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30/01/2012

Iran: embargo petrolifero UE errore strategico

Roma, 28 gennaio 2012, Nena News – La decisione europea di dichiarare l’embargo sulle importazioni di petrolio dall’Iran «è un errore strategico», ci dice una voce importante della diplomazia iraniana, benché ora fuori dai ranghi. L’ambasciatore Seyed Hossein Mousavian, classe 1957, già capo della commisione esteri del Consiglio di sicurezza nazionale durante la presidenza Khatami, ha guidato tra il 2003 e il 2005 il negoziato tra l’Iran e tre nazioni europee sul dossier nucleare. Dopo l’elezione di Mahmoud Ahmadi Nejad alla presidenza della repubblica è rimasto come consigliere del nuovo negoziatore-capo, Ali Larijani. Nel 2007 però è stato arrestato con l’accusa di spionaggio: si parlò di una lotta di potere dietro le quinte, e l’imputazione è poi caduta; lui però è stato bandito dagli incarichi diplomatici per cinque anni. Oggi Mousavian è visiting professor all’Università di Princeton, negli Stati Uniti. Lo scorso agosto ha rotto il silenzio con una conferenza pubblica in cui sosteneva la necessità del dialogo. In questa intervista con il manifesto, realizzata via e-mail, Hossein Mousavian ammette che l’Iran è ormai in grado di costruire armi atomiche, anche se non ha intenzione di farle (mai finora la «capacità nucleare» è stata ufficialmente ammessa, e in effetti anche qui si tratta di una voce ufficiosa). E continua a sostenere la disponibilità dell’Iran al dialogo.

Come commenta la decisione europea di dichiarare l’embargo sul petrolio dell’Iran e congelare i beni della banca centrale iraniana in Europa? Pensa che le sanzioni spingeranno l’Iran a modificare la sua politica sul nucleare?
Gli europei hanno fatto un grave errore strategico. Potevano giocare un ruolo costruttivo impegnando Tehran nel dialogo: invece, questo gesto ha distrutto le fondamenta delle relazioni tra Europa e Iran nell’ultimo secolo. Le sanzioni, di ogni tipo, danneggeranno l’economia iraniana e i suoi cittadini, ma non spingeranno l’Iran a rinunciare ai suoi legittimi diritti garantiti dal Trattato di Non Proliferazione, che includono l’arricchimento dell’uranio. L’Iran ha subìto sanzioni fin dalla rivoluzione nel 1979, e questo non ha impedito al paese di fare grandi progressi nei campi del nucleare e delle tecnologie chimiche, biologiche e missilistiche.

L’embargo si accompagna allo scambio di minacce circa lo Stretto di Hormuz, mentre si moltiplicano le voci di un possibile attacco militare di Israele agli impianti nucleari iraniani. Anche negli Stati Uniti si parla di «opzione militare». Crede che il rischio di scontro militare sia reale?
Dalle ultime dichiarazioni ufficiali dei ministeri degli esteri e della difesa, l’Iran non minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz. Il rischio di attacco militare è reale, ma confido nel fatto che gli Stati Uniti non lo cercano e sono ben consapevoli che avrebbe conseguenze catastrofiche, che trascinerebbero la comunità internazionale in un caos ingestibile. Gli israeliani? non credo che attaccheranno l’Iran senza il consenso di Washington, e del resto un attacco militare all’Iran minaccerebbe più che mai l’esistenza di Israele. Nondimeno, credo che finché la politica degli Stati Uniti è fondata su «tutte le opzioni sono sul tavolo», la politica iraniana non cambierà. E lo Stretto di Hormuz sarebbe una delle vittime di un attacco militare contro l’Iran.

I cittadini occidentali si sentono dire che l’Iran vuole costruire armi nucleari, e che anche solo un Iran dotato di «capacità nucleare» sarebbe una minaccia inaccettabile. L’Iran è in grado di costruire armi atomiche? E secondo lei, Tehran continua a non volere la bomba atomica?
Posso dire con sicurezza che l’Iran non intende sviluppare armi atomiche. L’Iran è membro del Trattato di Non Proliferazione e non vuole armi nucleari. Non solo: l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Aiea, ha confermato in numerose occasioni che l’Iran non ha deviato il suo programma nucleare verso scopi bellici – mentre Israele è il solo paese in Medio Oriente che ha armi nucleari e respinge le richieste dell’Aiea e della comunità internazionale. Sì, l’Iran ha raggiunto la capacità nucleare, cioè è in grado di costruire armi atomiche se decidesse di farlo. Avere la capacità però non è in violazione del Tnp. Altri stati membri del Trattato, come il Giappone, la Germania, il Brasile e l’Argentina hanno la capacità di costruire armi atomiche e non per questo sono sotto scrutinio internazionale. Non solo: in un evidente caso di doppio standard, gli Stati Uniti e l’Occidente hanno stabilito relazioni strategiche con stati che hanno armi atomiche e non sono membri del Tnp, come India, Pakistan e Israele. Il fatto è che l’atteggiamento contraddittorio dell’Occidente sulle armi nucleari e di distruzione di massa è un disastro proprio per il futuro della non-proliferazione. Le pressioni e l’ostilità imposti l’Iran sono enormi, senza paragone con quelle fatte alla Corea del Nord: eppure Tehran è membro del Tnp e non ha bombe atomiche, mentre la Corea del Nord si è ritirata dal Trattato e ha armi nucleari. In sostanza, così l’Occidente sta dicendo all’Iran: se devi pagare un prezzo così alto, tanto varrebbe avere la deterrenza – cioè avere la bomba atomica.

