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14/04/2025

La Toxic Town è fra noi

La serie TV Netflix Toxic Town (2025), scritta da Jack Thorne e Amy Trigg e diretta da Minkie Spiro, è ispirata agli avvelenamenti tossici propagatisi nella cittadina inglese di Corby dove, tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, il consiglio comunale decise lo smantellamento di un’azienda siderurgica che aveva lavorato a pieno ritmo a partire dagli anni Sessanta. Durante le operazioni di dismissione si sprigionano delle polveri tossiche che contaminano la città e i dintorni: il risultato più immediato e terribile dell’inquinamento da scorie tossiche è la nascita di diversi bambini con malformazioni. La serie racconta la battaglia legale delle madri di Corby contro il consiglio comunale a guida laburista che ha avviato la pratica di smaltimento all’insegna del risparmio ed è stato disposto a chiudere un occhio di fronte alle nocività per ottenere i fondi statali necessari alla riqualifica della cittadina.

Niente di nuovo sotto il sole, purtroppo: le vicende reali di Corby e quelle raccontate magistralmente dalla serie, ad esse ispirate, fanno parte senza mezzi termini della nostra quotidianità, anche vicino a noi. E non pensiamo soltanto al disastro di Seveso, nel lontano 1976, in tempi in cui non venivano applicate le misure di sicurezza di oggi e in cui il potere statale ha lasciato diverso tempo i cittadini all’oscuro della gravità della situazione, ma anche alla nostra quotidianità dove sono innumerevoli le città e i paesi sottoposti a pervasivo inquinamento provocato da siti industriali e siderurgici ma anche da impianti dedicati alle merci e al turismo, come i porti industriali e turistici, città sommerse quotidianamente da una raffica di fumi tossici, nerissimi, provenienti dai motori delle navi. Si crea una dialettica fra soggetti e potere, laddove sono i corpi dei soggetti a subire le manipolazioni e le macchinazioni da parte di qualsiasi potere; e quei corpi sono indifesi perché lasciati all’oscuro riguardo agli effetti immediati (tossicità, nocività di vario tipo) di quelle macchinazioni.

È interessante ricordare che, nel caso di Corby, come vediamo anche nella serie TV, il potere agisce in ombra per riqualificare la città: in un luogo riqualificato, dove si deve vivere bene, non c’è spazio per scorie tossiche e queste ultime, pure se ci sono, devono essere tacitate. È così, probabilmente, che la macchina burocratica dei poteri agisce per rendere attrattivi paesi e città, anche dal punto di vista turistico: far passare sotto silenzio qualsiasi fonte vera o presunta di inquinamento, qualsiasi nocività proveniente da smantellamenti industriali, costruire nuove abitazioni in siti pericolosi, cementificare, disboscare. La morte e il dolore arrivano dopo anni, e vanno a colpire le nuove generazioni, come nel caso di Corby, ma possono arrivare anche alla prima ondata di intenso maltempo, come spesso è avvenuto nella cronaca recente. Perché, è bene ribadirlo, gli interessi del potere non saranno mai quelli dei soggetti. E, a volte, questi ultimi, o una parte di essi, fanno il gioco del potere per un tornaconto economico o per i sempre più fantomatici “posti di lavoro”. Eh sì, per i posti di lavoro questi soggetti sono disposti ad accettare che la loro salute e quella dei figli venga irrimediabilmente compromessa. Come succede ai soggetti maschili di Corby: se sono le donne a lottare in prima fila per difendere la salute dei loro figli, i loro mariti, per difendere il buon nome delle acciaierie che hanno offerto tanto bel lavoro in passato (e molti di essi, tra l’altro, sono impiegati nei lavori di smantellamento), abbandonano e contrastano la lotta.

E allora la serie TV bene ci mostra questa dialettica impari, questo campo di forze e di lotta fra deboli e forti. Ma se i forti hanno dalla loro parte le manipolazioni e le macchinazioni, i deboli hanno la volontà di resistere e allora le dinamiche si invertono. Sono deboli ma anche forti le donne di Corby nella loro tenacia resistente – soprattutto il personaggio di Susan, interpretato da Jodie Whittaker – una tenacia segnata da colori e luminosità che caratterizzano l’universo della working class. Lo spazio prediletto per portare avanti la lotta tramite riunioni con lo stesso avvocato è il pub (luogo inglese per eccellenza di socialità e discussioni), caratterizzato da colori vivaci e da canti e voci allegre: è questo lo spazio della working class e delle sue lotte e queste ultime avvengono anche tramite un importante filtro musicale. È la musica pop rock, di cui il film è disseminato, a costituire il Leitmotiv trainante della lotta al potere. Quest’ultimo, invece, è connotato da interni bui e silenziosi, rappresi nell’ordine fittizio che esso stesso vorrebbe imprimere ad ogni ambito sociale, incanalato nei suoi rituali e nelle sue pratiche ciniche. È una lotta pressoché tutta femminile quella raccontata da Toxic Town: le donne e le madri levano alte le loro grida contro le dinamiche imposte dal potere, mentre i maschi sembrano tacitamente sottovalutare l’orrore suscitato dalle pratiche di insabbiamento sopravvalutando, invece, i benefici che possono emergere da nuove prospettive di lavoro per la loro cittadina. Le donne, in quanto madri, sembrano essersi liberate gridando alto il loro diritto di esseri umani che vogliono far crescere al meglio i propri figli; gli uomini, invece, sembrano tetre marionette del lavoro e del capitale, piegati ai deliri di un partito laburista intriso di un populismo vuoto, pronti a chinare il capo in nome di lavoro e riqualificazione.

Che possa, la lotta delle madri di Corby raccontata dalla serie TV, contagiare la realtà e il nostro quotidiano, laddove le pratiche di insabbiamento, in materia di sostanze tossiche e nocive, sono all’ordine del giorno e dove ci sono sempre più marionette disposte a sacrificare la propria salute e quella delle nuove generazioni in nome di lavoro e riqualificazione (cioè malattie e morte), offerti con sempre più ciniche blandizie dal capitale.

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