Roma, 28 gennaio 2012, Nena News – La decisione europea di dichiarare
l’embargo sulle importazioni di petrolio dall’Iran «è un errore
strategico», ci dice una voce importante della diplomazia iraniana,
benché ora fuori dai ranghi. L’ambasciatore Seyed Hossein Mousavian,
classe 1957, già capo della commisione esteri del Consiglio di sicurezza
nazionale durante la presidenza Khatami, ha guidato tra il 2003 e il
2005 il negoziato tra l’Iran e tre nazioni europee sul dossier nucleare.
Dopo l’elezione di Mahmoud Ahmadi Nejad alla presidenza della
repubblica è rimasto come consigliere del nuovo negoziatore-capo, Ali
Larijani. Nel 2007 però è stato arrestato con l’accusa di spionaggio: si
parlò di una lotta di potere dietro le quinte, e l’imputazione è poi
caduta; lui però è stato bandito dagli incarichi diplomatici per cinque
anni. Oggi Mousavian è visiting professor all’Università di Princeton,
negli Stati Uniti. Lo scorso agosto ha rotto il silenzio con una
conferenza pubblica in cui sosteneva la necessità del dialogo. In questa
intervista con il manifesto, realizzata via e-mail, Hossein Mousavian
ammette che l’Iran è ormai in grado di costruire armi atomiche, anche se
non ha intenzione di farle (mai finora la «capacità nucleare» è stata
ufficialmente ammessa, e in effetti anche qui si tratta di una voce
ufficiosa). E continua a sostenere la disponibilità dell’Iran al
dialogo.
Come commenta la decisione europea di dichiarare l’embargo
sul petrolio dell’Iran e congelare i beni della banca centrale iraniana
in Europa? Pensa che le sanzioni spingeranno l’Iran a modificare la sua
politica sul nucleare?
Gli europei hanno fatto un grave errore strategico. Potevano giocare
un ruolo costruttivo impegnando Tehran nel dialogo: invece, questo gesto
ha distrutto le fondamenta delle relazioni tra Europa e Iran
nell’ultimo secolo. Le sanzioni, di ogni tipo, danneggeranno l’economia
iraniana e i suoi cittadini, ma non spingeranno l’Iran a rinunciare ai
suoi legittimi diritti garantiti dal Trattato di Non Proliferazione, che
includono l’arricchimento dell’uranio. L’Iran ha subìto sanzioni fin
dalla rivoluzione nel 1979, e questo non ha impedito al paese di fare
grandi progressi nei campi del nucleare e delle tecnologie chimiche,
biologiche e missilistiche.
L’embargo si accompagna allo scambio di minacce circa lo
Stretto di Hormuz, mentre si moltiplicano le voci di un possibile
attacco militare di Israele agli impianti nucleari iraniani. Anche negli
Stati Uniti si parla di «opzione militare». Crede che il rischio di
scontro militare sia reale?
Dalle ultime dichiarazioni ufficiali dei ministeri degli esteri e
della difesa, l’Iran non minaccia di chiudere lo Stretto di Hormuz. Il
rischio di attacco militare è reale, ma confido nel fatto che gli Stati Uniti non lo cercano e sono ben consapevoli che avrebbe conseguenze
catastrofiche, che trascinerebbero la comunità internazionale in un caos
ingestibile. Gli israeliani? non credo che attaccheranno l’Iran senza
il consenso di Washington, e del resto un attacco militare all’Iran
minaccerebbe più che mai l’esistenza di Israele. Nondimeno, credo che
finché la politica degli Stati Uniti è fondata su «tutte le opzioni
sono sul tavolo», la politica iraniana non cambierà. E lo Stretto di
Hormuz sarebbe una delle vittime di un attacco militare contro l’Iran.
I cittadini occidentali si sentono dire che l’Iran vuole
costruire armi nucleari, e che anche solo un Iran dotato di «capacità
nucleare» sarebbe una minaccia inaccettabile. L’Iran è in grado di
costruire armi atomiche? E secondo lei, Tehran continua a non volere la
bomba atomica?
Posso dire con sicurezza che l’Iran non intende sviluppare armi
atomiche. L’Iran è membro del Trattato di Non Proliferazione e non vuole
armi nucleari. Non solo: l’Agenzia internazionale per l’energia
atomica, Aiea, ha confermato in numerose occasioni che l’Iran non ha
deviato il suo programma nucleare verso scopi bellici – mentre Israele è
il solo paese in Medio Oriente che ha armi nucleari e respinge le
richieste dell’Aiea e della comunità internazionale. Sì, l’Iran ha
raggiunto la capacità nucleare, cioè è in grado di costruire armi
atomiche se decidesse di farlo. Avere la capacità però non è in
violazione del Tnp. Altri stati membri del Trattato, come il Giappone,
la Germania, il Brasile e l’Argentina hanno la capacità di costruire
armi atomiche e non per questo sono sotto scrutinio internazionale. Non
solo: in un evidente caso di doppio standard, gli Stati Uniti e
l’Occidente hanno stabilito relazioni strategiche con stati che hanno
armi atomiche e non sono membri del Tnp, come India, Pakistan e Israele.
