Tuttavia, la politica, in Italia, sembra non avere ancora preso coscienza del rilievo che hanno la questione coloniale e il razzismo nei meccanismi di funzionamento del capitalismo né degli intrecci specifici tra questione di classe e questione razziale.

Per tali ragioni appare utile la riedizione, a dieci anni dalla morte del suo autore, del testo Cultura, Razza, Potere, di Stuart Hall, presso la casa editrice Ombre corte (pp. 239, €20).

Stuart Hall è stato uno studioso nero, caraibico e britannico che ha lasciato una traccia importante negli studi culturali e postcoloniali; il testo di cui scriviamo raccoglie alcuni dei suoi saggi più importanti riguardanti il rapporto tra cultura e potere, l’identità nera nella diaspora e l’importanza di Gramsci per lo studio della razza e dell’etnicità. A guidare il lettore italiano è il curatore del libro, Miguel Mellino, che propone non solo una prefazione alla seconda edizione e l’introduzione già presente nella prima, ma anche una lunga intervista a Stuart Hall sul rapporto tra cultura e potere nei cultural studies.

Tema del testo è come pensare razza, razzismo e antirazzismo nel confronto teorico politico e culturale di oggi. È dunque chiaro che siamo di fronte a una serie di scritti che guardano alla situazione attuale e non solo alla definizione di temi teorici.

In questo senso risultano preziose le analisi sul thatcherismo e sul “populismo autoritario” e di quel “razzismo popolare” che vede aumentare il consenso verso le forze apertamente xenofobe che agiscono nei diversi paesi europei ma anche alla politica istituzionale dei partiti della sinistra liberale o socialdemocratica implicati nelle politiche di respingimento e controllo della fortezza europea. In questo quadro Hall rilancia l’idea d’ intendere la politica nella concezione gramsciana di lotta culturale per la guida della società.

Il razzismo viene visto da Hall come componente fondamentale della dominazione capitalista nelle società cosiddette postcoloniali cosi come un tempo in quelle direttamente coloniali. A questo proposito non si può non rilevare come l’antirazzismo europeo sia ancora caratterizzato da una dimensione maggiormente “etica” che “politica”, nel senso che le lotte antirazziste sono incentrate più sul principio di solidarietà con i gruppi “razzializzati” che non su presupposti di classe che promuovano la necessità di mutare le concrete condizioni materiali.

Una necessità che deve trovare equilibrio tra la consapevolezza che i diversi settori della forza lavoro non subiscono affatto lo stesso sfruttamento, poiché esistono forme specifiche razzializzate e l’esigenza di non frammentare ulteriormente la classe oltre gli effetti prodotti dal capitalismo in crisi.

Oggi, la modernità europea è impregnata dal “discorso” coloniale che ha una incredibile persistenza all’interno del pensiero e della cultura, anzi ne costituisce per molti versi un tratto costitutivo che condiziona le concezioni della cultura “occidentale” e la sua costruzione storica e identitaria.

Ciò porta a un suprematismo bianco che permea tutte le istanze culturali e diventa una “pratica discorsiva” che sostiene la modernità stessa. Se vogliamo tradurre questo nella politica che viviamo ogni giorno ciò significa il continuo ricorrere a valori culturali considerati prettamente “occidentali” e superiori e la negazione degli esiti della modernità capitalista: guerre, estrattivismo e distruzione dell’ambiente, genocidi, stermini coloniali e, nei territori europei, sfruttamento di mano d’opera.

A questo proposito è evidente come le persone non bianche siano spesso, nell’immaginario coloniale, considerate incapaci di accedere a professioni e posizioni sociali elevate. La visione coloniale, non manca di contaminare anche la storia del marxismo bianco europeo, spesso anch’esso eurocentrico e incapace di considerare orizzonti di pensiero provenienti da altri continenti (in questo Hall ricorda le formulazioni di Aimé Césaire o di Frantz Fanon).

Secondo Hall il razzismo non può essere concepito come un semplice pregiudizio o retaggio culturale, bensì come una “struttura del sentire” provocata e funzionale allo stato moderno: il razzismo è una cultura che ha un ruolo attivo e relativamente autonomo dal piano puramente economico. Anche in questa convinzione nasce l’incontro con Gramsci.

Hall ha studiato profondamente i Quaderni di Gramsci, nati sotto il controllo della censura carceraria, senza disporre di libri che ne sostenessero la memoria, disponendo di informazioni dall’esterno condizionate e incomplete che sono una delle ragioni della frammentarietà dell’opera del fondatore del PCd’I.

Hall propone anche un’altra lettura di tale caratteristica frammentaria del lavoro di Gramsci, cioè che egli si concepiva come un dirigente politico che faceva della “teoria” un uso volto a spiegare casi storici concreti o ad applicare concetti generali a situazioni specifiche.

Gramsci non era un teorico puro o un accademico. Il fondatore del PCd’I aveva compreso l’esigenza di sviluppare continuamente la struttura della teoria marxista nei suoi aspetti generali applicandola alle nuove condizioni storiche e ai contesti che Marx ed Engels non potevano prefigurare. In questo senso, secondo Hall, il principale contributo teorico di Gramsci sta nella complessificazione dei problemi e delle prospettive teoriche esistenti.

Hall è molto interessato all’importanza che ha il fattore culturale, secondo Gramsci, nello sviluppo della società. Per questo, Hall vede in Gramsci l’affermazione della essenzialità della cultura per la conservazione dei rapporti di produzione che non potrebbero perpetuarsi senza le “pratiche discorsive” di cui abbiamo già scritto. Pratiche che ancora oggi, nel momento di crisi profonda dello stato capitalista nella sua variante liberista costituiscono l’intreccio ideale tra capitalismo e colonialismo.

Hall individua nel pensiero di Gramsci il tentativo di sfuggire alla concezione dello stato come puro strumento economico coercitivo vedendone anche il ruolo di formazione e di adattamento delle masse alla produzione.

La lucidità con cui Stuart Hall percorre le tematiche del rapporto tra cultura razza e potere è un contributo importante in un momento, come quello attuale, in cui le pratiche discorsive e ideologiche colonialiste e suprematiste bianche appaiono riaffiorare sempre più chiaramente a sostegno del capitalismo e del colonialismo e alle politiche xenofobe e anti-migratorie costruendone il necessario supporto culturale.

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