“Immagina il tuo internet provider che controlla tutto ciò che fai
online. Immagina farmaci generici, che potrebbero salvare delle vite,
messi al bando. Immagina semi che potrebbero nutrire migliaia di persone
tenuti bloccati nel nome dei brevetti? Tutto questo diventerà realtà
con Acta: l’accordo commerciale anti-contraffazione negoziato in segreto da 39 Paesi”.
Dal
26 gennaio questa inquietante prospettiva, descritta in un video di
denuncia che circola in rete*, da giovedì ha iniziato a tradursi in
realtà. Giovedì scorso a Tokyo
i rappresentanti di 22 Paesi europei, tra cui l’Italia, hanno firmato
l’adesione all’Acta, che dovrà essere ratificata l’11 giugno dal
Parlamento europeo. Usa, Cana, Giappone, Australia e altri hanno già
aderito lo scorso ottobre. Per l’Italia, a nome del ministro degli
Esteri ‘tecnico’ Giulio Terzi, la firma è stata apposta
dall’ambasciatore Vincenzo Petrone.
Di questo ‘monstrum’
legislativo internazionale si è parlato molto poco (il testo
dell’accordo è rimasto segreto per un anno e mezzo, inaccessibile perfino al Parlamento europeo)
nonostante le pesanti limitazioni che, una volta in vigore, esso avrà
sulla privacy e la libertà degli utenti di internet e sul diritto alla
salute e al cibo: diritti fondamentali che verranno sacrificati in nome
della tutela dei diritti d’autore e dei brevetti gestiti dalle
multinazionali dell’industria musicale, cinematogarfica, farmaceutica e
agroalimentare. In una parola, in nome del profitto.
Non è un caso
che, in coincidenza con la firma di Tokyo, il relatore dell’Acta per il
Parlamento europeo, l’europarlamentare socialista francese Kader Arif,
si sia clamorosamente dissociato e dimesso dal suo incarico, “allertando
l’opinione pubblica” e denunciando “nel modo più vivo” la “mancanza di
trasparenza nei negoziati” che hanno portato a un accordo che “può avere
grosse conseguenze sulla vita dei nostri concittadini” e che “pone
problemi per l’impatto sulle libertà civili, per le responsabilità che
si fanno gravare sui provider, per le conseguenze che avrà sulla
fabbricazione di medicinali generici”.
Grandi Ong internazionali, come Oxfam e Action Aid,
hanno pubblicamente denunciato il devastante impatto che l’Acta avrebbe
sulla produzione e commercializzazione di farmaci e vaccini generici a
basso costo, massicciamente utilizzati nei Paesi poveri. Stesso discorso
per la libertà di utilizzo di sementi e prodotti agricoli brevettate
dalle multinazionali del settore.
Ma l’effetto dell’Acta che tocca
più da vicino i cittadini italiani ed europei riguarda la privacy e la
libertà degli utenti di internet. L’accordo, infatti, rende le aziende
che offrono accesso alla rete (in Italia, ad esempio, Telecom, Vodafone, Infostrada, Tiscali, Tele2, Fastweb,
ecc.) legalmente responsabili per ciò che fanno i loro utenti online
non di fronte alla magistratura nazionale, ma di fronte alle
multinazionali titolari di diritti d’autore.
A questi soggetti
privati l’Acta riconosce il potere di agire direttamente, senza
autorizzazione di un giudice, a tutela dei propri interessi commerciali,
facendosi consegnare dai provider informazioni per l’identificazione
dei loro utenti sospettati di violazione del copyright. In quanto
legalmente corresponsabili della condotta dei loro utenti, i provider
saranno spinti a monitorare preventivamente e costantemente l’attività
di tutti i loro utenti.
Ricorrendo a sistemi di filtraggio degni
delle peggiori dittature, le aziende che offrono accesso alla rete si
trasformeranno così in poliziotti del web al sevizio delle
multinazionali titolari dei diritti, censurando le proprie reti per
evitare guai legali, con evidenti conseguenze sulla riservatezza e la
libertà di espressione degli utenti.
L’accordo Acta è, in
sostanza, la versione globale delle proposte di legge statunitensi Sopa e
Pipa (contro cui lo scorso 18 gennaio è stato indetto il primo sciopero del web della storia),
con l’aggravante di riguardare anche i brevetti farmaceutici e
agroalimentari e di essere stato negoziato senza alcuna trasparenza, il
che non è mai un buon segnale.
L’adesione all’Acta dei Paesi europei ha scatenato proteste in rete (in Italia Agorà Digitale ha lanciato una petizione online). Solo in Polonia la mobilitazione è uscita dal mondo virtuale con grandi manifestazioni di piazza e un’originale iniziativa dei parlamentari dell’opposizione di sinistra, che hanno indossato in aula maschere di V per Vendetta.
Fonte.
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