Il fatto è che l’atteggiamento contraddittorio dell’Occidente sulle armi
nucleari e di distruzione di massa è un disastro proprio per il futuro
della non-proliferazione. Le pressioni e l’ostilità imposti l’Iran sono
enormi, senza paragone con quelle fatte alla Corea del Nord: eppure
Tehran è membro del Tnp e non ha bombe atomiche, mentre la Corea del
Nord si è ritirata dal Trattato e ha armi nucleari. In sostanza, così
l’Occidente sta dicendo all’Iran: se devi pagare un prezzo così alto,
tanto varrebbe avere la deterrenza – cioè avere la bomba atomica.
In queste circostanze, vede la possibilità di una ripresa del dialogo tra l’Iran e le potenze del Consiglio di sicurezza?
Gli iraniani hanno fatto sapere di essere pronti a colloqui fondati
sul mutuo rispetto, anche tra nuove sanzioni, minacce e isolamento. Di
recente il ministro degli esteri iraniano Ali Akbar Salehì ha detto che
Tehran è pronta a riprendere i colloqui con le sei potenze mondiali,
appena saranno concordati luogo e data. I negoziati passati sono falliti
perché i P5+1 ndr] non erano disposti a riconoscere i legittimi diritti
dell’Iran n base al Tnp, che includono l’arricchimento. Se l’Occidente
modifica questa sua posizione irrealistica, l’Iran sarà aperto alla
massima trasparenza e a misure di «costruzione della fiducia». Ricordo
che gli iraniani di recente avevano offerto di limitare l’arricchimento
di uranio al 20% in cambio della fornitura di barre di combustibile
nucleare per il Reattore di ricerca di Tehran. Questa offerta è ancora
sul tavolo: e se l’Occidente si preoccupa che l’Iran possa arricchire
uranio fino al livello necessario per usi bellici, questa offerta
dovrebbe rassicurarli. Ancora più importante, c’è il «piano russo step
by step», passo dopo passo, che copre tutte le principali richieste
dell’Iran, del P5+1, e delle risoluzioni dell’Aiea e del Consiglio di
sicurezza. Questo piano comporta l’implementazione del Protocollo
aggiuntivo e degli Accordi sussidiari, affronta i «presunti studi
militari» e anche la sospensione per un breve periodo procedere a
revocare le sanzioni e normalizzare il dossier nucleare iraniano. Sia il
presidente Mahmoud Ahmadi Nejad che il ministro Salehi hanno detto che
l’Iran è disponibile a discuterne i dettagli. E’ un piano che può
portare a una soluzione diplomatica realistica e pacifica. Ma gli Stati Uniti e l’Unione Europea l’hanno respinto.
Nel 2004 lei ha negoziato l’accordo tra l’Iran e tre nazioni
europee che ha portato alla sospensione del programma di arricchimento.
Tehran in seguito ha denunciato l’accordo: è stata una conseguenza del
cambiamento di amministrazione in Iran dopo le presidenziali del 2005,
quando è stato eletto il presidente Ahmadi Nejad?
No: dall’inizio, la sospensione del programma di arricchimento
accettata da Tehran era un gesto volontario, temporaneo e non
vincolante, una misura di «costruzione della fiducia». Sei mesi prima di
quelle presidenziali, quando nessuno poteva immaginare che Ahmadi Nejad
sarebbe divenuto presidente, avevamo già detto agli interlocutori
europei che l’Iran non avrebbe tollerato una sospensione indefinita e
che se loro non erano in grado di mandare avanti l’accordo Tehran
avrebbe ripreso l’arricchimento a prescindere dalle conseguenze. Il
legittimo diritto dell’Iran alla tecnologia nucleare, incluso
l’arricchimento, è stata una linea rossa per tutte le amministrazioni
iraniane, prima e dopo la rivoluzione, e lo resterà in futuro nonostante
pressioni e sanzioni.
Ci può dire perché lei è stato arrestato nel 2007 – e perché
dopo le presidenziali nel 2009 ha scelto di lasciare l’Iran, sia pure
temporaneamente?
Nell’aprile 2008 la magistratura iraniana mi ha condannato a due anni
di carcere, ora sospesi, e a cinque anni di interdizione dalle cariche
diplomatiche. Io ho lasciato il paese nel luglio 2009 perché ho deciso
di usare questo tempo per dedicarmi al lavoro accademico, ed è ciò che
sto facendo come ricercatore alla Princeton University. Quanto alle
ragioni del mio arresto, ho deciso allora di mantenere il silenzio e
continuerò a farlo.
Fonte.
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