Standard & Poor's - presa di mira in passato dall’ex presidente francese Valéry Giscard
d'Estaing quando parlò di "laboratori"
che destabilizzano l'economia europea - perpetua una strategia di
diversione, degradando il credito dei nove paesi dell'Eurozona tra cui
Francia, Italia, Portogallo, Austria e Spagna. L'agenzia finanziaria
Standard & Poor's, criticata da un decennio per la sua incapacità
di prevedere il collasso di Enron, di Lehman Brothers e più recentemente di MF Global,
ha provocato uno shock psicologico in Francia a cento giorni
dall'elezione presidenziale, e gli effetti di questa "degradazione"
vengono amplificati da una certa drammatizzazione mediatica.
Se si aderisce alla lettura degli avvenimenti
fatta da Valéry Giscard d'Estaing, dal ricercatore Emmanuel Todd o dalla presidentessa del MEDEF Laurence Parisot,
la guerra psicologica condotta contro l'Europa dai "laboratori"
anglosassoni e dalle loro staffette mediatiche e speculative è salita di
intensità, con l’eurozona che viene presa di mira nel suo insieme.
Tuttavia, dall'altro lato dell'oceano Atlantico, gli Stati Uniti – che
nonostante le difficoltà strutturali sono ancora il primo potere
mondiale sul piano finanziario, militare, culturale ed economico –
devono farsi carico di un indebitamento nazionale superiore ai 15
trilioni di dollari, per un debito totale che rasenta i 56 trilioni,
secondo i dati officiali del conteggio
nazionale dell'indebitamento degli Stati Uniti.
Visto questo debito gigantesco,
possiamo affermare con sicurezza che, nell'ipotesi in cui il sistema dei
petrodollari dovesse crollare a causa della diversificazione monetaria
negli scambi commerciali e petroliferi internazionali, gli Stati Uniti,
in quanto stato federale, fallirebbero e si troverebbero de facto in categoria D ("In default"), qualunque sia la posizione delle agenzie di rating. In questo contesto, i generali del Pentagono, che rappresentano l'onnipotente complesso
militare-finanziario-energetico
degli Stati Uniti, non possono accettare la politica di abbandono del
dollaro come moneta di scambio per il petrolio che è condotta dall'Iran,
dato che costituisce una minaccia vitale contro il sistema dei
petrodollari.
Di conseguenza, tutto porta a credere
che i generali del Comitato dei capi di Stato Maggiore Inter-armi del
Pentagono (JCS) vadano a pianificare un conflitto armato contro l'Iran,
come indicano le ultime dichiarazioni del generale Dempsey - che dirige il JCS - e di Leon Panetta, il segretario alla Difesa all'origine del recente inasprimento dialettico nei confronti dell'Iran (dopo l'offensiva economica, psicologica e strategica attuale).
Oggi, gli Stati Uniti stanno esprimendo nei confronti dell'Iran una guerra economica totale,
accompagnata da movimenti militari su grande scala. Questo schieramento
strategico è imperniato sul posizionamento prossimo di almeno due
portaerei statunitensi nel golfo Persico (l'USS Carl Vinson che dovrebbe sostituire l'USS John Stennis, prima di essere raggiunta dall’USS
Abraham Lincoln). Questa importante pianificazione sta togliendo il sonno al comandante in capo dell'US Navy, l'ammiraglio Jonathan Greenert, in base alle sue dichiarazioni pubbliche.
Dal naufragio dell'USS Maine nel porto
della Cuba nel 1898, il cui sfruttamento mediatico provocò la guerra
ispano-americana, passando ai misteriosi incidenti nel Golfo del Tonchino
del 4 agosto 1964 che gettarono gli Stati Uniti nella guerra contro il
Vietnam del Nord, la storia militare degli Stati Uniti resta macchiata
di zone d’ombra quando si valutano gli incidenti navali come casus belli, e più generalmente le giustificazioni che precipitano le forze armate statunitensi nelle loro recenti guerre.
