Probabilmente si tratta dell'ormai consueto show nel quale
statunitensi e iraniani mostrano i muscoli minacciando reciproche
rappresaglie. Teheran non ha nessun interesse a bloccare lo Stretto di
Hormuz attraverso il quale transita anche buona parte del suo greggio e
il blocco alle importazioni varato dalla Ue
rischia di creare più problemi e danni economici a Italia, Grecia e
Spagna che all'Iran che potrà dirottare verso l'India e l'Asia il
petrolio destinato all'Europa.
Anche sul piano politico il regime
iraniano non ha nessun interesse a bloccare Hormuz, azione che
pregiudicherebbe il supporto di Mosca e verrebbe considerata dalla
comunità un atto di guerra che offrirebbe così su un piatto d'argento a
Israele, Paesi arabi del Golfo e Stati Uniti l'opportunità di condurre
raids anche contro i suoi siti nucleari. Per tutte queste ragioni il passaggio dello Stretto
da parte della portaerei statunitense Lincoln (una delle tre inviate da
Washington nell'Oceano indiano), avvenuto ieri, non dovrebbe provocare
reali escalation anche se poche settimane or sono il transito della
gemella Stennis determinò la minaccia iraniana di attaccare le portaerei
americane in entrata nel Golfo.
Ciò nonostante non mancano i toni aggressivi. L'ex ministro iraniano
dell'Intelligence, Ali Fallahian, ha proposto di "sconvolgere i piani
europei", bloccando le esportazioni di petrolio verso l'Occidente prima
che questo si organizzi per soddisfare per altre vie il suo fabbisogno
interno. La reazione più dura è stata quella del vice presidente della
commissione Esteri e Sicurezza nazionale del parlamento iraniano,
Mohammad Kossari. "Se ci sarà qualsiasi perturbazione della vendita di
petrolio iraniano, lo Stretto di Hormuz sarà chiuso definitivamente", ha
tuonato, ribadendo la minaccia arrivata già nelle scorse settimane da
vari esponenti del regime iraniano. Per il ministro della Difesa
italiano, Giampaolo Di Paola, "chiudere lo Stretto sarebbe una
violazione del diritto internazionale" e "dolorosamente significherebbe
chiudere oltre il venti per cento del petrolio mondiale che passa da
Hormuz". La "carta dell'uso della forza" contro l'Iran "è sempre sul
tavolo" ma l'Italia ritiene che si tratterebbe di un'opzione "fortemente
devastante per tutta la regione" ha dichiarato alla Cnn il ministro
degli Esteri, Giulio Terzi.
Ma l'Iran è in grado di bloccare realmente lo stretto?
Sul piano militare si, anche se le conseguenze belliche sarebbero
devastanti per Teheran che non potrebbe tenere testa alla reazione di
Stati uniti e alleati.
Fin dalla guerra contro l'Iraq (1980-88) e dal confronto navale con gli Stati Uniti del 1988
la marina iraniana ha sviluppato mezzi e tattiche utili a combattere le
flotte occidentali e a minacciare il transito delle petroliere nel
Golfo Persico. La sua flotta dispone di poche navi d'altura del tipo
fregate e corvette che peraltro verrebbero rapidamente individuate e
distrutte in caso di guerra. Rispetto alle battaglie del 1988
i veri punti di forza dell'Iran sono rappresentati dai tre sottomarini
del tipo russo Kilo e dalla ventina di minisommergibili e sottomarini
costieri di origine nordcoreana (poi replicati in Iran) con i quali
sarebbe molto facile seminare mine lungo i due corridoi dello Stretto di
Hormuz accessibili alle navi di grande tonnellaggio larghi appena sei
miglia e lunghi 90. Un collo d'imbuto nel quale mine navali (l'Iran ne
avrebbe almeno 2mila) , siluri e soprattutto una pioggia di missili
antinave potrebbero provocare seri danni non solo alle petroliere ma
anche alle navi da guerra più moderne i cui sistemi di scoperta e
autodifesa verrebbero facilmente saturati da attacchi ravvicinati
provenienti dalle coste iraniane. Del resto la Marina statunitense ha
una flotta di cacciamine limitata a 14 unità (4 delle quali assegnate
alla 5a Flotta in Bahrein) che in caso di guerra a Hormuz dovrebbero
venire affiancate da navi simili dei Paesi arabi e soprattutto europei
(francesi, britannici e italiani dispongono delle flotte antimine più
capaci e moderne) destinate ad operare molto vicino alle coste iraniane
per ripulire il mare dagli ordigni esponendosi così ad attacchi aerei e
navali.
Insomma, la battaglia per Hormuz non sarebbe una passeggiata e come
sottolinea l'analista navale Giuliano Da Frè "proprio nelle acque del
Golfo Persico gli statunitensi hanno subito i danni più rilevanti alle
loro unità d'altura come la fregata Stark semidistrutta nel 1987
per errore da un missile antinave iracheno Exocet e la gemella Roberts
colpita l'anno successivo da una mina iraniana mentre durante la guerra
del Golfo del 1991 furono l‘incrociatore Princeton e la portaelicotteri
Tripoli a subire seri danni a causa delle mine irachene di origine russa
e italiana".
La marina iraniana e quella "parallela" dei pasdaran schierano due dozzine di motovedette dotate di missili cinesi
C-701, C-801 e C-802 con un raggio d'azione compreso tra i 15 e i 120
chilometri costruiti anche in Iran. Armi disponibili anche per il lancio
dai jet Phantom, Sukhoi 24 ed elicotteri oltre che da batterie costiere
mobili- Uno dei C-802 che l'Iran consegnò ai miliziani Hezbollah colpì
la corvetta israeliana Hanit durante la guerra libanese del 2006.
A
questi mezzi si aggiungono almeno 300 motoscafi e barchini gestiti dai
Guardiani della rivoluzione che potrebbero condurre azioni di disturbo e
suicide contro navi militari e petroliere partendo da navi-madre
mascherate da innocui mercantili o dalle numerose piattaforme
petrolifere presenti nel Golfo e in parte non più attive.
Fonte.
La situazione è sempre più incandescente se pure il Sole24 Ore si lancia in analisi e conclusioni (alcune discutibili a partire dal costante predominio che gli USA dovrebbero avere dovunque) geopolitiche di questa portata.
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