A Damasco regna la calma. Una calma che é solo apparente. Abu Samer, proprietario di un piccolo chiosco, che vende menaish (focacce) nel quartiere centrale di Babtuma, é da mesi ormai che alle sei del pomeriggio torna a casa.
”Le strade di sera sono vuote e ritornare tardi diventa sempre più
pericoloso”, racconta pensando a come farà a pagare i debiti che gli
restano, visto che le vendite si sono più che dimezzate da quando é
iniziata la rivoluzione.
”I
servizi segreti del regime controllano i vari quartieri della capitale
sopratutto le strade che dal centro di Damasco portano verso la
periferia”, racconta Yassin, 23 anni, che da mesi ormai non riesce a
seguire i corsi alla facoltà di lettere all’Università di Damasco dove é
iscritto da tre anni. A marzo gli mancavano solo tre esami per finire e
poi si sarebbe dovuto sposare, racconta, ”ma nella rivoluzione non c’é
tempo nemmeno per l’amore”, dice ironico.
”Il regime presto
cadrà”, é questo un ritornello che accomuna le tante conversazioni avute
con alcuni residenti di Damasco, una certezza questa che però spalanca
le porte dell’ignoto o forse dell’inferno.
Abu Ahmad, un
impiegato di 50 anni, racconta preoccupato: ”Siamo certi che il regime
sta utilizzando le ultime carte a disposizione, ma purtroppo abbiamo
anche paura che con la caduta del Ba’ath e di Bashar al-Assad sarà un
intero Paese a sprofondare in una guerra che potrebbe essere molto
lunga”.
E’ questo quello che pensa la maggior parte delle persone
intervistate, soprattutto notando come nelle ultime settimane le notizie
che arrivano da Homs e da Hama, le due città più martoriate, assieme a
Deraa dall’inizio di questa rivoluzione dieci mesi fa, sono sempre più
atroci e drammatiche.
”La situazione si fa sempre più difficile,
il caos ormai é dappertutto e la paura di un conflitto civile e’ sempre
più reale”, racconta Ahmad, un commerciante di 40 anni mentre Yussef, un
suo amico gli ricorda: “Ma siamo gia in una guerra civile non vedi che
ad Homs e ad Hama la gente si ammazza tra di loro?”.
Un guerra che
si delinea su confini confessionali ma anche e forse soprattutto su
divisioni politiche. Appartenenza. ”Non é uno scontro tra sunniti e
alawiti”, ci tiene a precisare Khalil Ibrahim, docente di sociologia
all’Università di Damasco. ”Bisogna tener presente che la maggior parte
della comunità sunnita che vive a Damasco e ad Aleppo, le due grandi
citta’ siriane, sono col regime per ovvii interessi economici”.
La
maggior parte della gente che vive a Damasco ha parenti o amici ad Hama
e ad Homs, e visto che non è cosi facile mettersi in macchina e uscire
dalla capitale la maggior parte delle rassicurazioni e delle
informazioni passano via telefono, quando l’elettricità e le linee
telefoniche lo permettono. “Cerco di chiamare mia sorella anche più
volte al giorno”, spiega Afif, un residente di Damasco che ha una
sorella ad Homs. ”Al telefono la conversazione é surreale perché mia
sorella non può raccontare niente a parte parlare del meteo e di cosa ha
mangiato. Tutte le linee sono controllate ma a me basta sentire la sua
voce per capire che lei sta bene”.
Se la maggior parte della gente
si arma per difendersi c’é anche, però, chi rifiuta di prendere le armi
e continua a manifestare pacificamente.
La sensazione che Bashar
al-Assad questa volta non perdonerà spinge molti a continuare la
rivolta. “Non abbiamo scelta ci saranno altri morti, ma anche se ci
fermassimo adesso ce ne sarabbero altri. Assad non perdonerà nessuno,
nel 1982 non sono stati soli i Fratelli Musulmani ad essere uccisi ad
Hama, ma anche i loro familiari e i loro vicini e tutti quelli che il
regime accusava di collaborare con loro, crisitiani inclusi”. Non ha
pietà, il Ba’ath, questo i siriani lo sanno bene ormai.
Fonte.
Di questo passo l'intero Medio Oriente farà la medesima fine delle rose di Damasco.
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