In queste circostanze, vede la possibilità di una ripresa del dialogo tra l’Iran e le potenze del Consiglio di sicurezza?
Gli iraniani hanno fatto sapere di essere pronti a colloqui fondati sul mutuo rispetto, anche tra nuove sanzioni, minacce e isolamento. Di recente il ministro degli esteri iraniano Ali Akbar Salehì ha detto che Tehran è pronta a riprendere i colloqui con le sei potenze mondiali, appena saranno concordati luogo e data. I negoziati passati sono falliti perché i P5+1 ndr] non erano disposti a riconoscere i legittimi diritti dell’Iran n base al Tnp, che includono l’arricchimento. Se l’Occidente modifica questa sua posizione irrealistica, l’Iran sarà aperto alla massima trasparenza e a misure di «costruzione della fiducia». Ricordo che gli iraniani di recente avevano offerto di limitare l’arricchimento di uranio al 20% in cambio della fornitura di barre di combustibile nucleare per il Reattore di ricerca di Tehran. Questa offerta è ancora sul tavolo: e se l’Occidente si preoccupa che l’Iran possa arricchire uranio fino al livello necessario per usi bellici, questa offerta dovrebbe rassicurarli. Ancora più importante, c’è il «piano russo step by step», passo dopo passo, che copre tutte le principali richieste dell’Iran, del P5+1, e delle risoluzioni dell’Aiea e del Consiglio di sicurezza. Questo piano comporta l’implementazione del Protocollo aggiuntivo e degli Accordi sussidiari, affronta i «presunti studi militari» e anche la sospensione per un breve periodo procedere a revocare le sanzioni e normalizzare il dossier nucleare iraniano. Sia il presidente Mahmoud Ahmadi Nejad che il ministro Salehi hanno detto che l’Iran è disponibile a discuterne i dettagli. E’ un piano che può portare a una soluzione diplomatica realistica e pacifica. Ma gli Stati Uniti e l’Unione Europea l’hanno respinto.

Nel 2004 lei ha negoziato l’accordo tra l’Iran e tre nazioni europee che ha portato alla sospensione del programma di arricchimento. Tehran in seguito ha denunciato l’accordo: è stata una conseguenza del cambiamento di amministrazione in Iran dopo le presidenziali del 2005, quando è stato eletto il presidente Ahmadi Nejad?
No: dall’inizio, la sospensione del programma di arricchimento accettata da Tehran era un gesto volontario, temporaneo e non vincolante, una misura di «costruzione della fiducia». Sei mesi prima di quelle presidenziali, quando nessuno poteva immaginare che Ahmadi Nejad sarebbe divenuto presidente, avevamo già detto agli interlocutori europei che l’Iran non avrebbe tollerato una sospensione indefinita e che se loro non erano in grado di mandare avanti l’accordo Tehran avrebbe ripreso l’arricchimento a prescindere dalle conseguenze. Il legittimo diritto dell’Iran alla tecnologia nucleare, incluso l’arricchimento, è stata una linea rossa per tutte le amministrazioni iraniane, prima e dopo la rivoluzione, e lo resterà in futuro nonostante pressioni e sanzioni.

Ci può dire perché lei è stato arrestato nel 2007 – e perché dopo le presidenziali nel 2009 ha scelto di lasciare l’Iran, sia pure temporaneamente?
Nell’aprile 2008 la magistratura iraniana mi ha condannato a due anni di carcere, ora sospesi, e a cinque anni di interdizione dalle cariche diplomatiche. Io ho lasciato il paese nel luglio 2009 perché ho deciso di usare questo tempo per dedicarmi al lavoro accademico, ed è ciò che sto facendo come ricercatore alla Princeton University. Quanto alle ragioni del mio arresto, ho deciso allora di mantenere il silenzio e continuerò a farlo.

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