Nel 2011, in Germania il numero delle persone con un impiego ha fatto registrare un record. I liberali lo considerano un effetto del dinamismo dell’economia tedesca. In realtà, il paese porta avanti una politica sociale che finanzia il mantenimento dell’impiego e la riduzione delle ore di lavoro e che non deve nulla ad Angela Merkel. O a come lo Stato aiuti le imprese e il potere d’acquisto...
I dati pubblicati lunedì 2 gennaio dall’Ufficio federale di statistica tedesco si sono diffusi con la rapidità del fulmine. Se si crede ad un comunicato dell’Agenzia France Presse, il numero delle persone con un impiego in Germania ha registrato nel 2011 un record, oltrepassando per la prima volta la soglia di 41 milioni. In media, 41,04 milioni dei residenti in Germania, cioè uno su due, l’anno scorso lavoravano, un aumento di 535.000 unità o dell’1,3% in un anno.
Una prima spiegazione, un po’ breve, fornita da certi economisti: il mercato del lavoro tedesco ha approfittato della ripresa dinamica dell’economia del paese dopo la recessione del 2009 e si dimostra in piena forma. Conseguenza diretta, il tasso di disoccupazione è sceso al di sotto della soglia del 7%, il livello più basso da più di venti anni. Tuttavia, la Germania, che ha conosciuto nel 2009 una crisi economica due volte più grave di quella francese e ha subito in pieno il crollo delle esportazioni, come ha potuto mantenere un tasso di disoccupazione a questo livello?
Una parte della spiegazione risiede nel Kurzarbeit (riduzione dell’orario), una politica sociale volta a promuovere la protezione dei posti di lavoro. Si tratta di un programma pubblico grazie al quale un datore di lavoro e il suo personale (in genere sindacalizzato) possono concordare la riduzione delle ore di lavoro (e di conseguenza il salario) e in cui, con un impegno da parte del datore di lavoro di mantenere i suoi salariati, lo Stato accetta di versare una integrazione al reddito dei salariati interessati dal provvedimento. Una politica che non è la panacea ma che si contrappone a quella condotta da Nicolas Sarkozy, il quale preferisce finanziare le ore supplementari per una spesa di oltre 3 miliardi d’euro all’anno.
Un comunicato dell’agenzia Reuters pubblicato nel febbraio 2009 chiariva in dettaglio il funzionamento di questo Kurzarbeit, spiegando in particolare che la cancelliera Angela Merkel ne aveva modificato il regolamento (e non a favore dei salariati), «la cui origine risale al 1910, riducendo gli oneri finanziari che gravano sulle imprese e sopprimendo un certo numero di carichi amministrativi»:
Le
imprese sono riuscite per il momento a evitare licenziamenti in massa
utilizzando un provvedimento legislativo che consente di ridurre la
durata dell’orario di lavoro per un massimo di 18 mesi. Il testo di
legge che ha ammorbidito le condizioni di attuazione di questa
disposizione è stato sostenuto dai sindacati e ha permesso di ridurre le
tensioni sociali ammortizzando lo choc della crisi economica e
finanziaria.
“La crisi ha risvegliato i sindacati
tedeschi, che si erano un po’ assopiti nel corso del mandato Schröder.
Hanno incontrato la cancelliera Angela Merkel per esigere che il
licenziamento divenisse l’ultima soluzione e che la regola generale
fosse di mantenere il massimo di salariati, il massimo delle competenze
nell’impresa sviluppando quanto più possibile il Kurzarbeit”, spiega
l’economista Pierre Larrouturou in un recente libro Pour éviter le krach ultime
(Nova éditions, 2011).
Così, lo Stato finanzia il reddito dei salariati secondo il principio seguente: “Invece
di licenziare il 20% dei propri effettivi, un’impresa che vede calare
il suo volume d’affari del 20% ridurrà le ore di lavoro del 20% e
manterrà tutti i salariati. Con ogni probabilità il salario si abbasserà
ma lo Stato è presente a sostegno del reddito”, aggiunge Pierre Larrouturou.Ecco ciò che, in un blog sul sito di Mediapart, datato 3 gennaio 2011, sosteneva Pierre-Alain Muet, deputato di Lione del Partito Socialista, ex presidente delegato del Consiglio di analisi economica:
La
Germania, che affronta con pragmatismo la questione dell’orario di
lavoro, ha ridotto massicciamente le ore di lavoro e stimolato con
grande forza la disoccupazione parziale – la cui denominazione
pertinente è il termine tedesco Kurzarbeit (riduzione dell’orario). La
Francia, invece, si è concessa il lusso, in questa crisi, di
sovvenzionare tanto le ore supplementari quanto (in parte) il suo
opposto: la disoccupazione parziale! Risultato: i nostri due paesi, che
avevano lo stesso tasso di disoccupazione nell’estate 2008 (7,5%), si
sono distanziati, con la nostra disoccupazione che è esplosa (9,8% a
fine 2010), mentre la Germania, per quanto più coinvolta della Francia
nella crisi in ragione della sua apertura agli scambi internazionali, è
riuscita a ridurlo al 6,7%. E dato che i salariati sono rimasti legati
all’impresa invece di ritrovarsi disoccupati, la Germania ha potuto, nel
2010, registrare nuovamente una forte crescita.
Il 23 gennaio 2011 il Ministero del Lavoro tedesco ha reso pubblico “un bilancio abbastanza completo del Kurzarbeit”, rileva Pierre Larrouturou, “che ha interessato 1.500.000 salariati che, in media, hanno ridotto le loro ore di lavoro del 31%”. Di che minare l’ideologia del «lavorare di più».
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