Su Twitter gira già un commento tristemente ironico: “I cinesi poveri fanno gli iPhone per i ricchi di tutto il mondo. I cinesi poveri fanno la fila per comprarli ai cinesi ricchi”.
È andata proprio così a Sanlitun, l’area commerciale di Pechino dove la
notte scorsa sono scoppiati incidenti all’annuncio che l’Apple store non avrebbe aperto per mettere in vendita l’iPhone 4S, nuova release della casa di Cupetino.
Nella
calca davanti al negozio, dalla sera precedente, c’erano circa tremila
persone. Alle sette di mattina, quando è stato annunciato che lo store
non avrebbe aperto, quelli che hanno cominciato a lanciare uova e a
scontrarsi con la polizia sono stati quantificati in circa 350. Tutti
“principini”, figli di papà arricchiti dal turbocapitalismo cinese?
Niente affatto. A Sanlitun c’era rappresentata l’intera stratificazione sociale della Cina odierna.
In fila c’erano il teenager che voleva comprare il prezioso
status-symbol per la fidanzatina, ma anche decine di lavoratori migranti
– così raccontano le cronache – assoldati da bagarini che si
proponevano di fare incetta di smartphone per poi rivenderli a
cinesi ricchi per nulla intenzionati a fare quella faticaccia. La fila
disordinata, dove tutti spingono, ti stanno appiccicati e ti passano
davanti, ultimo baluardo dell’uguaglianza cinese. Viene in mente una
famosa foto di Cartier-Bresson: 1948, arrivano i comunisti e
un’allucinante massa di shanghaiesi si accalca davanti a una banca dove
cercano di procacciarsi oro prima di scappare dalla città.
Oggi
è sotto lo stesso ombrello comunista che le diverse Cine si accalcano:
chi delira per lo status-symbol, chi materialmente lo costruisce e poi
magari si mette in fila per ricomprarlo, chi vive di espedienti, chi
specula. Attorno, presenza invisibile ma che detta modi e tempi, chi
ormai è così ricco che non ha più bisogno di mischiarsi agli altri.
Come orizzonte comune, il desiderio. Ma il desiderio è molteplice e il
Partito deve fare i conti con la moltitudine che non è più massa.
C’è infine il luogo, Sanlitun, altro simbolo della modernità cinese.
Pechino è una città concepita senza spazi pubblici. È capitale
imperiale, luogo del potere, dove tradizionalmente tutto deve ripetere
lo schema della Città (non a caso) proibita – un luogo nascosto dietro
mura – e impedire pericolose aggregazioni. L’unica enorme piazza,
Tiananmen, fu di fatto creata a forza di demolizioni degli hutong
che si affacciavano sul lato sud della Città proibita dopo il 1949 come
luogo di celebrazione del nuovo potere maoista. Ma almeno un paio di
volte funzionò in senso contrario: il 5 maggio del 1976 e nella
primavera ’89. Oggi è presidiata notte e giorno.
Sanlitun è un centro commerciale a cielo aperto, con i megastore di
tutti i principali marchi internazionali, i locali chiassosi e perfino
gli spacciatori neri (give the people what they want). Un ghetto dorato
per stranieri e per neoconsumisti cinesi, forti del loro entusiasmo da
neofiti.
Spicca oggi come unica “piazza” alternativa a Tiananmen in una
megalopoli da 22 milioni di abitanti (di cui almeno 8 milioni di
lavoratori migranti). Oltre è quello in cui il potere si celebra,
l’unico spazio pubblico possibile è quello intasato dal mercato.
Fonte.
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