Si possono liberalizzare le licenze dei taxi o delle farmacie. Si
possono liberalizzare gli orari degli esercizi commerciali. Si può
liberalizzare la scelta dei fornitori di carburanti da parte dei gestori
delle pompe di benzina e si possono vendere immobili e proprietà
comuni. Ma ha senso liberalizzare i servizi più delicati ed essenziali,
quelli che incidono profondamente sull'equilibrio instabile dove
oscillano, in stato di perenne precarietà, i nostri pochi diritti? Non
ci sono settori i quali, rappresentando intrinsecamente l'identità
stessa del concetto di Stato, dovrebbero uscire dalle logiche di mercato
ed essere esclusivo appannaggio della scienza che governa i rapporti
tra i diritti individuali e collettivi, e che si fa garante del loro
rispetto? E' giusto privatizzare le carceri? Si
potrebbe mai pensare di liberalizzare le Forze dell'Ordine? Si potrebbe
mai liberalizzare un intero potere dello Stato, che so: la
magistratura? In fondo, secondo un certo pensiero, sono tutte voci di
costo che meglio potrebbero essere gestite da un privato.
E poi: perché "meglio"? Per quale motivo, se la gestione di una funzione pubblica costa "x", il suo affido a una società privata dovrebbe farla costare "x-n",
considerato inoltre che per comprendere la reale entità del "taglio" è
necessario sommare alla differenza tra il vecchio e il nuovo costo (n) anche i guadagni del nuovo gestore?
Nel migliore dei mondi possibili, questo risparmio deriva
esclusivamente da una migliore efficienza gestionale. Ma allora non
converrebbe ad uno Stato assumere direttamente i manager
e incamerare i guadagni generati, destinandoli ad abbassare la
pressione fiscale anziché perdere il controllo e regalare risorse al
settore privato?
Nella peggiore delle ipotesi, invece, i risparmi deriverebbero dalla derubricazione dei diritti umani
a righe di bilancio su cui operare tagli selvaggi fino al
raggiungimento della soglia minima di sopravvivenza, sotto la quale il
prodotto deperisce. E' storia sempre attuale e recente, purtroppo: abbiamo parlato solo qualche giorno fa della casa di riposo che maltrattava i suoi ospiti anziani e malati, avendo usufruito di 200 mila euro
di fondi pubblici, ma casi tristemente analoghi sono all'ordine del
giorno. L'intervento del privato ha largamente dimostrato che quando
anche gli stessi diritti umani dipendono dalla logica del massimo profitto, allora gli uomini possono facilmente diventare merce e finire per essere considerati con gli stessi criteri che i gestori degli allevamenti intensivi criminalmente adottano nei confronti dei loro capi di bestiame.
Di questi tempi si cerca di far apparire il settore pubblico come il
male assoluto e quello privato come il toccasana. Eppure è sul concetto
di bene pubblico che si è sviluppata, fiorendo, la nostra civiltà. Il neoliberismo fondava
i suoi teoremi sullo sviluppo esponenziale conosciuto in epoche recenti
dagli Stati Uniti, ma non ha mai tenuto in considerazione le
diseguaglianze sociali che ha prodotto, con intere classi di persone
private anche solo della possibilità di curarsi, così come non si è mai
interessato delle ricadute etiche di un sistema che, tra i fattori
dell'incremento del Pil, annovera per esempio l'indotto economico
derivante dall'espansione dell'industria bellica. E soprattutto: ha
senso oggi, dopo che questo dogma delle liberalizzazioni portate
all'estremo è sfociato in una catastrofe di dimensioni planetarie?
Portando il ragionamento neoliberale alle sue estreme conseguenze (esercizio utile a comprenderne la natura), la privatizzazione di un intero Stato
- limite verso cui tende la smania di assoggettare qualsiasi cosa
all'interesse personale nel nome di benefici costosissimi in termini di
libertà - tende allo stato di natura, quello nel quale
il pesce grande mangia il pesce piccolo in una eterna catena governata
esclusivamente dall'adattabilità e dal successo evolutivo delle singole
specie. Più che un'evoluzione, diventa un'involuzione. E' come una
bolla: se la gonfi troppo scoppia, e devi ricominciare daccapo.
Eppure, in fondo, in una certa misura potrebbe anche essere già
accaduto. Se le decisioni assunte nei Parlamenti nazionali, infatti,
derivassero in qualche misura da quelle maturate nelle sedi dove si
svolgono incontri privati tra le lobby internazionali e i politici più
influenti, non sarebbe un po' come avere liberalizzato la gestione di
interi popoli? Da un punto di vista strettamente logico, tra l'assegnare
la gestione delle carceri al settore privato, con l'obbligo di avere una partecipazione delle fondazioni bancarie pari ad almeno il 20%, e l'affidare la gestione dello Stato a un privato cittadino,
espressione di un'azionariato nel quale la partecipazione delle banche è
perfino superiore - e di molto - al 20% (parlo dell'organizzazione
privata che Mario Monti ha rappresentato fino a ieri: la Commissione Trilaterale) tutta questa differenza poi non si vede. Siamo forse già stati liberalizzati tutti, e non ce ne siamo neppure resi conto?
Fonte.
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