I soldi della Libia tornano in Italia. Probabilmente, si discuterà anche di questo oggi a Tripoli, dove il premier Monti
incontrerà rappresentanti del nuovo governo libico "per rilanciare
l'intesa tra i due Paesi". In realtà, questi capitali non se n'erano mai
andati, ma erano stati congelati l'11 marzo dell'anno scorso,
in seguito alla rivolta contro Gheddafi e alle sanzioni decise dall'Onu
e dalla Ue per bloccare i beni accumulati dalla famiglia del dittatore.
Quelle delibere sono state revocate da poche settimane,
in seguito all'uccisione dell'ex leader della rivoluzione. Adesso i
capitali libici sono sbloccati e le partecipazioni azionarie nelle
imprese italiane tornano attive.
I capitali di Tripoli fanno comodo all'Italia. La cifra congelata in Italia fu stimata in 6-7 miliardi di euro, di cui tra 3 e 4 miliardi di depositi bancari, il resto in partecipazioni azionarie. E' curiosa una coincidenza: lo sblocco dei beni libici è avvenuto pochi giorni prima che scattasse il maxi aumento di capitale di Unicredit, la più importante banca italiana
per patrimonio. E' un'operazione, in corso fino al 27 Gennaio, da sette
miliardi e mezzo di euro che è stata mal digerita dal mercato e dai
principali azionisti, le fondazioni bancarie, in primo luogo quelle di
Verona e Torino, che erano felici quando la banca pagava dei dividendi,
ma adesso che c'è da investire e aprire il portafoglio sono diventate di
cattivo umore.
La Libia era il principale azionista della banca, con la partecipazione costruita, mattone su mattone, sulle quote detenute da quando Tripoli entrò nell'ex Banca di Roma di Cesare Geronzi, poi divenuta Capitalia e incorporata nel 2007 nell'Unicredit, all'epoca guidata da Alessandro Profumo. Attratti inizialmente da Geronzi e dall'amicizia del suo sodale Salvatore Ligresti con l'ambasciatore a Roma, Abdulhafed Gaddur, i libici sono arrivati a possedere quasi il 7,5 per cento del capitale di Unicredit:
il 4,9 per cento di proprietà della banca centrale, più il 2,6 per
cento della Lybian Investment Authority (Lia) acquisito successivamente,
d'intesa con Profumo. Alcune settimane fa il governatore della banca
centrale di Tripoli aveva annunciato l'adesione per la sua quota del 4,9 per cento alla ricapitalizzazione di Unicredit, per un esborso pari a 375 milioni di euro. Ma il 19 gennaio c'è stato un ripensamento.
Il medesimo governatore ha annunciato che non verrà sottoscritto
l'aumento di Unicredit: "C'è una decisione del Consiglio dei ministri di
non investire né azioni né denaro liquido negli investimenti stranieri,
c'è un paese da ricostruire", ha detto il governatore della banca
centrale, Saddeq Omar Ekaber. La quota della banca
scenderà così al 2,8 per cento. E neppure il fondo sovrano Lia lo farà,
riducendo la sua quota all'1,5 per cento circa.
Con l'aumento di capitale c'è un'avanzata del mondo arabo nel capitale Unicredit. Il fondo sovrano di Abu Dhabi, Aabar Investments, che dal marzo 2009 detiene il 4,9 per cento della banca, ha avviato operazioni di acquisto di diritti di opzione
per incrementare la sua partecipazione al 6,5 per cento. Il colosso
arabo diventerà così il primo azionista della banca guidata da Federico Ghizzoni.
Comunque sia, i capitali dei libici e degli arabi che si arricchiscono
con i petrodollari fanno comodo alle banche e imprese italiane. Con lo scongelamento dei beni la Libia torna a poter gestire in pieno le sue partecipazioni in aziende italiane,
può incassare i dividendi bloccati l'anno scorso, può vendere le
azioni, ma potrebbe anche comprare altre azioni . In particolare nella Finmeccanica, la Libia ha il 2 per cento del gruppo statale che produce armi, aerei, radar e sistemi elettronici militari. Nell'Eni la Libia ha l'uno per cento, il gruppo energetico è il primo investitore straniero a Tripoli.
Un interesse della Libia è stato segnalato anche per Telecom. La Libia possiede inoltre il 14,7 per cento ed è il primo azionista della Retelit, società di telecomunicazioni quotata in borsa.
I capitali tripolini si sono tenuti alla larga da un altro aumento di capitale, appena concluso, quello della Juventus,
la squadra di calcio degli Agnelli. La finanziaria Lafico, che deteneva
il 7,5 per cento, non ha sottoscritto la sua quota, pari a nove milioni
di euro. Questa somma la verserà la Exor, la finanziaria degli Agnelli che ha già il 60 per cento della società bianconera e salirà al 70 per cento circa del capitale.
Malgrado le dichiarazioni di prudenza la Libia, con la sua ingente potenza di fuoco, resta pronta a nuove incursioni
nelle imprese italiane, compresi i grandi gruppi che in Borsa hanno
perso terreno negli ultimi anni e sono più facilmente scalabili.
Fonte.
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