Il Consiglio Elettorale Nazionale dell’Ecuador ha proclamato la vittoria del presidente uscente di destra Daniel Noboa alle elezioni presidenziali, dopo un netto vantaggio sulla candidata di sinistra Luisa González. Con il 92% delle urne scrutinate, Noboa ha ottenuto il 55,8% dei voti, contro il 44,1% della sfidante, con un margine superiore al milione di preferenze.
I dati, giudicati “irreversibili” dalla presidente del Consiglio elettorale Diana Atamaint, hanno segnato un divario sorprendente rispetto al primo turno dello scorso febbraio, quando Noboa superò González per poco più di 16.000 voti. L’ampiezza dello scarto ha alimentato sospetti e polemiche tra i sostenitori dell’opposizione.
González, parlando ieri sera a Quito ai suoi simpatizzanti, ha rifiutato di riconoscere la sconfitta. “È il peggiore e più grottesco broglio elettorale nella storia dell’Ecuador”, ha dichiarato, annunciando la richiesta di un riconteggio e dell’apertura delle urne. “Mi rifiuto di credere che un popolo preferisca la menzogna alla verità, la violenza alla pace e all’unità”, ha aggiunto.
Anche l’ex presidente Rafael Correa, mentore politico di González, è intervenuto sui social definendo i risultati “impossibili” e denunciando presunte irregolarità. Già nei giorni scorsi, Correa aveva lanciato l’allarme sul rischio che il governo in carica potesse rifiutarsi di lasciare il potere in caso di sconfitta.
Dall’altra parte, Noboa ha ringraziato i suoi elettori definendo il risultato “indiscutibile” e frutto del lavoro svolto soprattutto nelle sette province del litorale, dove ha concentrato la campagna con operazioni militari contro la criminalità e aiuti diretti a famiglie e imprese.
Nella capitale Quito la tensione resta alta. A Guayaquil e lungo la costa centinaia di sostenitori di Noboa sono scesi in strada tra bandiere e cori, celebrando quella che considerano una conferma della linea dura contro l’insicurezza e la crisi economica.
La proclamazione ufficiale dei risultati definitivi è attesa nei prossimi giorni. Nel frattempo, si profila un acceso braccio di ferro politico e legale attorno alla legittimità del voto.
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