Sapendo che Dick Cheney aveva pensato, secondo Seymour Hersh, a organizzare un attacco false flag contro le navi della Quinta flotta degli Stati Uniti - arrivando a considerare un'operazione contro la flotta USA da
parte dei Navy Seals travestiti da Guardie Rivoluzionarie
iraniane vicino allo stretto di Hormuz - una provocazione navale
immediatamente attribuita all’Iran potrebbe essere sufficiente per
scatenare il potere militare degli Stati Uniti contro un Iran
determinato a resistere. Sembrerebbe che simili provocazioni siano in corso nel momento in cui queste righe vengono scritte.
Comunque sia, si potrebbe pensare che
non reagendo militarmente alla politica estera dell'Iran, gli alti
responsabili degli Stati Uniti avrebbero molto da temere dal cedimento
del sistema dei petrodollari rispetto a una guerra contro l'Iran, viste
le conseguenze ancora incalcolabili nel contesto economico e finanziario
particolarmente volatile (in qualche modo propizio agli aumenti
costanti del prezzo degli idrocarburi). Senza sorpresa, le
petromonarchie del Golfo
e Israele sostengono apertamente questa guerra.
Comunque sia, attraverso la politica estera iraniana, lo status quo dei petrodollari sembra davvero minacciato. Oggi la Cina acquista il petrolio iraniano in euro, e gli Stati Uniti non sembrano in grado di influire sulla politica cinese nei confronti dell'Iran, visto che le relazioni cino-iraniane datano dal periodo pre-islamico, sin dal primo secolo avanti Cristo. L'India sta realizzando un sistema di scambio del petrolio in rupie. Infine, la Russia si prepara a mettere in opera un accordo di scambi petroliferi e commerciali in rial e in rubli.
Come già fatto alcuni mesi fa con la Russia,
la Cina ha adottato anche col Giappone un sistema di scambi energetici e
commerciali centrati sulle proprie monete. La supremazia del dollaro
come moneta di riserva internazionale è indiscutibilmente messa a
repentaglio. Il sistema dei petrodollari imposto da decenni è ancora
più pericolosamente messo in discussione dalla politica di affermazione
di potere continuamente perseguita dall'Iran.
Come scritto con precisione da Peter Dale Scott all'alba del conflitto che ha distrutto la Libia, "la
domanda del petrolio è legata strettamente a quella del dollaro, perché
lo status del dollaro come moneta di riserva mondiale dipende in larga
parte dalla decisione dell'OPEC di stipulare gli acquisti del petrolio
dell'OPEC in dollari. L'economia attuale dei petrodollari si basa su due
accordi segreti approvati negli anni ’70 coi sauditi per riciclare i
petrodollari nell'economia degli Stati Uniti. Il primo di questi accordi
assicurava un apporto speciale e duraturo dell'Arabia Saudita nella
tenuta in salute del dollaro statunitense; il secondo assicurava un
sostegno saudita continuato per la formulazione dei prezzi del petrolio
dell'OPEC in dollari. Questi due accordi garantivano che l'economia
degli Stati Uniti non sarebbe stata indebolita dai rialzi di prezzo del
petrolio dell'OPEC. Questo pesante fardello risale ad allora, con le
economie dei paesi meno evoluti che devono acquistare dollari per le
loro forniture di petrolio. Come evidenziato da Ellen Brown, prima
l’Iraq e poi la Libia decisero di sfidare il sistema dei petrodollari
per porre fine alle vendite di petrolio con questa moneta, ed entrambi vennero attaccati."
Oggi, l'Iran sembra essere il
"bersaglio" dei pianificatori militari del Pentagono. Tuttavia, questo
paese ha appena dimostrato che è capace di poter chiudere l'arteria principale di un'economia mondiale fragile e instabile: lo stretto di Hormuz.
Fonte.
L'Iran è solo l'inizio di una lunga serie di guerre degli USA contro i suoi nemici geopolitici. La domanda che mi pongo è: seguirà l'Europa la folle politica estera americana? E a quale prezzo? Ci conviene o no? Sono domande che ogni persona dotata di senno dovrebbe porsi.
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